EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2025, n. 1-2 anno X - ISSN 2531-7334

BES e DSA come orientarsi tra diagnosi ed etichette a scuola e in famiglia

di Sandra Matteoli

Coloro che, con ruoli diversi e per motivazioni di vario tipo, si confrontano con il “mondo scuola” e con possibili ostacoli nel percorso scolastico, si trovano a doversi districare nel groviglio di parole che vengono utilizzate per definire gli alunni in difficoltà. Termini come Dislessia, Discalculia, Iperattività, Autismo oppure gli acronimi DSA, BES, PDP, tanto per citare i più noti, sono ormai di uso comune anche se, talvolta, li sentiamo pronunciare in modo superficiale e poco pertinente. Dobbiamo riconoscere che non è facile districarsi in un ambito così complesso e articolato: è evidente il rischio di etichettare la persona sulla base di una valutazione superficiale e arbitraria, così come quello di cadere nei pregiudizi e negli stereotipi in presenza di una diagnosi clinica che riconosce una difficoltà clinicamente rilevata e definita.

In questo contributo cercheremo di delineare, in sintesi, alcuni concetti essenziali che possono essere utili per fornire strumenti conoscitivi e prevenire i rischi sopracitati.  

Qual è il significato dei vari termini e degli acronimi a cui abbiamo fatto riferimento?

Iniziamo dall’acronimo BES che indica la presenza di un Bisogno Educativo Speciale, inteso come una particolare esigenza educativa che può presentarsi, in un periodo determinato o durante tutto il percorso scolastico, per cause diverse, non necessariamente patologiche. Non esiste la diagnosi di BES ma si tratta di una macroarea che comprende tutte le possibili situazioni in cui emerge la necessità di attivare, in ambito scolastico, la personalizzazione degli interventi educativi e didattici per consentire a tutti il raggiungimento del successo formativo.

Gli alunni con BES vengono suddivisi in tre grandi aree: l’area della Disabilità, quella dei Disturbi Evolutivi Specifici e quella dello svantaggio linguistico, socio-economico e culturale.

All’interno dell’area della Disabilità troviamo gli alunni certificati ai sensi della Legge 104/1992; essi hanno diritto alla presenza di un docente di sostegno e a un percorso definito all’interno di un Piano Educativo Individualizzato (noto con l’acronimo PEI) finalizzato a promuovere l’inclusione e a garantire a ogni studente tutto ciò di cui ha bisogno nel percorso scolastico per la piena realizzazione di sé e delle sue potenzialità[1].

L’area dei Disturbi Evolutivi Specifici comprende i Disturbi Specifici di Apprendimento-DSA (Certificati ai sensi della Legge170/2010) e i Disturbi Evolutivi Specifici non DSA (il Disturbo specifico della coordinazione motoria (DCM), il Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL), il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), i Disturbi lievi dello spettro autistico e il Funzionamento Intellettivo Limite (FIL).  In questi casi non è prevista la presenza di un docente di sostegno (salvo in casi di comorbidità di più disturbi che creano condizioni di particolare gravità).  Il team docente e il consiglio di classe devono elaborare un Piano Didattico Personalizzato (noto con l’acronimo PDP)[2]. Questo è obbligatorio per gli alunni DSA mentre per coloro che presentano altri disturbi (non certificati ai sensi della L.170/2010) la scelta di elaborare o meno un PDP appartiene ai docenti; in base all’esperienza, di fronte a una valutazione diagnostica, consegnata dai genitori, il PDP viene sempre elaborato.

Infine l’area dello svantaggio socio-economico-linguistico e culturale comprende gli alunni che presentano difficoltà significative dovute appunto a tali condizioni. Queste situazioni possono essere individuate in seguito a segnalazione dei servizi sociali, oppure semplicemente sulla base delle rilevazioni compiute dai docenti e fondate su considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Anche in questi casi i docenti valutano la necessità di elaborare un Piano Didattico Personalizzato.

