di Giacomo Dallari
Oggi, forse più che in altri periodi storici, si avverte una profonda necessità di cambiamento che investe tutti quei dispositivi e tutte le pratiche che utilizziamo per condurre bambini e giovani all’età adulta e per accompagnarli nella dimensione sociale e collettiva.
Il sistema di istruzione, proprio come ogni altro sistema di raccordo sociale e culturale fra generazioni, è chiamato quindi ad una radicale trasformazione che riguarda non solo le sue funzioni, ma anche il proprio impianto concettuale e le proprie modalità operative.
Uno dei principali cambiamenti ai quali stiamo assistendo riguarda, infatti, il rapporto che lega la formazione e il tempo e di come tale rapporto, soprattutto nell’ultimo decennio, abbia notevolmente influenzato lo stesso sistema ed i contenuti del processo di istruzione.
In una società stabile e caratterizzata dalla prevedibilità, il tempo è vissuto come un cammino rettilineo, scandito da precise fasi nelle quali sono chiaramente distinguibili gli obiettivi ed i contenuti. In un tale assetto, infatti, le ragioni stesse dell’esistenza dei sistemi di istruzione si basano su solide certezze e si poggiano su un chiaro ed esplicito impianto valoriale da trasmettere, su conoscenze chiave da passare di generazione in generazione, e su un sistema sociale, economico e lavorativo che rimane pressoché immutato nel tempo.
Oggi che le comunità hanno difficoltà a definirsi in modo così chiaro e che il concetto di cultura da trasmettere assume contorni sempre meno nitidi, appare necessaria una ridiscussione non solo dei contenuti da tramandare, ma anche dei modelli relazionali e strumentali che utilizziamo per attribuire significato al mondo e alla realtà.
Se pensiamo alla funzione della scuola, e più in generale della formazione, ci si rende immediatamente conto, infatti, che in una società stabilmente strutturata, il sapere può essere trasmesso senza che esso perda il suo valore di utilizzo per le persone e senza che vengano scalfiti tutti quei significati che andavano a costituire comportamenti, ruoli sociali, abitudini, stili di vita e ruoli professionali. Al contrario, in un assetto sociale caratterizzato da una accelerazione delle pratiche educative (e non solo), da una instabilità che non necessariamente deve essere percepita come minaccia, queste modalità appaiono ormai poco giustificabili e, francamente, poco efficaci. Non solo si vengono a modificare rapidamente le conoscenze necessarie a organizzare il proprio futuro e a gestire la propria vita intellettuale e professionale, ma anche l’intero complesso valoriale, comportamentale e pratico che, paradossalmente, muta ad una velocità superiore rispetto al patrimonio di conoscenze che lo ha determinato.
Attualmente appare evidente che la formazione, o meglio ancora il processo di apprendimento, abbia perso la sua dimensione temporale definita, che fino a qualche decennio fa costituiva l’unica porzione di tempo dedicata al recupero delle conoscenze, per abbracciare una visione che è stata definita lifelong learning, racchiudendo in tale orientamento non solo una nuova e più ampia prospettiva temporale, ma anche una nuova e più efficace visione antropologica generale.
In una società complessa come quella attuale, dove la formazione diviene una necessità che sempre più spesso ci accompagna per gran parte della nostra vita, si sente forte il bisogno di ridefinire e ripensare il concetto di apprendimento non più basato esclusivamente sul paradigma dei contenuti, strutturati in programmi e curricoli, ma centrato sul concetto di esperienze e attitudini personali dove il tempo si dilata e diviene esso stesso uno strumento di conoscenza e una risorsa per l’apprendimento.
Il fulcro principale di un approccio simile risiede nell’idea che ogni azione umana e ogni atto umano abbiano in se un valore formativo e che le conoscenze più che costituite da nozioni stratificate o da contenuti sterili, siano da intendersi quali risorse da utilizzare e modificare continuamente. In questo senso assistiamo ad un lento superamento dei luoghi che tradizionalmente erano deputati alla formazione e ad una dilatazione temporale che vede gli esseri umani come eterni studenti, cioè persone pronte al cambiamento, disposte ad un lavoro educativo su se stesse tale da offrirgli migliori strumenti per decifrare il mondo e per trovare in esso una propria dimensione professionale, intellettuale e umana.
Lo stesso vocabolario che tradizionalmente ha caratterizzato il lavoro delle istituzioni educative sta progressivamente abbandonando concetti come “bagaglio di conoscenze” o “bagaglio culturale” preferendo concetti più leggeri, ma non per questo meno complessi, come competenze e capacità, che più che caratterizzate da contenuti e informazioni, sono strutture mentali con le quali conosciamo e diamo senso alla realtà. «Conoscere – come ci ricorda Edgar Morin – comporta necessariamente informazioni, cioè possibilità di sciogliere delle incertezze. Ma la conoscenza non si riduce a delle informazioni; la conoscenza ha bisogno di strutture teoriche per poter dare un senso alle informazioni; e ci si rende allora conto che se abbiamo troppe informazioni e poche strutture mentali, l’accesso alle informazioni ci sprofonda in un “nugolo di misconoscenze” …» (Morin; 1988, p.86)
L’evoluzione continua e frenetica dei saperi richiede infatti, oggi, di saper integrare conoscenze, cioè informazioni, fatti, teorie e pratiche, con abilità e competenze, cioè con il saper applicare tali conoscenze in modo dinamico e flessibile, senza tralasciare le attitudini personali e le qualità umane. Così come definito nel Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente una competenza è dunque una «capacità comprovata di utilizzare conoscenze, abilità e disposizioni personali, sociali o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e per lo sviluppo personale e professionale» (EQF, 2009, p.11).
Volendo utilizzare una metafora, potremmo affermare che se fino a qualche decennio fa nel viaggio della vita le fermate erano chiare, le tempistiche assodate e i mezzi di trasporto definiti in partenza, oggi appare sempre più complesso sia stabilire la destinazione di arrivo, che il necessario per il viaggio, nonché la sua durata temporale. Meglio allora abituarsi ad un viaggio, forse più lungo e complicato, nel quale si sceglie di volta in volta il mezzo di trasporto più adatto e partire con un bagaglio leggero ma intelligente che contenga l’essenziale per approfittare di ogni sosta e trovare la spinta necessaria per affrontare al meglio la tappa successiva.
E.Morin, Scienza con coscienza, Franco Angeli, Milano, 3^Edizione 1988.
Comunità Europea, Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) – Istruzione e Formazione, Belgio, 2009.
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