di Gianfranco Brevetto
Mi è accaduto di sognare. Quando l’ho raccontato in giro, amici e conoscenti hanno sorriso. Non per il racconto in sé, ma per il fatto che in quel sogno ero morto. Freddato su una spiaggia da alcuni colpi di quella che, nei miei ricordi al risveglio, poteva essere una pistola come quelle che si usano nei baracconi delle fiere.
Il sorriso, seguito da uno sguardo a tratti preoccupato di chi mi ascoltava, era anche dovuto alle riflessioni che mi sembrava legittimo porre agli astanti. La prima è che, essendo morto in sogno, molto probabilmente non avrei potuto più sognare. La seconda era che, molto probabilmente, quel delitto che non aveva moventi sarebbe, con un po’ di accortezza da parte dei miei assassini, rimasto impunito.
La sera seguente, all’atto di coricarmi, ho percepito come un sottile brivido. Però mi sono subito rincuorato al pensiero che, se nel sogno ero già morto, quel luttuoso evento non sarebbe più potuto accadere. Via via che la mente si andava intorpidendo, nell’andirivieni di macchie buie e chiare di quel guazzabuglio mnestico che precede il sonno, un dubbio si è però affacciato: a nessuno di quelli che avevano ascoltato il racconto di sì vile e sciocca materia[1], e neanche a me, era venuto in mente che l’autore del sogno ero io.
Quindi io, e solo io, mi sarei dovuto assumere tutta la responsabilità di questo omicidio, che in fondo era nient’altro che un suicidio, anche se mascherato dalla comprensibile necessità di preservare me stesso.[2]
Ma che importa. Io ero ancora lì. Vivo e vegeto a raccontare di questa mia disavventura notturna. E questo era innegabile. Ma veniamo al seguito.
Per una di quelle casualità in cui anche il caso resterebbe a bocca aperta, mi è capitato, nei giorni successivi, di leggere un racconto di un altro sogno che evidentemente era più famoso del mio. Si trattava, in verità, di tre sogni da cui il signor Renato Cartesio, tra il 10 e l’11 novembre 1619, trasse indicazioni per una nuova scienza[3].
Ne avranno sorriso anche i suoi conoscenti? Roso da questo dubbio tentai, in poco tempo, di informarmi sulle vicende del filosofo fino a quando non mi imbattei nell’incipit del Discorso sul metodo. Dopo essermi convinto che anche io dovevo essere fornito di bon sens (cioè di lume naturale per intenderla cartesianamente ), mi soffermai sul primo precetto della nuova logica.
“Le premier étoit de ne recevoir jamais aucune chose pour vraie que je ne la connusse évidemment être telle”[4], evitando di accogliere nei giudizi nulla che non si presentasse in maniera chiara e distinta, in modo da non avere motivo per dubitarne.
Annotai queste frasi su un foglio di carta.
Ho traslocato. A me sembra molto di recente, ma è già passato un annetto. Continuo, però, ad inciampare nei libri che trascorrono i loro lunghi pomeriggi impilati sul pavimento. Con La metamorfosi di Kafka ho rischiato di finire diritto in ospedale. Piccolo libro ma insidioso.
Mentre, dolorante sul pavimento, mi massaggiavo il malleolo, ricordavo quale fossero state le reazione dei parenti di Gregor Samsa nell’ammirarlo al risveglio dai suoi sogni inquieti. In primo luogo, Samsa, che era divenuto un enorme insetto , si chiese cosa gli fosse accaduto. Voleva tornarsene a dormire ancora un po’, il meschino, per dimenticare tutte quelle sciocchezze. Ma non gli fu possibile. Perché? Semplicemente perché lui era abituato ad addormentarsi sul fianco destro ed ora, da insetto, non riusciva più a mettersi in quella posizione.
Signor Samsa, fece il procuratore con voce tonante, insomma cosa è successo? Questi era fuori della porta della camera da letto con i famigliari di Gregor che non si decideva ad aprire.
Più pesante la reazione della madre di Gregor. Alla vista del figlio-scarafaggio gridò aiuto! per amor di Dio aiuto! (Piccola annotazione: alla vista di figli-scarafaggi, le reazioni delle mamme napoletane sono ben diverse).
La povera donna, sconvolta, cadde tra le braccia del consorte che, dopo ulteriori movimentate vicende, ricacciò nella sua stanza Gregor brandendo un giornale e un bastone[5]. Questo è quanto accade allo svegliarsi dai sogni: si rischia di non essere riconosciuti.
