EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Di padri e di figli

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di Aurelio Farina – Roberto, il giovane studente universitario protagonista di uno degli ultimi racconti di Gianfranco Pecchinenda, è un ragazzo calmo, tranquillo e laborioso che si dedica al suo lavoro e ai suoi studi con applicazione e diligenza. Il lettore, riga dopo riga, si affeziona fatalmente a questo personaggio, al suo modo pacato di affrontare l’esistenza, soprattutto quando un evento improvviso, per quanto non del tutto imprevedibile, finisce drammaticamente per vanificare tutti i suoi sforzi. Quando un giorno la madre gli telefona per comunicargli la morte del padre, infatti, Roberto entra in una sorta di vortice esistenziale che lo conduce lentamente verso il fallimento dei suoi progetti, spalancando le porte ad una sorta di assurdo delirio. Gli eventi che travolgeranno il ragazzo a partire da questo momento, saranno tutti caratterizzati da una situazione di assoluta straordinarietà: la realtà, la quotidianità, si rivelerà essere sempre più impregnata dalla letteratura; come se oggetti, ambienti e personaggi fino ad allora presenti solo nella mente di Roberto, che li aveva conosciuti attraverso le sue letture, cominciassero ad accompagnare e ad invadere il senso e il significato di tutte le sue azioni.

La descrizione che forse meglio rappresenta questa geniale condizione in cui l’immaginazione letteraria si interseca inesorabilmente con il senso della realtà quotidiana, la possiamo leggere nel brano che segue:

Nell’indossarlo, ebbe la chiara sensazione che quello di suo padre non fosse un cappotto qualsiasi, ma “il”cappotto. E non solo perché gli calzava alla perfezione. Questa riflessione lo accompagnò quasi ossessivamente nei minuti o forse nelle ore successive trascorse lì, appoggiato alla porta di quell’appartamento, stremato, mentre si sentiva lentamente scivolare verso terra.

La vecchia signora, il funzionario Akakièvic, il cappotto… – continuava a pensare – perché a volte le parole rinviano a significati legati non tanto agli oggetti materiali che servono a designare, quanto piuttosto alle storie in cui sono intrecciate e attraverso cui abbiamo imparato, in qualche momento imprecisato della nostra esistenza, a conoscerle.

E la storia di Gogol’, quella del cappotto, unita alla storia del vecchio cappotto di suo padre, stava in quel momento invadendo e trasfigurando, nella sua stanca mente, quel che restava di quei molteplici e confusi pensieri elaborati nelle ultime ore.

Aveva letto il racconto del genio russo nelle lunghe e noiose ore in cui era stato costretto al capezzale del padre morto, quando cercava di nascondere l’imbarazzo di dover presenziare a quel continuo viavai di persone che entravano ed uscivano durante la notte di veglia. Avrebbe voluto approfittarne per poter ripetere gli argomenti dei testi d’esame, ma la madre glielo aveva sconsigliato, le sembrava poco opportuno. La gente non avrebbe capito e addirittura avrebbe potuto interpretare quel suo atteggiamento come un segno offensivo di distacco, se non di assoluta indifferenza, nei confronti della figura del padre.

Allora aveva deciso di prendere quel piccolo libricino che qualcuno, forse il padre stesso, senza essersi peraltro mai preso neppure la briga di sfogliarlo una sola volta, aveva con indifferenza inserito tra i pochi libri collocati in fila su una mensola del salotto di casa, e se lo era infilato nella tasca della giacca.

Seduto al fianco del corpo del padre, alternava baci e abbracci di condoglianze con persone perlopiù sconosciute, a brevi letture del racconto e a successive fasi di fugaci assopimenti. Talvolta era riuscito, nel pieno della notte, anche ad addormentarsi del tutto.

Questa storia, sorprendente e suggestiva,  è contenuta nella raccolta di racconti intitolata Come se niente fosse, dell’editore Ad Est dell’Equatore . La sua tensione interna e la qualità letteraria che essa esprime è tale da indurre sulle prime ad una audace e imprudente accostamento a maestri quali Gogol e Kafka, ovviamente trasportati nei nostri tempi e nel nostro universo.

Il rapporto Padre-Figlio diventa protagonista dei racconti intitolati L’interdetto, Reliquia e, forse soprattutto, Kafka-Kafta – probabilmente la più visionaria e sconcertante tra le storie scritte da Pecchinenda – un racconto in cui i personaggi sembrano sempre in attesa che qualcosa d’importante possa accadere: apparentemente passivi, essi agiscono in realtà con l’inestirpabile certezza che qualcosa accadrà. E qualcosa, in effetti, accade. Quando però accade, l’evento rivela al contempo che l’esistenza è sempre da qualche altra parte. E che è non esiste alcun significato: che è tutto assurdo, inutile, imprevedibile.

 

 

Riferimenti

 

Gianfranco Pecchinenda, Come se niente fosse, Ad Est dell’equatore (2015) – http://www.adestdellequatore.com/2015/11/come-se-niente-fosse/

 

Gianfranco Pecchinenda, L’ombra più lunga. Tre racconti sul padre, Colonnese (2009)

http://www.libreriauniversitaria.it/ombra-piu-lunga-tre-racconti/libro/9788887501971

 

Gianfranco Pecchinenda, Kafka-Kafta. Cuentos de padres y de sombras, Carena (2016)

http://www.udllibros.com/libro-kafka,_kafta-Y520030259

 

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