EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Caro Don Lorenzo. La scuola tra passioni e diritti.

di Giuseppina Fabrizzi

Caro Don Lorenzo,

Le scrivo questa lettera, immaginando che,  in qualche modo e in un luogo, possa giungerle.  Di lei si è tanto scritto e parlato  nel corso degli anni.  La mia,  non scuoterà le coscienze come la sua Lettera a una professoressa e  non lo pretendo. Insegno nella scuola dell’infanzia e sono una pedagogista,  dunque come lei ho a cuore l’educazione. Ci credo e mi definisco appassionata in tutto ciò che faccio. Vorrei confessarle, non senza imbarazzo,  che  non conoscevo a fondo la sua figura, ma dopo essermi documentata,  mi è piaciuto   pensare che, nel periodo in cui lei è vissuto, c’era già chi si impegnava co tutte le proprie forze nell’educazione dei ragazzi, ponendosi soprattutto dalla parte di quelli più deboli.  Lei era  convinto dell’importanza di dare di più a chi partiva con meno,  pronto a  sostenere che nella scuola dell’obbligo non si potesse bocciare.

Mi rendo conto quanto non debba essere stato facile portare avanti le sue idee, quanto sarebbe stato più semplice non andare contro corrente. Non provo alcuna vergogna nel  dirle  di essere, ironicamente,  un po’ in collera  con lei. Averla conosciuto meglio ha abbassato di molto la mia autostima. Fino a poco tempo fa credevo di aver condotto chissà quale grande rivoluzione  a favore dei diritti della scuola, non avevo fatto i conti con quanto lei, con la sua grande tenacia, avesse realizzato.  La gentile   Professoressa alla quale lei e i suoi ragazzi avete dedicato una lettera è, quindi, la cara scuola,  che a quei tempi selezionava, discriminava, favoriva i più benestanti a svantaggio di quelle povere, che venivano invitate a tenere a casa i propri figli, perché considerati  non adeguati e non sufficientemente intelligenti per aver diritto all’ istruzione.

C’è un passaggio della sua lettera che ha suscitato in me un misto tra rabbia e tenerezza ed è quello  a pag. 26. Disarmati: I genitori più poveri non fanno nulla. Non sospettano nemmeno che queste cose esistano. Anzi sono commossi. A tempo loro in campagna c’era solo la terza. Se le cose non vanno sarà perché il bambino non è tagliato per gli studi. L’ha detto il Professore. Che persona educata. Mi ha fatto sedere. Mi ha mostrato il registro. Un compito pieno di freghi blu. A noi non c’è toccato intelligente. Pazienza. Andrà nel campo come siamo andati noi”. E’ un  passaggio che, a mio avviso,  non poteva avere un titolo diverso. Si, perché credo che  quei genitori siano stati realmente disarmati. Ogni parola ha il suo peso. La parola disarmati è  un termine che  in senso  figurativo vuol dire: persona che non dispone di mezzi morali o materiali per reagire o difendersi; impotente, inerme, indifeso. Si legge ancora: sentirsi disarmati contro la disonestà.

E quanta disonestà ci fu nel convincere questi genitori a farsi da parte con i loro figli, solo perché di umili origini; come se le origini di una persona fossero determinanti per tracciare il suo futuro. Come se l’individualità di un essere umano, le sue propensioni verso un genere di vita, i suoi talenti, le sue passioni, i suoi sogni, fossero di colpo cancellati. E ancora: la scuola riuscì  a far sentire in colpa questi genitori, nel far credere loro di  aver dato alla luce  figli non adeguati agli studi, come tutti gli altri: “A noi non c’è toccato intelligente. Pazienza.”  Quanta astuzia e  slealtà nel  fingersi  insegnanti e dirigenti scolastici  educati, gentili e attenti ai problemi dei  figli; quanta crudeltà  nello sfruttare l’ingenuità di persone umili, inermi, indifese, impotenti, rassegnate. Peccato che  i genitori di allora non abbiano avuto la preparazione di quelli di oggi.

Ma questa immaginaria professoressa , cosa potrebbe replicare a tutto ciò? Come potrebbe discolparsi di fronte ad accuse del genere?  La selezione mirata e la valanga di bocciature,  raggiunsero  il loro scopo?  Lei amava molto le statistiche. Quelle pubblicate in Lettera a una professoressa, riguardano il tema della dispersione scolastica e si fondano su una sintesi dei dati Istat. Lei  prese a modello una classe che entrò in  prima elementare nell’anno scolastico 1957/1958 e  ne seguì le vicende fino alla conclusione dell’obbligo scolastico. Il suo obiettivo fu quello di dimostrare  quanti studenti avrebbero abbandonato la scuola strada facendo e quanti sarebbero stati bocciati. La conclusione fu che nei  cinque anni della scuola elementare, la dispersione scolastica fu del 23%, mentre quella della classe fu del 61%. Alle scuole medie, lei si rese conto che la situazione non migliorò affatto,  anzi si aggravò ulteriormente.

