EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Dintra st’immensu magazzinu di spiranza. Poesia e Mediterraneo in un’intervista a Enzo Mancuso.

di Gianfranco Brevetto

Si può essere ancora poeti? Sì. Si può avere il coraggio di essere poeti e musicisti, di quelli che vanno a cercare, cercare le origini, non solo proprie, ma quelle comuni, quelle che danno speranza. I Fratelli Mancuso, Enzo e Lorenzo, da anni sono presenti nel patrimonio musicale e letterario proponendoci musiche e testi, scritti in dialetto siciliano, che hanno il pregio di educarci, a comunicare, a sentire. L’Editore Mesogea ci omaggia di una ricca raccolta di testi di Enzo Mancuso, in lingua con una pregevole traduzione a fronte, dal titolo Sfrimma, Apri.

– Enzo, la tua figura segna trasversalmente molte arti, il tuo lavoro appare frutto di una indubbia ricerca antropologica e etnomusicale. Nella lettura di Sfrimma, sono stato sollecitato, tra l’altro, dall’uso del dialetto. Nel corso degli anni l’uso di lingue e dialetti è divenuto ambivalente, segno di chiusura o potenzialità di nuove e più aperte possibilità comunicative linguistiche. Credo che questo sia uno dei punti centrali di questo libro.

– Sì, questo tema è centrale, la lingua come identità viene, purtroppo, spesso strumentalizzata da persone o movimenti con interessi che nulla hanno a che vedere con il confronto e il dialogo. La scelta del dialetto, per quanto mi riguarda, è legata a doppio filo all’esigenza di espressione, anche musicale, del suono e quindi di recuperare un mondo sepolto, di utilizzare possibilità e strumenti di espressione che non ho trovato altrove.  La ricchezza del dialetto siciliano, in particolare quello parlato nella provincia di Caltanissetta, è l’unica via per riscoprire, dentro di me, suoni sopiti dall’infanzia, alla ricerca della musica e del canto.

– In una delle tue poesie, dal titolo Cu u sapi pirchì, tu scrivi che le radici hanno un sapore amaro, cosa significa?

– Può significare diverse cose, la lingua parla spesso di ferite che portiamo con noi. Quello che abbiamo vissuto rappresenta, dentro di noi, un mondo che deve trovare una via, una luce. L’amarezza della radice è una metafora per rappresentare appunto la fatica che si fa per superare se stessi, la propria storia.

– Molti dei testi, che ci propone Sfrimma, sono testi di canzoni. Se ne percepisce la musicalità, mi ha particolarmente colpito Certi siri viu navi, dove si alternano, con impercettibili varianti, versi ottonari e quinari in strofe da cinque versi. L’ho preferita leggerla in siciliano perché se ne gustano la morfologia e la prosodica originarie.

– Diciamo che non potrei cantare che in questa lingua, i suoni sono compenetrati nella scelta del siciliano. È una lingua a volte dura ma, al tempo stesso, tradisce  possibilità di dolcezza infinita, i suoni chiusi sono, spesso, suoni di un’introversione che invita ad essere scoperta. Certi siri viu navi parla di un sogno che ho fatto, ho cercato di esprimere queste immagini. Non è un caso che questa poesia  sia stata scelta come tema di un bellissimo volume, illustrato da Gianluigi Toccafondo, che uscirà per il prossimo Natale. Certi siri viu navi è anche una metafora dell’impossibile che si fa possibile. L’immaginario, le navi che percorrono le montagne, appartengono ad mondo onirico che offre delle chiavi per scoprire, di strofa in strofa,  dettagli e associazioni cose che non sono così evidenti nella realtà, che non ci si aspetta di trovare.

– Leggendo questo libro ho riflettuto, ancora una volta e se mai ce ne fosse ancora bisogno, sulla vera consistenza della poesia. I tuoi versi non sono mai banali, le parole sono frutto di un’attenta analisi, di una ricerca di senso, verso dopo verso. Qui non si è trattato di scrivere salendo sui trampoli o costruendo vane pantomime. Insomma, per te, cos’è la poesia?

– Ogni grande poeta si è esercitato a dare la risposta a questa domanda. Io potrei rispondere con un’immagine molto bella e semplice che ci ha dato  poetessa polacca Wislawa Szymborska , lei ci dice che non sa cosa sia la poesia, ma che si aggrappa ad essa come alla salvezza di un corrimano. Ecco, la poesia è il nostro corrimano, per non cadere, per non scivolare, il nostro punto di salvezza e di sicurezza al quale non possiamo assolutamente rinunciare.

– La poesia, scritta nelle diverse lingue e i dialetti del Mediterraneo è ancora molto viva. Aspira e vuole costruire un ponte attraverso un mare che è l’eterno presente per gli uomini che abitano le sue rive. Un ponte fatto di parole che esprimono sentimenti, dolore, rabbia. Secondo te, esiste una  poesia mediterranea? Può avere una  funzione civile?

– Sempre più abbiamo bisogno di una poesia che riesca a interpretare quanto più fedelmente possibile quello che è la nostra vita e, ad esempio, quello che sta succedendo in questo momento nel Mediterraneo. A questo proposito esistono degli esempi stupendi di letteratura anche dall’altra sponda del nostro mare. La stessa casa editrice Mesogea nasce per quest’attenzione rivolta a al dialogo con i paesi della letteratura araba, questa è stata una delle ragioni per le quali sono stato contento di pubblicare con loro. Per venire a noi,  la poesia assolutamente deve sporcarsi le mani, nel senso che deve toccare davvero quella che è la ferita sociale e umana di  milioni di persone che sono in viaggio e che, invece,  trovano spesso  violenza e porte chiuse.

 

Enzo Mancuso

Sfrimma

2019 Edizioni Mesogea

 

 

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