di Monica Pratelli
Disgrafia e difficoltà grafo-motorie
Valutazione, intervento e prevenzione
Erickson, 2022
Le difficoltà grafo-motorie interferiscono notevolmente sul benessere psicologico degli alunni, poiché la scrittura rappresenta la componente più visibile dell’apprendimento.
Una grafia disorganizzata e poco comprensibile pone i bambini e i ragazzi di fronte alla certezza della propria incompetenza; i quaderni pasticciati, sgualciti, pieni di sgorbi poco comprensibili sono un segno tangibile di incapacità, con la quale essi possono finire con l’identificarsi. Scrivere è importante; la scrittura è un gesto umano che ci caratterizza, che esprime anche la nostra personalità, ma, in questo nostro tempo digitale, si assiste a un paradosso: la scrittura è richiesta massicciamente in ambito scolastico, ma i bambini vivono in misura molto parziale esperienze percettivo-motorie significative, che sono alla base dello sviluppo della coordinazione e di altre abilità indispensabili. Quei quaderni sono contenuti simbolicamente in uno zaino pesante, che è difficile togliersi dalle spalle; uno zaino che si trascina tra casa e scuola, generando talvolta l’incomprensione degli adulti, che non sempre interpretano nel modo giusto i segnali di difficoltà, attribuendoli magari all’assenza di impegno, alla disattenzione.
Nelle pagine iniziali di questo volume sono descritte le caratteristiche della disgrafia, in modo da facilitare un riconoscimento precoce dei segnali. Si procede poi a illustrare una serie di prove che consentono la valutazione della disgrafia e l’individuazione delle aree di difficoltà e delle risorse del soggetto. I test proposti possono sembrare obsoleti, ma sono davvero efficaci, in quanto offrono risultati chiari. Si affronterà poi l’intervento (ri)abilitativo della scrittura, con i suoi due percorsi paralleli: l’itinerario relativo allo sviluppo delle competenze di base e l’itinerario specifico per la scrittura. Una parte è dedicata alla prevenzione delle difficoltà grafo-motorie e si procede poi con l’affrontare la componente psicologica, che inevitabilmente questo tipo di disturbo porta con sé, delineando percorsi di aiuto per genitori e per la famiglia intera.
Questo libro vuole offrire un aiuto agli specialisti e agli insegnanti:
- per imparare a «leggere», più precocemente possibile, i segnali che i bambini ci mandano;
- per integrare il percorso diagnostico in relazione alla disgrafia;
- per promuovere percorsi di prevenzione, attivando il potenziamento delle abilità di base e delle abilità di scrittura, ma senza perdere mai di vista la componente emotivo-affettiva;
- per ridurre, quanto più possibile, il rischio che il disagio psicologico che il disturbo può comportare ponga ostacoli insormontabili alla serenità, all’autostima e al senso di autoefficacia.
L’intento di questo lavoro è stato quindi quello di affiancare alla cura dell’individuazione precoce, della prevenzione e della diagnosi, la cura delle relazioni con il soggetto che presenta difficoltà così particolari, che interferiscono non solo sull’apprendimento e sul rendimento scolastico, ma nella quotidianità e che, in misura significativa, creano disagio psicologico. Chiediamoci quindi: “Come stanno i bambini disgrafici?”
Purtroppo è frequente che le difficoltà specifiche di apprendimento non vengano individuate precocemente e il bambino sia costretto così a vivere una serie di insuccessi a catena, senza che se ne riesca a comprendere le motivazioni. Quasi sempre i risultati insoddisfacenti in ambito scolastico vengono attribuiti allo scarso impegno, al disinteresse verso le varie attività, alla distrazione, e così questi alunni, oltre a sostenere il peso della propria incapacità, si sentono anche responsabili e colpevoli.
L’insuccesso prolungato genera scarsa autostima; dalla mancanza di fiducia nelle proprie possibilità scaturisce un disagio psicologico che, nel tempo, può strutturarsi e dare origine a un’elevata demotivazione all’apprendimento e a manifestazioni emotivo-affettive particolari, quali la forte inibizione, l’aggressività, gli atteggiamenti istrionici di disturbo alla classe e, in alcuni casi, la depressione.
