di Federica Biolzi
Per fortuna, la maggior parte delle persone con le quali veniamo in contatto, provano disagio di fronte ad episodi d’illegalità e di malvagità. In genere, possediamo dei limiti abbastanza precisi di ciò che è bene fare e di ciò che non va fatto.
Eppure, ancor oggi, molti crimini vengono giustificati e commessi in nome di idealità. La declinazione di religioni e ideologie, in casi non infrequenti, ci pongono di fronte a fatti di cronaca che poco hanno a che vedere con il rispetto dell’integrità e dignità della persona umana. Questo “idealismo pervertito” è alla base del recentissimo libro, dal titolo “Il male per una buona causa” (Cortina Editore) di Isabella Merzagora, criminologa e per anni docente delle facoltà di Medicina e Giurisprudenza dell’Università degli studi di Milano.
-Lei pone, nel suo testo, un tema purtroppo di grande attualità: la giustificazione di crimini da parte di chi li commette, cioè di quelle tecniche di neutralizzazione capaci di superare il conflitto con la morale comune e di andare ben oltre. Ci aiuti a comprendere come opera questo meccanismo.
-La criminologia si è spesso occupata di capire come si fa ad aggirare il rimorso, tutti hanno appreso a scuola, in famiglia, all’oratorio delle regole e poi devono trovare il modo di violarle. E’ da qui che si vanno formulando dei racconti per giustificarsi … non è colpa mia, non ho fatto tanto male, la vittima se lo meritava.. eccetera, ma questo accade per aggirare i meccanismi della coscienza. Si può addirittura arrivare a pensare di fare del male per dei valori superiori, ed è a questo punto che il male diventa obbligatorio, non solo consentito. E quindi, paradossalmente, il senso di colpa potrebbe emergere se non si fa qualcosa di sbagliato, di violento, di male, di criminale. Un esempio clamoroso e semplice può essere quello del terrorista islamico, che agisce e deve uccidere per un valore per lui superiore, al punto che se non uccide, si sente un vile e si sente colpevole. Questo è l’idealismo pervertito, esso non consiste nel fare in modo che si possano compiere azioni malvagie, bensì nel ritenere che tali azioni si debbano commettere perché il motivo per cui le si esegue è una buona causa.
-Tra le tecniche alle quali lei fa riferimento vi è anche quella della colpevolizzazione della vittima, cioè il sostenere che la vittima ha meritato, in qualche modo, la violenza subita. Purtroppo questa tesi viene, spesso, utilizzata anche nei confronti delle donne, il famoso se l’è cercata. Quanto queste tecniche di neutralizzazione nascondono sessismi, razzismi, attività discriminatorie?
-Assolutamente, nascondono una cultura della discriminazione. Parlando delle donne, nel caso dell’autore di reato non sono patologie personali, ma culturali per il reo: così si deve fare. L’attribuzione di colpa della vittima, diviene quindi lo stratagemma che fa della vittima il vero colpevole. Ricordo un caso, in cui l’interessato aveva ucciso la partner e nel colloquio espresse questa frase: “ho fatto un pò d’ordine a casa mia”. Nei miti dello stupro, emerge il curioso stereotipo secondo cui la donna violentata in fondo “se l’era cercata,” perché era uscita la sera, aveva un abbigliamento provocante, aveva bevuto, ecc. Situazioni in cui ci si assolve dalla responsabilità e si scarica la colpa sulle vittime, conservando la sensazione di essere nel giusto. Ci sono anche casi, non solo per il genere femminile, di serial killer detti mission-oriented, che hanno una missione precisa di ripulire il mondo da certi tipi di persone, di solito omosessuali o prostitute. In un caso italiano di qualche decennio fa, alcuni mission oriented serial killer, si resero responsabili di una serie di omicidi: nel 1977 a Verona venne bruciato un nomade dando fuoco all’auto, con 30 coltellate, nel 78 a Padova, vi fu l’omicidio di un uomo “colpevole” di essere omosessuale, successivamente fu accoltellato un tossicodipendente, ecc. Le vittime di queste morti violente erano senzatetto, gay, frequentatori di locali considerati equivoci, sacerdoti ritenuti forse non sufficientemente virtuosi o solo vittime facili per la loro debolezza. Con la tecnica della negazione della vittima si invertono i ruoli e si giunge ad affermare che il danno arrecato non rappresenta un’ingiustizia, la vittima merita il trattamento subito.
-Ma secondo lei c’è una riflessione, una parte morale, nella persona che uccide?
-La parte morale è nella prevalenza dei casi, ma per l’appunto pervertita e si fonda su un ideale, ad esempio si agisce in nome della scienza. Alcuni esperimenti furono fatti nei campi di concentramento, ma purtroppo anche negli Stati Uniti o in Giappone, su persone non consenzienti a cui furono inoculati virus, oppure fu praticata la vivisezione come accade in Giappone durante l’ultima guerra. I nazisti processati al cosiddetto processo dei medici, che venne dopo quello di Norimberga, dichiararono: l’abbiamo fatto in nome dell’umanità. Molti dei medici coinvolti in quegli esperimenti parlarono con orgoglio del loro lavoro, sostenendo che avevano contribuito al progresso dell’umanità. Le ricerche effettuate apparivano, ai loro occhi, aver raggiunto i più alti scopi, al punto che ritenevano di dover essere onorati e non criminalizzati.