L’area della Disabilità e quella dei Disturbi Evolutivi Specifici includono alunni con Disturbi del neurosviluppo diagnosticati attraverso un percorso sanitario che, oltre a identificare la patologia e a codificarla in base ai criteri riconosciuti in ambito scientifico, è finalizzato all’elaborazione della diagnosi funzionale con il contributo di varie figure specialistiche.[3] Questo percorso conoscitivo è indispensabile per capire le cause delle varie difficoltà, individuare il percorso terapeutico ed educativo da portare avanti con la collaborazione della famiglia, del personale educativo e scolastico, dei servizi socio-sanitari presenti sul territorio.   Si tratta di realizzare una rete di cura “[…] una rete coordinata di servizi alla persona, in cui ogni servizio è tenuto ad elaborare, attraverso un piano o programma, una valutazione che deve essere messa in rete e rielaborata in modo condiviso.” (Sales, 2017, pag.63)

Appare evidente la complessità sottostante all’acronimo BES, agli altri e ai vari termini sopracitati. Ognuno di essi è come la punta di un iceberg: una piccolissima porzione di una realtà per alcuni difficile da immaginare e da comprendere.

Che cosa è cambiato nel tempo?

A partire dagli anni settanta è iniziato nelle nostre scuole un processo graduale che ha offerto a tutti gli alunni, anche in presenza di patologie di vario genere, la possibilità di essere accolti nelle classi comuni delle scuole pubbliche seguendo percorsi individualizzati e usufruendo della presenza di un insegante di sostegno. Il diritto all’istruzione e le azioni previste in ambito scolastico e socio-sanitario sono stati delineati all’interno della Legge quadro 104 del 1992.  Negli anni successivi è aumentato in modo costante il numero degli alunni che necessitavano di particolari attenzioni e di interventi personalizzati. Una prima risposta a queste esigenze si è avuta nel 2010 con la legge 170 che ha riconosciuto i Disturbi Specifici di Apprendimento e ha permesso l’emanazione delle Linee Guida per garantire il diritto allo studio degli alunni con Dislessia, Disortografia, Disgrafia e Discalculia. Nel 2012 la Direttiva Ministeriale “Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica.” ha colmato il vuoto che si era creato lasciando privi di tutele e diritti gli alunni che, pur presentando un disagio e difficoltà scolastiche, non rientravano nei criteri previsti né dalla legge 104 né dalla legge 170. La direttiva citata ha introdotto il concetto di Bisogno Educativo Speciale che, come abbiamo visto, fa riferimento alla situazione complessiva di funzionamento educativo e di apprendimento di una persona indipendentemente dalle cause che originano una possibile difficoltà.

Questo percorso va interpretato alla luce del cambiamento di approccio al concetto di salute avvenuto grazie al modello ICF[4] che supera quello tradizionalmente centrato sulla malattia a favore di una prospettiva più articolata che considera l’individuo nella sua interezza; non ci basiamo più sulle carenze ma sulle capacità e sulle abilità dell’individuo, piuttosto che limitarsi a descrivere la sua patologia, occorre valorizzare il ruolo dell’ambiente e dei fattori sociali nella vita della persona per leggerli in funzione di ostacoli o facilitatori al processo di inclusione sociale e di realizzazione delle proprie potenzialità. Ecco che, in ambito scolastico, occorre mettere in atto tutte le possibili azioni e agire sul contesto per renderlo inclusivo, in grado di accogliere, personalizzare e promuovere processi virtuosi.

Il primato della diagnosi e l’overdiagnosi

Negli ultimi anni il numero delle diagnosi e delle certificazioni è progressivamente aumentato: in vari ambiti è stato messo in evidenza il rischio di medicalizzare e patologizzare situazioni in cui un percorso scolastico fallimentare può essere ricondotto a un intreccio di cause di tipo socio- economico e culturale. Al tempo stesso si finisce per rispondere solo con strumenti sanitari a bisogni educativi e a carenze del sistema scolastico che non ha ricevuto risorse adeguate allo scopo di affrontare i cambiamenti sociali e per attuare quanto previsto dalla normativa.