Il soggetto con un disturbo di apprendimento vive quindi il proprio problema a tutto tondo e ne rimane imprigionato fino a che non si fa chiarezza, fino a che non viene elaborata una diagnosi accurata che permette finalmente di scoprire le carte. La disgrafia pone il bambino di fronte alla certezza della propria incompetenza, poiché è l’aspetto più visibile del suo apprendimento; il suo quaderno è pasticciato, sgualcito, pieno di correzioni e segni rossi e di una serie di parole incomprensibili che sembrano gli scarabocchi dei bambini piccoli quando «fanno finta» di scrivere. Quel quaderno è un segno tangibile della sua incapacità e l’alunno finisce per identificarsi con esso: non è la sua scrittura che non va bene, lui stesso a non andare bene.
A scuola si scrive, ma non solo durante le ore di educazione linguistica: si scrive sempre, in ogni materia, si scrive anche troppo e quello zaino diventa il contenitore delle difficoltà.
Ma lo zaino non si lascia a scuola, si porta anche a casa, per fare i compiti per il giorno dopo, per mostrare il lavoro di scuola ai genitori e va a finire che… quello zaino si finisce per portarlo sulle spalle ovunque, almeno fino a che non si trova una via di uscita.
Il bambino disgrafico, come spesso capita in genere al bambino con un disturbo di apprendimento, vive sulla propria pelle la difficoltà; egli si trova a fare parte di un contesto (la scuola) nel quale vengono proposte attività per lui troppo complesse e astratte, ma in cui osserva che la maggior parte dei compa- gni si inserisce con serenità ottenendo buoni risultati. Sente su di sé continue sollecitazioni da parte degli adulti («Stai più attento!»; «Impegnati di più!»; «Hai bisogno di esercitarti molto.») e spesso non trova soddisfazione neanche nelle attività extrascolastiche, poiché le lacune percettivo-motorie possono non farlo «brillare» nello sport o non renderlo pienamente autonomo nella quotidianità. Ecco che si percepisce come incapace e incompetente rispetto ai coetanei e inizia a maturare un forte senso di colpa; si sente responsabile delle proprie difficoltà, ritiene che nessuno sia soddisfatto di lui: né gli insegnanti né i genitori.
Talvolta, per non fare percepire il proprio disagio, mette in atto mecca- nismi di difesa che non fanno che aumentare il senso di colpa, come il forte disimpegno («Non scrivo perché non ne ho voglia!»; «Non eseguo il compito perché non mi interessa») o l’aggressività.
Il disagio può essere così elevato da annichilire il soggetto, ponendolo in una condizione emotiva di forte inibizione e chiusura.
È davvero importante individuare precocemente il problema, dando il prima possibile il via a un adeguato percorso, finalizzato sia alla riduzione della difficoltà specifica che alla maturazione di più adeguati livelli di autostima.
È chiaro che risulta indispensabile il coinvolgimento della scuola e della famiglia, in quanto luoghi e scenari di vita del soggetto: il riconoscimento della difficoltà, l’individuazione delle capacità, la comprensione del vissuto emotivo- affettivo, la valorizzazione degli ambiti di competenza e la promozione di più adeguati livelli di sviluppo, potranno garantire buoni risultati sia sul piano grafo-motorio che per il bambino nella sua interezza.
La collaborazione della famiglia è fondamentale, in quanto il bambino disgrafico possiede livelli di autonomia quotidiana piuttosto bassi in relazione all’età cronologica. Le difficoltà di coordinazione dinamica e visuo-motoria interferiscono infatti nelle sue prestazioni, che risultano goffe, impacciate, lente e imprecise.