La dispersione scolastica alla fine dell’obbligo, risultò  del 28%, mentre quella della classe si rivelò del 72%.   Fra gli studenti universitari, i figli di papà erano   l’86,5%, mentre quelli  dei lavoratori dipendenti il 13,5%. E naturalmente, alla fine, il 91,9%  dei laureati non poteva che appartenere  alla categoria dei figli di papà. L’8,1% a quella dei lavoratori dipendenti.

Oggi la situazione è molto diversa e la dispersione scolastica nella scuola primaria e in quella secondaria di primo grado è quasi inesistente. Il problema riguarda soprattutto  i ragazzi che non hanno concluso la scuola secondaria di secondo grado. Nel 2015 la dispersione scolastica era del 14,7%. I calcoli furono  effettuati con il metodo degli early leaving from education and training (ELET): si tratta della percentuale di persone tra i 18 e i 24 anni che non hanno conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado, né una qualifica professionale almeno triennale.

Un ragazzo su sei in Italia, non ha il diploma. Tra le ragazze la percentuale è di una su dieci. La motivazione sembra sia dovuta alla presenza di lavoro minorile nel nostro Paese, in particolare tra i ragazzi maschi nella fascia d’età 14 – 15, appartenenti alle regioni meridionali (dati presentati dal Garante Infanzia, in una relazione del mese di giugno 2022).  La probabilità di abbandonare gli studi dipende, anche in questo periodo storico,  moltissimo dalle condizioni socio-culturali delle famiglie in cui vivono i ragazzi. Dunque la dispersione scolastica totale in Italia è del 20% corrispondente a uno studente su cinque. Per quanto riguarda la situazione degli studenti che si laureano, anche attualmente,  come allora, seppur migliorata,  la quota di studenti che provengono da contesti socio-economici sfavoriti è piuttosto bassa: il 21,9%. Secondo i dati AlmaLaurea 2022, gli studenti laureati provengono per il 30,9% e per il 22,3% da famiglie della classe media, rispettivamente impiegatizia e autonoma; per il 22,8% da famiglie di più elevata estrazione sociale, (imprenditori, liberi professionisti, dirigenti); per il 22,3% da famiglie di operai e impiegati esecutivi.

Nella sua Lettera a una professoressa, in sostanza,  accusò la scuola italiana dell’epoca,  di non combattere le disuguaglianze sociali ma, anzi, di rendere ancora più evidente il divario ricchi-poveri perché respingeva i più disagiati  favorendo i figli delle famiglie borghesi. Il suo testo, che fu oggetto di grandi discussioni, diventò anche uno dei  manifesti della contestazione studentesca del ’68, stimolò i dibattiti politici su quelli che dovevano essere i necessari cambiamenti della scuola nell’ambito dei modelli educativi.  

A 100 anni di distanza dalla sua nascita,  ho deciso di scriverle questa lettera per parlarle della mia realtà e per dirle  che  io vivo in un epoca completamente diversa, siamo nel 2023 e devo ammettere  che di strada  ne é  stata  fatta tanta. Ma ho la sensazione che qualcosa  ancora non vada. In tanti anni di insegnamento, ho sempre ritenuto indispensabile  preoccuparmi  di favorire l’apprendimento sereno dei miei piccoli alunni, sulla base dei sacri principi di uguaglianza, nonché  del giusto insegnamento individualizzato, laddove ce ne fosse la necessità e volto ad accogliere  le caratteristiche emotive di ciascun bambino incontrato nel percorso della mia carriera scolastica. Inoltre ho sempre cercato  di fornire ai genitori spazi di incontro dove fossero valorizzate le risorse genitoriali, comprendendo, quanto la relazione tra loro e gli  insegnanti  fosse indispensabile per favorire un sereno rapporto con noi e i propri  figli.

