di Francesco Paolo Ferrandello
cura s. f. [lat. cūra]. – 1. a. Interessamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività: dedicare ogni c. alla famiglia, all’educazione dei figli, ai proprî interessi; avere c., prendersi c. di qualcuno o di qualche cosa…
Il concetto di “prendersi cura”, in lingua inglese, è più preciso. Infatti, c’è una sostanziale differenza tra due verbi inglesi, foneticamente e graficamente molto simili, cioè “to cure” e “to care”. Traducendo il loro significato, “to cure” significa curare, mentre “to care” significa prendersi cura, preoccuparsi per.
La possibilità di curare nel senso del “to cure” inglese, è garantita dalla medicina, cioè da quelle modalità terapeutiche efficaci che permettono all’operatore sanitario di curare da un punto di vista esclusivamente tecnico.
L’espressione prendersi cura, esprime, invece, il coinvolgimento personale dell’operatore sanitario con la persona che soffre, coinvolgimento che si esprime attraverso la compassione, ovvero “patire con”, la premura, l’incoraggiamento e il sostegno emotivo.
Per raggiungere questo obiettivo occorre entrare in sintonia con il malato, la sua sofferenza e il suo disagio psichico, con quell’atteggiamento, chiamato empatia, al fine di raggiungere lo stato di salute. È un’energia positiva che oltrepassa lo stato del dolore fisico, per andare all’essenza del rapporto tra esseri umani, in cui la dimensione dell’ascolto diventa capacità di esplorare tanti mondi e di imparare linguaggi diversi quante sono le persone con cui ci si confronta.
Mi piace riportare qui parte del contenuto di uno speech della Prof. Luigina Mortari circa “la cultura di prendersi cura”. Con termici semplici e appropriati ci introduce nel concetto .
“Nell’accudimento di una persona, nei gesti che compiamo, nelle parole che utilizziamo, c’è sempre il dialogo tra due persone uguali che arricchisce e migliora ambedue e, come gettando un sasso nell’acqua, per cerchi concentrici, si allarga a tutta la società. La cura si esplica, si attualizza in modi di esserci nel mondo e quello che più evidenzia la cura è la capacità di attenzione per l’altro. La capacità di attenzione per l’altro significa avere la capacità di rivolgere lo sguardo sull’altro con un’attenzione che sia assolutamente concentrata non su di sé ma sull’altro da sé, atteggiamento questo non facile perché in genere noi guardiamo il mondo pensando sempre a qualcosa che ce ne viene o qualche cosa che noi diamo al mondo e quindi sempre una relazione di scambio a volte anche di tipo consumistico. L’attenzione vera, l’attenzione della cura è la capacità di focalizzare in un modo allocentrico e canalizzare tutto il mio modo di pensare, il mio modo di sentire verso l’altro.
Il secondo importante aspetto la buona pratica di cura di ascolto, un ascolto che viene a volte definito come ascolto recettivo cioè la capacità di fare entrare quello che l’altro dice di sé dentro la nostra mente senza concettualizzarlo dentro le nostre “griglie” cognitive, senza giudicare quello che dice, il suo modo di esprimersi, quello che vuol comunicare di sé stesso a noi, cosa che invece succede facilmente. Le persone che sanno aver cura dell’altro sanno veramente far entrare il modo di essere dell’altro dentro il loro modo di pensare, dentro la loro mente, perché poi ci sia un atto di comprensione profonda dell’essere.
Da qui il terzo aspetto, la capacità di comprendere. Comunicare all’altro che tu sei lì non per imporre il tuo modo di essere, il tuo modo di pensare, ma per comprendere prima di agire. L’atteggiamento della comprensione è un atteggiamento che si esplica nel dialogo.
Quindi l’attenzione prima, l’ascolto, il comprendere che si realizza attraverso il dialogo, uno scambio continuo in cui io ti dico quello che penso per ascoltare te che dici quello che pensi e quello che vorresti, i tuoi desideri, le tue aspettative, in modo da darti lo spazio e la possibilità di esserci a partire da te.
Dentro tutto ciò c’è la capacità di empatia. Sa avere cura dell’altro una persona che sa sentire l’essere dell’altro, che si lascia toccare dal modo di essere dell’altro.
Altro aspetto importante è la capacità di procurare quello di cui l’altro ha necessità, è il primo atto fondamentale della cura. Innanzitutto bisogna pensare a quello di cui l’altro ha bisogno, ma ha necessità assolute e non sarebbe in grado di procurarsele da sé, come la questione essenziale da affrontare in modo di facilitare nell’altro la possibilità di vivere una vita buona.
Ultimo, ma non per importanza, è la capacità di vedere nell’altro i momenti di rottura, cioè i momenti in cui l’altro si sente in difficoltà. È allora che la cura diventa terapia, la capacità di sobbarcarsi, prendersi la responsabilità dei momenti di difficoltà dell’altro per aiutarlo a superare. In ogni ambito, questi sono momenti di difficoltà dell’anima, di difficoltà del cuore, la difficoltà di affrontare la vita, la sua pesantezza.
L’attività di cura è la capacità di mostrare all’altro che noi siamo lì per aiutarlo.”
Prendersi cura di qualcuno, un malato, un bambino, un vecchio, un migrante, un povero, “cura” soprattutto e in modo formidabile chi si dedica all’altro, lo arricchisce e lo rende forte. In parole semplici prendersi cura di qualcuno fa del bene a noi stessi. Nessuno si salva da solo e tutti insieme possiamo aiutare gli altri e l’intero pianeta; prima o poi tutti abbiamo bisogno di aiuto e tutti possiamo aiutare.
Stabilendo una catena di solidarietà, vera essenza dell’essere umani, possiamo sperare di costruire un presente e un futuro degni di essere vissuti.
Progetto Fotografico “Prendersi Cura”
L’idea del progetto fotografico l’ho sviluppata tra il gennaio e il febbraio del 2019 e, una volta definito nelle sue articolazioni, l’ho proposto alla Direzione Aziendale dell’USL Nord-Ovest della Toscana che, nel maggio, concesse l’autorizzazione allo sviluppo e alla sua attuazione.
Lo scopo del progetto era descrivere fotograficamente il lavoro delle équipes chirurgiche nel “prendersi cura”, da qui il titolo del progetto, della persona che si affida a loro; far emergere la concentrazione, l’umanità, l’attenzione degli operatori e le varie dinamiche e avevo calcolato che il tempo minimo necessario dovesse essere di 16 mesi circa.
Nel mio modus operandi, prima di cominciare un progetto fotografico, ho bisogno di conoscere il luogo, le persone che vivono quel luogo e farne parte. In pratica entrare in empatia. Per il progetto in questione, considerato il mio lavoro di medico ospedaliero per oltre 40 anni, anche in sala operatoria, tutto ciò fa parte di me, del mio “sentire”, mettendolo in atto quotidianamente.
Quindi, il lavoro fotografico vero e proprio ha avuto inizio il 17 settembre 2019.
L’ultima sessione fotografica è stata il 27 febbraio 2020, appena 5 mesi dei 16 previsti: nel suo percorso, il progetto si è dovuto scontrare contro qualcosa che avrebbe stravolto la vita del mondo intero: la pandemia da SARS-CoV-2.
L’idea di presentare solo parte del progetto con la mostra fotografica “Prendersi Cura” è stata quella di presentare il lavoro svolto, in epoca fuori dall’emergenza pandemica, anche come pretesto per un tributo al personale che si è letteralmente sacrificato nel “prendersi cura” dell’enorme mole di lavoro a causa della pandemia.