I genitori, d’altro canto, sono spesso portati ad anticipare le azioni e a eseguirle al posto del bambino, ed è per questo che si rilevano il più delle volte significative ripercussioni anche nell’autonomia personale. Quelle più frequentemente riscontrate sono le difficoltà a:
– eseguire autonomamente le attività quotidiane (vestirsi, lavarsi, prepararsi lo zaino, ecc.); svolgere attività quotidiane che richiedono un’adeguata coordinazione oculo-manuale e motoria (tagliarsi la pizza, mangiare con precisione, allacciarsi le scarpe, ecc.);
- orientarsi nello spazio a disposizione;
- localizzare i materiali che servono in un determinato momento;
- tenere in ordine i propri materiali;
- svolgere giochi costruttivi da effettuare su un modello dato;
- orientarsi nel tempo quotidiano (essere puntuali, saper aspettare il momento giusto, sapere con precisione che momento della giornata si sta vivendo, sapere più o meno che ore sono);
- orientarsi nell’orario scolastico (successione delle materie, organizzazione dei compiti, ecc.);
- orientarsi nel tempo prossimale (ieri, oggi, domani, ecc.);
- leggere l’orologio;
- memorizzare i giorni della settimana;
- orientarsi nei giorni della settimana (che giorno è oggi, che giorno era ieri, che giorno sarà domani, ecc.);
- memorizzare i mesi dell’anno e orientarsi rispetto alle festività.
- ed altro ancora.
La famiglia può collaborare, permettendo al bambino la conquista gra- duale di nuove competenze legate all’autonomia personale, evitando così che egli possa sentirsi incapace non solo in ambito scolastico, ma anche nella quotidianità, e facendo leva sulle reali capacità individuate durante l’osservazione.
L’intervento terapeutico, quindi, non può essere rivolto solo al soggetto che presenta difficoltà. ma necessita di un lavoro di rete, che coinvolge la scuola, per le sue peculiarità, ma anche la famiglia, la coppia genitoriale. Ecco perché è fondamentale lavorare con i genitori.
Il percorso di consulenza alla famiglia, di cui si parla ampiamente nel libro, è di grande importanza, poiché consente ai genitori di comprendere di che tipo di difficoltà davvero si tratta e in che modo si manifesta, riduce negli adulti il senso di colpa, che spesso li accompagna ogni volta che un figlio presenta un problema, determina una riduzione anche del rischio di comportamenti inadeguati, come i frequenti rimproveri, le incomprensioni, la pressione eccessiva sul compito.
Dai colloqui con i genitori dei bambini che presentano disgrafia o altro DSA emergono, con frequenza, tratti comuni in relazione sia ai vissuti emotivo- affettivi sia alle esperienze di vita familiare.
Il figlio è spesso considerato prevalentemente nella componente scolastica, per cui la comunicazione con lui è poco variabile («Hai finito i compiti?»; «Com’è andata la verifica?»; «Stai attento!»; «Sii preciso!»). Ecco che la relazione affettiva assume contenuti negativi, va a cogliere i punti deboli e vengono trascurate le aree che potrebbero risultare positive, quali, ad esempio, il gioco, la partecipazione attiva alla vita familiare, la sua autonomia in attività diverse, ecc.
D’altro canto, i genitori non riescono a spiegarsi, almeno fino a che la diagnosi non è stata elaborata, il motivo per cui il loro bambino, che sembra intelligente, non riesca a scrivere come gli altri, e attribuiscono la causa a una mancanza di applicazione. Nonostante si parli molto di queste difficoltà particolari, circolano ancora pensieri di questo tipo negli adulti, anche perché la disgrafia, forse, è meno considerata, ad esempio, della dislessia. I genitori, inoltre, possono sentirsi non all’altezza sia di comprendere sia di aiutare; talvolta si sentono in colpa per non avere abbastanza pazienza, per rimproverare troppo frequentemente, altre volte accusano la scuola di incompetenza.
E i figli rimangono in mezzo: tra la scuola e la famiglia, tra i compiti e il genitore che li aiuta, tra le difficoltà e i risultati. È frequente che l’eccessiva focalizzazione sulla scuola e sulle difficoltà sia di impedimento alla condivisione di esperienze familiari piacevoli. Si fanno i compiti anche la domenica, si salta lo sport, perché porta via tempo prezioso per lo studio.
