di Federica Biolzi
Elisabetta Cattanei è docente di storia della filosofia antica all’Università di Genova. A lei abbiamo chiesto, a margine del suo intervento a Sophia – Filosofia in festa 2021, di indicarci dei punti di riflessione sul pensiero della differenza di genere nell’antichità.
-Parlando della differenza di genere, lei sostiene che sin dall’antichità si è cercato in qualche modo di descriverla, oggettivarla, giustificarla. Come mai? Perché si e sentita questa necessità?
-Come dicevo sul finire del mio intervento, anche i filosofi antichi sono uomini del loro tempo, quindi c’è un rimando circolare tra la loro indagine sulla psicologia femminile e il ruolo che la società assegna alla donna, in cui l’uno giustifica l’altro e viceversa. Con qualche apertura, la possibilità che poche donne abbiano un ruolo più alto e di conseguenza presentino anche delle doti psicologiche, intellettuali ed etiche più alte: un po’ questo è lo schema entro il quale ho cercato di muovermi.
-Lei ha citato anche Aristotele, come ha, il grande stagirita, affrontato questo il problema anche in rapporto al problema del giusto mezzo?
-Ho insistito sulla questione del senso del pudore. Aristotele sostiene che la psiche femminile sia una psiche naturalmente dissonante per lo squilibrio fra una parte “timica”, passionale, e una parte intellettuale di cui ogni donna è dotata (una caso analogo è costituito dagli schiavi che per Aristotele sono dotati di corpi robusti e di facoltà intellettuali limitate). A causa di questa dissonanza per così dire “congenita” ci possono essere delle forze che possono essere passionali ed etiche allo stesso tempo e che permettono anche alla donna di raggiungere il giusto mezzo nelle sue azioni e quindi di raggiungere la virtù. Ovviamente, la donna agisce pubblicamente nel contesto della casa. Al di fuori del focolare è difficile, tranne casi rarissimi di donne “regine”, che abbiano delle mansioni di governo. Ma si tratta ovviamente di personaggi quasi da “fiction”.
-Riflettevo su questo aspetto di parallelismo tra interni. La donna governa la casa e deve gestire le sue passioni all’interno di se stessa con difficoltà di equilibrio. E’ solo un caso?
-Io ho fatto una scelta di commentare passi soprattutto della Politica di Aristotele legati al problema dell’educazione. Il grande background di queste osservazioni è La repubblica di Platone dove tutto è costruito secondo lo schema interno-esterno: dimmi come è fatta l’anima ti dirò come è fatta la città, dimmi come è fatta l’anima ti dirò come è fatta la società nella quale tu agisci e, viceversa, dimmi come è fatta la società, a grandi lettere, nella quale tu agisci e ti dirò come è l’anima. C’è sempre un gioco di specchi tra l’interiorità psichica e l’esteriorità del teatro nel quale si svolge l’azione di cui l’anima è motore. C’è rispecchiamento, armonia, non c’è scissione ed in questo i greci erano forse più ingenui dei contemporanei, tra la psiche umana ed il mondo. Non c’è filtro, c’è una sorta di rispecchiamento diretto. Non abbiamo le strutture degli a priori kantiani, non abbiamo le idee cartesiane. Abbiamo un rapporto diretto tra anima e mondo che si rispecchiano e circolarmente si rimandano.
-Nel suo intervento ha citato il personaggio di Medea. Quindi, nonostante quanto ci ha detto prima, la donna ha un ruolo di primo ordine nella tragedia greca. Come si tengono insieme le due cose?
-Se uno guarda come sono dipinte queste eroine, esse hanno a volte elementi molto anomali. Non sono la donna della strada e nemmeno la donna comune dell’ òikos, nella casa standard dell’Atene del V-IV secolo, sono donne per certi versi eccezionali, nel bene e nel male, e con un profilo che le rende veramente diverse. Medea è barbara, molte eroine nella tragedia non sono eroine greche, la stessa Diotima di Mantinea (nel Simposio di Platone) è un personaggio strano, non si capisce da dove venga, che tipo di sacerdotessa sia. E’ come se la poesia si permettesse di fare un passo avanti rispetto alla filosofia, per mostrare come dei modelli di femminilità portati all’estremo possano far riflettere sui pregiudizi che animano la riflessione filosofica. Da questo punto di vista la poesia dice molto sulla filosofia di genere nel V e IV secolo, dice quasi di più della filosofia, ha il coraggio di dire di più, forse proprio perché è più libera dal rispetto di un ordine sociale da difendere.
-Socrate, invece, come rappresentava la figura femminile?
-Nel Socrate di Senofonte vi è una visione diversa. Socrate ha una moglie proverbialmente insopportabile, Santippe, una cosa da commedia. Come sempre, Socrate è una figura enigmatica, che ci fa pensare, ha tante sfaccettature. Il Socrate dell’Economico di Senofonte è molto interessante perché usa il pregiudizio per ribaltare il pregiudizio. Ci dice di una donna che “è intelligente quanto un uomo”, è la tipica ironia socratica. Usa il pregiudizio, appunto, per suggerire che la donna può avere questa possibilità di dialogare con l’uomo alla pari e di esercitare il proprio pensiero dianoetico allo stesso modo. Ma sono sempre eccezioni, sono casi rari.