L’aumento delle diagnosi ha portato alla definizione del concetto di over diagnosi in riferimento a situazioni in cui possiamo trovare “[…] diagnosi non appropriate, diagnosi errate, falsi positivi, diagnosi da screening positivi in pazienti senza sintomi e/o paucisintomatici (per espansione del concetto di rischio e malattia), diagnosi precauzionali per una medicina difensiva e infine diagnosi che contribuiscono a medicalizzare ed etichettare in malattie e disturbi particolari condizioni di disagio socio-culturale.” (Coscarella, Casini, Zoccoli, 2024, pag.219) Questo fenomeno, dovuto a cause di varia natura, che coinvolgono l’ambito scientifico, sanitario, economico-sociale e scolastico, incide in modo significativo sui soggetti coinvolti e sui loro familiari, sul sistema sanitario nazionale e sulle istituzioni scolastiche.

A proposito di etichette

“Bambini con l’etichetta” è il titolo del libro in cui il neuropsichiatra Michele Zappella, uno dei massimi esperti di neuropsichiatria infantile, denuncia “l’epidemia” di diagnosi, spesso errate, che causa esclusione ed emarginazione. Il testo offre la possibilità di approfondire temi complessi con uno sguardo esperto e concreto, al tempo stesso rischia di portarci a sottovalutare, ancora una volta, ciò che sta sotto la punta dell’iceberg.

Il vocabolario online dell’enciclopedia Treccani ci ricorda che etichettare assume i significati di  1. [munire di etichetta] ≈ marcare. 2. (fig.) [attribuire una certa qualifica a qualcosa o qualcuno, in modo sbrigativo:] ≈ (spreg.) bollare, catalogare, classificare, contrassegnare, definire, designare, qualificare.

Sappiamo che l’esigenza di classificare le persone, tipica del genere umano, è indispensabile per semplificare la realtà che ci circonda, ci rassicura, ci permette di affrontare l’imprevisto; al tempo stesso essa è alla base della creazione del pregiudizio e degli stereotipi.

In ambito educativo “etichettare” assume un significato particolarmente negativo perché influenza la formazione della persona nella sua interezza e pregiudica uno sviluppo armonico e integrato.

Quando ci troviamo di fronte a persone in difficoltà la situazione si complica in modo particolare se utilizziamo come etichette termini diagnostici senza conoscerne il significato e non ci chiediamo che cosa accadeva prima a coloro che oggi possono dare un nome e un senso alle loro sofferenze.[5] Come afferma Monica Bertelli “Nell’ambito dei disturbi del neurosviluppo, in realtà, le etichette diagnostiche sono importantissime perché possono rappresentare un punto focale nella vita di studenti e di famiglie che finalmente hanno la possibilità di comprendere le caratteristiche di un modo di apprendere che ha bisogno di strade diverse per raggiungere l’obiettivo.”[6]

In quest’ottica la diagnosi va interpretata sia come un punto di arrivo al termine di un percorso talvolta lungo e doloroso che come un punto da cui deve partire una progettualità che coinvolga tutti i protagonisti. Gli adulti significativi, genitori e familiari in modo particolare, con il supporto della rete di cura, hanno il compito di sostenere quotidianamente il figlio/alunno in difficoltà andando oltre la diagnosi e valorizzando la persona nella sua interezza impegnandosi per comunicare creando una solida alleanza educativa e condividendo obiettivi e strategie educative.

Nell’ambito di una recente giornata di studio accreditato dal titolo “I Bisogni Educativi Speciali-BES oltre la diagnosi: interventi di prevenzione e cura educativa” vari professionisti si sono confrontati e hanno portato il loro contributo per la promozione di azioni mirate alla prevenzione e all’inclusione. I vari interventi hanno valorizzato una “presa in carico educativa”, al di là delle etichette diagnostiche, per sostenere gli adulti e favorire l’alleanza educativa.