Ma occorre stare in guardia dai sogni, lo stesso Freud fa dire alla gente seria: i sogni sono menzogne[6]. E, aggiungerebbero i logici, ex falso sequitur quodlibet[7].
A me era andata di lusso, In fondo ero solo morto. Non mi ero trasformato né avevo inventato una nuova scienza come Cartesio.
D’altronde, mi dicevo, i sogni non sono continuazione della realtà. Esiste pure sempre una distinzione, un frontiera da superare, da passare. Tuttavia scopriamo un’ evidente continuità che di razionale sembra proprio non aver nulla. Gregor è sempre se stesso al risveglio, anche se mutato in scarafaggio.
Nel mio caso, ciò che ha reso il tutto più reale è stato un meccanismo di verosimiglianza. Attenzione non si trattava di un sosia o di un’imitazione. Queste generano, come nello spettacolo, un sentimento di comicità. Quello del sogno, quel signore che è morto ammazzato con una pistola da baraccone, ero io. La situazione era verosimile ma non potevo essere io, come non posso essere vivo e morto nello stesso momento. Per questo il mio racconto faceva solo sorridere, con un sorriso che somigliava al grin del gatto del Cheshire. Eppure, in qualche modo, ero io. Apparentemente identico. Ma guai se lo fossi stato: il verosimile si accetta e fa sorridere, l’identico stravolge.
Eppure la verosimiglianza è il modo di riconoscerci. Di accettare di essere, allo stesso tempo, uguali ed estranei a se stessi[8], con tutte le conseguenze del caso. Ci si può confondere, il rischio è prendersi davvero per se stessi, come accadde al testardo Narciso:
se cupit inprudens et, qui probat, ipse probatur,
dumque petit, petitur, pariterque accendit et ardet. [9]
Esperienza a cui sembra rifarsi Borges, quando parla del tempo :
Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.
Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume;
E’ una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre;
E’ un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco.[10]
Nessuno dei due sbaglia. Ovidio e Borges sono arrivati fino alle ultime istanze del senso, dove la conoscenza non sembra poter andare oltre. E’ il regno dell’autoevidenza. I poeti si arrestano, l’oggetto coincide con l’azione. Il senso si ripiega su se stesso, diventa tautologia. Si procede per intuizione.
Quando si tratta di temi come identità, il tempo, il sacro o il divino (io sono colui che è) si percepiscono chiaramente questi limiti epistemologici. Una sorta di corto circuito della conoscenza .
In fondo, nulla ci è possibile dire della nostra identità perché nessuno potrebbe parlare, se non l’identità stessa. La separazione tra l’io narrante e l’io narrato è un artificio che spesso ha creato illusioni e confusioni.
In fondo, c’è ancora tanto da fare in questo campo. Di certo è che la ricerca di nuove strade per percorrere il tema dell’identità non può prescindere da una riformulazione degli strumenti della conoscenza.
In fondo, è noto che
Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí.[11]
[1] “Non si dèe dunque noiare altri con sì vile materia come i sogni sono, spetialmente sciocchi, come l’uom fa generalmente.” Giovanni Della Casa, Galateo.
[2] Il mettere in atto, durante il sogno, il proprio suicidio è un argomento che travalicherebbe questo intervento e anche le frammentarie conoscenze dell’autore in quel variegato campo dell’attività dell’intelletto umano che si è votato alla descrizione, sistematizzazione e interpretazione delle produzioni notturne. Si segnala, ad ogni evenienza, il racconto di Fedor Dostoevskij, il sogno di un uomo ridicolo. Qui il protagonista si addormenta all’atto del suicidarsi e mette in atto il suo proposito durante il sogno.
[3] cfr . Cartesio, Olympica
[4] Cartesio, Discorso sul metodo, Feltrinelli, pag. 139
[5] Franza Kafka, La metamorfosi, Bur, pag.65-66
[6] Sigmund Freud, Il sogno, Boringhieri, 1975, pag, 15
[7] Dal falso segue qualsiasi cosa a piacere
[8] Cfr. Albert Camus, Il Mito di Sisifo
[9] Ovidio, Le Metamorfosi, Narciso e Eco, libro III, vv. 425-426 (Desidera, ignorandolo, se stesso, amante e oggetto amato, mentre brama, si brama, e insieme accende ed arde).
[10] J.L. Borges, Opere Complete, Mondadori, Milano, vol. I, 1984, pag 1089
[11] Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì . Augusto Monterroso el dinosaurio, trad. it. Il dinosauro, in Opere complete e altri racconti, AUEIO, 2003, pag. 93