Oggi le famiglie sono molto più pronte ad affrontare i problemi che la società pone loro davanti. Una grande diffusione della cultura, lo ha consentito. Oltre ad essere consapevoli dei vantaggi e degli svantaggi dovuti all’avvento di un’era così  tecnologica,   i genitori deve cercare a tutti i costi di conciliare il proprio lavoro con il ruolo di mamma o papà.  La preparazione culturale dei genitori è maggiore,  parla da sola e a volte intimidisce e indispettisce  gli insegnanti che li vorrebbero meno presenti nelle istituzioni scolastiche, quasi si sentissero prevaricati. I genitori oggi non hanno la rassegnazione di quelli meno privilegiati del periodo della sua scuola di Barbiana. Frequentemente,   insegnanti e genitori appaiono gli uni contro gli altri,   combattendo  una guerra in cui si sentono nemici, fra loro e nei confronti  di un’istituzione che, sono convinti, non li tuteli abbastanza.  Non comprendono che la vera soluzione al problema  sarebbe quella di essere dalla stessa parte ed  ascoltarsi reciprocamente per il bene di questi piccoli  che si affacciano alla vita e per contribuire al cambiamento della scuola  che lei auspicava già da  allora.  

Carissimo Don Milani, avrei voluto conoscerla. Mi identifico per molti aspetti  nel suo modello educativo, tranne che,  quando affermava la necessità di abolire la ricreazione, l’orribile divertimento, come lei lo definisce. Io appartengo a quella generazione che afferma con forza che, a volte, anche la noia, il momento del non far nulla, sia indispensabile in un ambiente educativo.  Ho apprezzato, però,  molto la sua modalità di far leggere i giornali ai ragazzi e commentarne le notizie.  Io non potrei applicare questo metodo con i miei piccoli alunni, perché  non sanno leggere.  Devo ammettere che, in parte, si fa anche da noi, quando si parla di ciò che accade all’ambiente e agli animali. Si portano  in classe giornali,  riviste  e libri illustrati .

Purtroppo stiamo vivendo un periodo storico molto difficile. Stiamo istruendo generazioni di individui a diventare supertecnologici, individui  che si troveranno, però,  ad affrontare un cambiamento climatico senza precedenti. Gli elementi della natura ci stanno inviando grida di aiuto. I ghiacciai si stanno sciogliendo. L’inquinamento sta deturpando il nostro pianeta e gli esseri umani sembrano far finta di nulla. Gli animali non hanno più un ambiente in cui vivere. Ci siamo quasi rassegnati a  veder morire per soffocamento,  balene che ingoiano plastica o orsi polari privati delle loro abitazioni ghiacciate. Siamo quasi a un punto di non ritorno.

Forse insieme avremmo pensato a una “Pedagogia dell’Ambiente” e con la sua tenacia ci avrebbe guidati a comprendere come si fa a smuovere le coscienzepiù di quanto non si sia fatto finora.  Mi sono resa conto  che non è possibile parlare di  Don Milani, senza ricordare  Maria Montessori. Pur appartenendo a luoghi e a periodi  diversi, foste  due figure straordinarie con molti  obiettivi in comune:  aver speso la propria vita per l’educazione di quei bambini che la società e la scuola avrebbero comunque messo da parte. Entrambi valorizzaste l’ individualità di ciascun bambino portandolo  a credere nelle proprie capacità e  vi prodigaste  per sviluppare la sua mentalità critica, il suo essere una  persona unica. Il vostro  più grande obiettivo: quello di educare  alla libertà.  Mi chiedo quale prodigio sarebbe nato da una vostra diretta collaborazione.

In realtà, un grande  incontro fu realizzato. Quello con il maestro Mario Lodi. Fu nell’agosto del 1963. Mario Lodi, uno degli insegnanti del MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) si recò, accompagnato da un amico giornalista, a visitare la sua scuola di Barbiana, incuriosito dal fatto che fosse un luogo particolare,  dove non c’erano né  vacanze, né  voti,  dove i ragazzi si aiutavano e si trasformavano in maestri gli uni degli altri e  dove c’era tanto altro ancora. Lei caro Don Milani, con l’umiltà di chi non desidera restare chiuso nelle proprie  convinzioni, tempestò di domande il maestro per sapere come fosse  l’ambiente educativo italiano  al di fuori della sua piccola parrocchia adibita a scuola. Insomma il confronto fra voi fu interessante e pur provenendo  da percorsi diversi, entrambi condivideste lo stesso scopo: anche qui quello di creare individui liberi che sapessero ragionare e diventare gli artefici del proprio futuro. Lei rimase entusiasmato dalla pratica della corrispondenza scolastica e, proprio in quell’occasione,  le venne in mente di stimolare uno scambio di lettere tra gli alunni  di Mario Lodi e i suoi, cosa che le fu di ispirazione in quello che sarebbe stato il futuro progetto della sua Lettera a una professoressa.