Crediamo che questa sia la sfida per tutti coloro che lavorano in questo ambito!


Bibliografia essenziale

CIAMBRONE R., FUSACCHIA G. I BES (2016) Come e cosa fare. Giunti Scuola, Firenze.

CORNOLDI C., (1999), Le difficoltà di apprendimento a scuola, Il Mulino, Bologna.

GALANTI M.A., SALES B., (2017), Disturbi del neurosviluppo e reti di cura, Edizioni ETS, Pisa

IANES D. (2006), La speciale normalità. Strategie e inclusione per la disabilità e i Bisogni Educativi Speciali, Erickson, Trento.

IANES D. Didattica inclusiva e bisogni educativi speciali, in IANES D. e CRAMEROTTI S. (2013), Alunni con BES, Erickson, Trento.

ICF, OMS, 2001.

BRIZZOLARA D., PECINI C., (2020), Disturbi e traiettorie atipiche del neurosviluppo, McGraw-Hill Education, Milano.

COSCARELLA C., CASINI E., ZOCCOLI M. (2024), Overdiagnosis di handicap scolastici e Disturbi specifici dell’apprendimento, DIS Giornale Italiano di ricerca e clinica applicativa. Erickson, Trento.

MATTEOLI S. (2010), L’ intervento del pedagogista clinico nelle difficoltà di apprendimento, Junior, Bergamo.

MATTEOLI, (2025, in corso di stampa), La consulenza pedagogica Strumenti e percorsi per i BES. Carocci, Roma.

MATTEOLI S., FRACASSINI R., (a cura di) (2024), Le professionalità pedagogiche fra relazione e cura educativa. Edizioni ETS, Pisa.

MAZZONCINI B., MUSATTI L., (2012), I disturbi dello sviluppo. Bambini, genitori e insegnanti. Raffaello Cortina Editore, Milano.

ZAPPELLA M., (2021), Bambini con l’etichetta Dislessici, autistici e iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione. Feltrinelli, Milano


[1] Il PEI, introdotto con la L.104/92, viene definito all’art. 5, comma 1, del DPR 24/02/94, “il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati fra di loro, predisposti per l’alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione […].

L’elaborazione del PEI è di competenza del Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione-GLO (D.lgs. 66/2017) composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe, dal docente specializzato per il sostegno didattico e presieduto dal Dirigente scolastico, altre figure interne all’istituzione scolastica che partecipano al processo di inclusione, i genitori, specialisti e terapisti ASL o privati, rappresentanti degli Enti Locali. 

[2]La Legge 170 del 2010 riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento […] denominati «DSA», e garantisce agli alunni DSA il diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari. Il Decreto Ministeriale 5669 del 2011, all’art.5, stabilisce che “La scuola garantisce ed esplicita, nei confronti di alunni e studenti con DSA, interventi didattici individualizzati e personalizzati, anche attraverso la redazione di un Piano didattico personalizzato, con l’indicazione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative adottate.” Questo documento deve essere compilato all’inizio di ogni anno scolastico da parte del team docente e del consiglio di classe e condiviso con i genitori. Le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento, successive al Decreto Ministeriale 5669/2011 forniscono indicazioni fondamentali per la realizzazione di interventi didattici individualizzati e personalizzati. I modelli dei PDP sono disponibili sul sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

[3] Le équipe multidisciplinari sono formate da: neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista, terapista della neuro e psicomotricità, educatore.

[4] ICF (International Classification, of Functioning) il nuovo sistema di interpretazione e classificazione delle Disabilità adottato dall’OMS nel 2001

[5] “Stupido”, “Incapace”, “Somaro”, “Vagabondo”. Quanti altri aggettivi sono stati utilizzati per etichettare alunni e studenti in difficoltà che poi hanno scoperto di avere una difficoltà derivante da un disturbo?

[6] https://www.anastasis.it/disturbi-specifici-apprendimento/dsa-bes-persone-oltre-le-etichette/

Share this Post!
error: Content is protected !!