di Federica Biolzi
[intervista raccolta nel corso di Sophia – La Filosofia in Festa – Pietrasanta 2022]
Alessandra Fussi é docente di Filosofia Morale all’Università di Pisa, le abbiamo rivolte alcune domande a margine del suo intervento tenuto all’evento Sophia – La Filosofia in Festa. la ringraziamo per la sua disponibilità.
– Nel suo interessante intervento, lei ci ha ricordato, parlando del Simposio di Platone, il racconto di Aristofane. In particolare di una genealogia con degli umani esseri doppi, imparentati con gli dèi dei Barbari, esseri potenti con fortissime ambizioni. Di qui la scelta degli dèi dell’Olimpo di tagliarli a metà per indebolirli. Perché si è sentito il bisogno di rappresentare così il desiderio di completezza?
– Si tratta di una genealogia. Dobbiamo riuscire a rappresentare il fatto che questa completezza la desideriamo, ma non sappiamo perché la desideriamo. La storia raccontata da Aristofane rende vivido il fatto che il desiderio nasce da qualcosa che precede la nostra storia: non eravamo ancora uomini quando eravamo completi. Si tratta di un desiderio che nasce alle nostre spalle, così come la nostra infanzia (l’infans, in latino, è qualcuno che non sa parlare). Nell’infanzia abbiamo un senso di interezza, abbiamo la sensazione di occupare tutto il mondo. Quando, crescendo, acquistiamo consapevolezza della nostra finitezza, possiamo provare una sorta di nostalgia di completezza, che però si rivolge a un passato che noi non riconosciamo come nostro, perché non lo ricordiamo, e che tendiamo però a rappresentarci come una sorta di età dell’oro. È una genealogia, dicevo, perché l’eros è una risposta ribelle agli dei dell’olimpo che cercano in tutti i modi di farci convogliare l’eros stesso in una direzione tollerabile, adeguata al nomos, cioè alle consuetudini e alle leggi della città di cui gli dei dell’Olimpo sono i custodi. L’eros, però, è una forza che non si piega alla nostra volontà, alle leggi, o alle consuetudini.
– Un desiderio, una ricerca di qualcosa di perduto. Si tratta di una ricerca d’identità?
– Si è una ricerca, ma tragica. Quando vado a cercare questo pezzo mancante di me, trovo sempre qualcosa che nel tempo è stato trasformato. Non ha più le caratteristiche di quando era stato separato, non troverò mai la mia metà. Non solo perché nel tempo è stata persa, ma perché, anche se ci fosse, avrebbe una storia indipendente da me. Non conosco i suoi pensieri. È tipico dell’amore: da un lato, si cerca qualcuno che ci completi e, dall’altro, non si può amare qualcuno che non abbia una sua autonomia, una sua identità, una sua libertà e quindi un suo passato. A volte, certe persone non tollerano questa diversità e tendono a distruggerla.
– Ma, come lei accennava nel suo intervento, oltre alla ricerca di un’identità, c’è anche la ricerca di qualcos’altro, il desiderio di un noi.
– Esatto, ma questo non c’è in Aristofane, è un’idea post-platonica. Platone dà voce a Socrate facendogli presentare altre potenzialità dell’amore, che non sono presenti nella storia di Aristofane. Per esempio la creatività, il desiderare di avere dei figli, il fatto che nell’amore desideriamo “partorire nel bello”. L’altro ci offre la possibilità di rendere visibili e realizzati aspetti di noi stessi che erano rimasti prima inespressi, senza voce. Accade spesso, infatti, che quando conosciamo qualcuno vengano fuori interessi prima sopiti o dei quali non ci eravamo mai accorti. L’altra persona ci rende diversi, aumenta il nostro senso di noi stessi e iniziamo a pensare che questa persona sia la condizione della nostra felicità. Comunque anche nella storia di Diotima, sempre nel Simposio, parliamo di una persona che desidera, ma non abbiamo ancora un noi. Il noi diventa oggetto della filosofia contemporanea, il noi e il tu che è implicito nel rapporto amoroso. Levinas critica Platone che vede l’eros come una ricerca di totalità, e invece propone l’idea di un Altro che mi chiama, mi convoca, e che è fuori da me, che è separato da me. Il noi è, secondo me, un aspetto fondamentale dell’amore. Anche proprio dal punto di vista della terminologia, non comprendiamo l’amore se non comprendiamo il noi.
– Nell’amore vi è questo ruolo della narrazione. Vi è una necessità spasmodica di parlare, di raccontarsi. Ma poi resta una parte che si cercherà sempre di esprimere ma che non verrà mai detta, l’indicibile.
– Sì, indicibile. Io posso dire che amo te ma perché? Amo te perché sei bello, intelligente, buono, ecc. ecc…, ma appena ho detto queste cose, sento che la cosa fondamentale manca, e questa cosa fondamentale i filosofi l’hanno pensata in modi diversi. Aristofane ci dice che gli amanti non sono in grado di dire ciò che veramente desiderano l’uno dall’altro, perché quello che gli amanti desiderano è una completezza che non hanno mai esperito in quanto uomini (la completezza era la caratteristica degli androgeni. Quando nascono gli uomini, esseri dimidiati, nasce anche l’eros). Dal punto di vista di Aristofane quindi l’Eros non sa dire ciò che vuole, il desiderio rimane sempre enigmatico.
Per Diotima quello che desidero è un bene ideale e quindi fuori dall’esperienza umana, posso vaticinarlo posso profetizzarlo, ma è qualcosa che non ha parola. E d’altro canto si può obiettare a Diotima che quando amiamo qualcuno lo vediamo certo come bello (o buono, o intelligente, etc) ma spesso amiamo di lui o di lei anche i difetti: quel dente rotto, quel particolare sorriso, quel passo che a volte può apparire goffo ma ci intenerisce, quel particolare modo di ragionare o di rifiutarsi di farlo in certi momenti. E’ difficile ricondurre al bello ideale i nostri desideri, che sono sempre rivolti all’altro in tutta la sua individualità. Se poi pensiamo al noi è qualcosa che si vive e si crea con l’altro, ma non necessariamente si sa dire.