Che bello sarebbe stato  se con le conoscenze attuali, avessi avuto    la possibilità di vivere per un momento  nella sua   epoca. Forse le  avrei proposto di fare dei  cerchi magici, i cosiddetti circle time,  per parlare    di tutti  noi e   delle proprie esperienze  ascoltandoci  attivamente, come ci insegna Thomas Gordon, psicologo clinico americano che mise a punto uno degli strumenti più idonei a favorire la socializzazione.  Il circle time consiste nello spostare le sedie in cerchio, in modo che gli alunni si trovino in una situazione di parità e tutti  possano vedere bene il volto dei compagni. Anche l’insegnante si posiziona nel cerchio, assumendo il ruolo di facilitatore della comunicazione. Per stimolare i bambini più piccoli alla turnazione, si usa uno strumento magico (un oggetto qualsiasi),  che passa di mano in mano e solo chi lo ha  la possibilità di parlare, mentre gli altri ascoltano.    Sarebbe stato bello effettuare il circle time  anche con quei genitori,  troppo rassegnati al loro destino. Le rabbie, le paure, le insofferenze degli adolescenti sono palpabili e prorompono spesso in improvvisi fenomeni di aggressività.  Se lei avesse la possibilità di vivere in questa epoca, si renderebbe conto di  quanto una parte della nostra gioventù sia priva di controllo e di equilibrio, forse proprio a causa di certe insicurezze maturate nel tempo e mai manifestate.  Probabilmente,  combatterebbe  altre battaglie insieme a noi insegnanti per dimostrare quanto la scuola, quella vera, quella piena di passioni, possa fare molto per migliorare un individuo e il suo futuro.  .

Durante uno dei nostri cerchi magici, all’ascolto delle nostre emozioni, ho chiesto ai bambini se desiderassero diventare grandi o ne avessero paura,  e quale mestiere avessero voluto fare, qui di seguito i loro commenti, nei quali ho lasciato intatta la  struttura linguistica, affinché fosse valorizzata la spontaneità di ciascun di loro:

-Voglio diventare grande perché voglio andare in prima, così conosco altri bambini, non ho paura, da grande vorrei fare il cantante rock e il dottore degli animali-

-Ho paura di diventare grande, perché ho paura di sbagliare e mi sgridano, vorrei fare i balletti di musica classica-

-Si, voglio diventare grande perché così posso studiare e lavorare, vorrei fare la scrittrice e la veterinaria-

-Voglio diventare grande, non ho paura di andare in prima, perché voglio imparare a leggere e a scrivere, da grande vorrei fare il dentista-

-Sono rimasto a bocca aperta, quando siamo andati al mare e ho visto una stella marina spiaggiata. Mamma l’ha presa e l’ha rimessa in mare. Mi ha stupito vedere la stella marina per la prima volta-

Anche i suoi   ragazzi sognavano? Io sono convinta di si, credo desiderassero  anche loro diventare  esseri unici grazie ai suoi  insegnamenti.  A volte siamo proprio noi adulti a meravigliarci   dei   loro sogni e in essi  riscopriamo i nostri. Proprio ascoltando i loro preziosi desideri si può  cambiare realmente la scuola, la società tutta, ora come allora.

Lei  e altre straordinarie persone, avete iniziato il percorso, a noi e soprattutto,  alle future generazioni,  il compito di continuarlo.

Alla possibilità di conoscerci, magari in una prossima vita.

Un caro saluto.


Bibliografia di riferimento

Crispiani P. (2001), Pedagogia clinica – La pedagogia sul campo tra scienza e professione, Bergamo, Edizioni Junior.

Fabrizzi G. (2012), Ascoltare ed ascoltarsi…quando l’esperienza tra genitori diventa racconto, Percorsi del Centro Famiglie Villa Lais – ROMA CAPITALE – Municipio Roma VII – U.O.S.E.C.S. Centro Famiglie Villa Lais.

Gordon T. (2009), Genitori efficaci – Educare figli responsabili, Molfetta (BA),  Edizioni La Meridiana. (Titolo originale: P.E.T. Parent effectiveness training. The tested new way to raise responsible children, 1970).

Juul J. (2010), La famiglia è competente, Milano, Feltrinelli Editore. (Titolo originale: Din Kompetente Familie, 2007).

Milani L. (1967), Lettera a una professoressa, Firenze, LEF. (Prima edizione Oscar Moderni, 2017, Scuola di Barbiana – Lettera a una professoressa, Milano,  Mondadori).

Montessori M. (1977), La scoperta del bambino, Milano, Garzanti.

Salviati C. I. (2011), Mario Lodi Maestro, Giunti Scuola.

Zavalloni G. (2012), La pedagogia della lumaca, Bologna, EMI Edizioni

Dati ISTAT (dispersione scolastica)

Dati Garante Infanzia (relazione giugno 2022)

Dati AlmaLaurea 2022

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