Altri esempi, anche per quanto riguarda le donne, li troviamo nella distorsione dei testi sacri: così dice la Bibbia…, così dice il Corano. La donna è sottomessa e deve obbedire all’uomo e, se non lo fa, agisco in nome dei testi sacri e quindi sono giustificato e/o obbligato a colpirla ed anche ad ucciderla.
In questo modo, ci sono tanti reati che rientrano quindi sempre in ambiti e aspetti di giustificazione, in nome di qualcosa che si considera superiore si commettono le peggiori atrocità, in nome dell’etnia sono commessi tutti genocidi. Nelle sette violente, Satana viene assunto come entità positiva, a cui obbedire. Il fanatismo fa disastri, qualunque esso sia, anche per una buona causa.
-Non occorre andare troppo lontani per rendersi conto che anche gli attuali conflitti in essere, soprattutto in medio oriente, vedono le violenze giustificarsi, da una parte e dall’altra, in nome di un’idea o di un ideale, o come lei dice mettendone in risalto la negatività di un idealismo pervertito. Quando un’idea, pur di autosostenersi, di autogiustificarsi, perde ogni caratteristica umana e si perverte?
-Tutte le volte in cui assumi come dovere il fare il male in nome di … , in tutti i genocidi, ma anche più banalmente nelle guerre, c’è sempre un nemico. A me viene in mente la canzone di De Andrè, “La guerra di Piero” dove il cantautore nel testo dice: aveva davanti un uomo che aveva il tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore, sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora, fino a che tu non lo vedrai esangue cadere in terra a coprire il suo sangue. Anche i serial killer agiscono, per esempio, in nome del suprematismo bianco, sempre in nome di… ma, in nome dell’obbedienza, la propria coscienza viene messa da parte. C’è una frase importante, che spesso riporto, di un gerarca nazista al processo di Norimberga, il quale dice, io non avevo una coscienza, Adolf Hitler era la mia coscienza.
Anche nelle sette è visibile come ci sia un soggetto manipolatore, il guru, che spesso riesce a creare assoluta sudditanza nei confronti dei sui membri. L’aspetto di sudditanza, in questo ambito è emergente non solo le sette violente, ma anche quelle che si limitano a far lavorare i loro adepti, senza pagarli, tenendoli in soggezione.
-Questo aspetto è quindi legato anche a caratteristiche personali, il soggetto trascinante ha delle abilità manipolatorie che sfrutta coscientemente nel rapporto con l’altro, fino a renderlo un suddito?
-Bisogna sottolineare che c’è l’incontro di due personalità, soprattutto quando parliamo di sette. Vi sono differenti tipi di organizzazioni settarie. Wilson ne distingue sette, vi sono , ad esempio, le “manipolazioniste”: per esse le promesse, gli ideali, sono felicità, illuminazione, guarigione. Le sette manipolazioniste o “psicosette” sono meno sanguinarie e sono interessate soprattutto al denaro che ottengono direttamente o attraverso il lavoro volontario degli adepti.
Una realtà che è emerge da perizie fatte su alcuni seguaci, o meglio sarebbero da chiamarsi vittime, effettuate alcuni anni fa per la Corte di Appello di Milano, a seguito dell’accusa formulata contro alcuni esponenti della setta di circonvenzione di incapaci.
Vi sono manipolazione miste, in nome della salute e di elevazione spirituali (es. i Dianetici), che fanno credere che si guarirà. In buona sostanza, ci sono tante tipologie di manipolazione, impiegate nei diversi ambiti: la razza, la scienza, la religione, la salute, l’onore, il pianeta.
In fondo la capacità di manipolazione è una forma di intelligenza o di capacità e, per le vittime, ci sono ben poche alternative. Nel caso delle donne, a volte le stesse sono parte di questa patologia culturale e sono convinte che l’uomo debba comandare, che l’uomo debba decidere, altre volte semplicemente non hanno scampo.
-Uno dei maggior progressi in campo antropologico e culturale è stata la necessità, soprattutto in termini culturali, per l’uomo occidentale di accettare la presenza, compresenza e la pari dignità di altre culture, di altre idee e religioni. In poche parole di un altro da sé. Oggi sembra che questo relativismo abbia prodotto invece maggiori fobie, abbia creato ulteriori nemici e violenze invece di creare legami e punti di contatto. Cosa sta accadendo?
-Sicuramente l’uomo occidentale ideologicamente accetta la presenza e la compresenza di altri ideali e di altre culture, religioni, ma nei fatti non si devono tollerare azioni criminali, comportamenti violenti, fanatismi. Le persone interiorizzano delle norme, che vengono condivise in famiglia, a scuola, nell’età formativa, in modo da sapere cosa non va bene fare e, se nel caso lo si voglia fare, occorre aggirare non poche inibizioni. Le persone interiorizzano le norme e, per spiegare il comportamento criminale, occorre capire perché gli esseri umani violino delle norme in cui pure credono. Le giustificazioni al comportamento deviante sono considerate valide dal delinquente e non dal sistema giuridico e dall’intera società.
Ma il meccanismo principale resta quello di creare sempre un capro espiatorio, un altro, un nemico da eliminare, per salvare il proprio sé, la propria ideologia, la propria religione, la propria cultura.
Isabella Merzagora
Il male per una buona causa
L’idealismo pervertito
2024, Raffaello Cortina Editore