Un’altra reazione a cui si assiste con una certa frequenza si manifesta, al contrario, nella richiesta eccessiva alla scuola di misure dispensative («Se mio figlio è disgrafico non deve scrivere»; «Deve usare solo la tastiera»; «Non deve avere compiti a casa», ecc.).
La consulenza ai genitori si pone quindi una serie di importanti obiettivi:
- comprendere di che tipo di difficoltà si tratta e come si manifesta nel bambino;
- ridurre, nei genitori, la sensazione di essere incompetenti e responsabili della difficoltà del figlio;
- ridurre l’attribuzione di responsabilità e colpa al figlio;
- aiutare i genitori a riconoscere le capacità del figlio, i suoi punti di forza;
- favorire l’interiorizzazione di esperienze soddisfacenti;
- aiutare a comprendere che il figlio non è solo uno «scolaro» e permettere la valorizzazione di tutte le componenti non scolastiche;
- favorire lo sviluppo dell’autonomia personale del figlio;
- promuovere la capacità di porsi nei panni del figlio, di condividere stati d’animo importanti.
Quest’ultimo aspetto è davvero fondamentale, poiché consente di osservare il mondo con gli occhi dei figli, di cogliere i loro bisogni e desideri. Una parte della consulenza deve essere dedicata a un aspetto importante: la riorganizzazione dello spazio e del tempo familiare.
I soggetti disgrafici, com’è stato ampiamente descritto, possono manifestare significative carenze nelle abilità di base relative all’organizzazione spazio-temporale e alla coordinazione oculo-manuale e fine-motoria, e questo interferisce anche sulla gestione della quotidianità. Lo spazio e il tempo, in modo particolare, rappresentano strutture di base grazie alle quali si svolge la vita familiare. «Dove?» e «Quando?» sono domande guida che collocano tutte le nostre azioni. Nell’esperienza clinica e dagli studi effettuati presso l’Istituto Centro Method sono emerse caratteristiche particolari che si riscontrano in molte famiglie con bambini che presentano DSA (circa nel 60%), come evidenziato di seguito.
L’organizzazione delle routine quotidiane è ridotta, gli orari sono molto flessibili e i momenti importanti della giornata sono poco caratterizzati da azioni abitudinarie (orari, ritmi di vita risultano spesso variabili, con eccessiva apertura agli imprevisti).
Gli eventi quotidiani sono permeati dalla fretta, come se non ci fosse mai abbastanza tempo per fare le cose, come se non si facesse in «tempo» a portare a termine le varie azioni.
Si rileva una scarsa progettualità, una difficoltà a organizzare esperienze condivise. Si assiste a una ridotta differenziazione dei giorni, con ridotta distinzione tra momenti feriali e festivi, per cui i giorni sono tutti uguali.
In molte famiglie non sono presenti regole condivise e interiorizzate, per cui sono necessarie continue sollecitazioni anche rispetto ad attività che dovrebbero essere abitudinarie e scontate, come se mancassero le consuetudini, come se prevalesse l’incostanza, la ridotta programmazione.
L’organizzazione degli spazi interni all’abitazione è spesso ridotta (i giochi sono ovunque, per i compiti non c’è una postazione stabile, non si trovano facilmente le cose, come se non ci fosse un «posto»).
Il disordine è un’altra caratteristica: i genitori se ne lamentano, ma non trovano le giuste soluzioni. Anche lo zaino del bambino è caotico, gli oggetti non sono disposti con criterio, i quaderni sono pieni di «orecchie», l’astuccio è aperto, i pennarelli sono privi di tappo e sparsi sul fondo, ecc.
C’è da dire che queste caratteristiche possono essere presenti nella vita di tutti noi. Il ritmo intenso della quotidianità mette in secondo piano l’ordine e la precisione, tuttavia l’osservazione di molte famiglie con bambini che presentano un Disturbo Specifico di Apprendimento, ha permesso di individuare peculiarità davvero evidenti.