EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Donne mediatrici per una pace duratura – intervista a Maria Caterina Federici

di Federica Biolzi

Con la parola mediazione, si indica l’azione esercitata da un soggetto, persona, ente, nazione, volta al superamento di un contrasto ma finalizzata ad una risoluzione tramite un accordo. In questo volume Maria Caterina Federici vuole evidenziare come la mediazione sia qualcosa in più, che va oltre l’ascolto attivo, per arrivare a comprendere i bisogni della persona, accettandola senza barriere mentali che, spesso,  sono ostacolo all’incontro e allo scambio. Il libro vede le donne protagoniste di un percorso di pace e dove le storie di vita s’incontrano con le prospettive future. L’identità, la progettualità ed il dialogo, divengono il punto di partenza in questa crescita.

– Il titolo del libro L’arte femminile della mediazione rimanda al ruolo centrale della donna in questo fondamentale campo. Perché?

– Il ruolo centrale della donna nella mediazione è di notevole importanza per diversi fattori, anche se emerge un dato rilevante, ossia, solo il 2% dei mediatori, ad oggi, sono donne (dato ufficiale della Farnesina). Vi è una specificità di genere. La donna è, per sua costituzione fisica, psichica e culturale, colei che tiene in piedi le situazioni familiari e di relazione durante i conflitti, durante le situazioni più difficili. La donna inoltre è il soggetto che avendo bambini, o comunque occupandosene, riesce a trasmettere dei valori di pace. Noi abbiamo verificato che la trasmissione del conflitto, il valore conflittuale o il valore della guerra, avviene anche attraverso l’educazione, l’informazione, la cultura, la formazione. Un po’ come accade nella trasmissione per la mafia, all’interno della famiglia mafiosa. Quello della donna è quindi un ruolo centrale. Il genere femminile sembrerebbe peraltro avere una maggiore “empatia”, una maggiore capacità di mettersi nei panni dell’altro. Per tutte queste ragioni stiamo cercando di investire fortemente sui processi formativi delle donne che vengono da scenari molto difficili e violenti, proprio perché crediamo in questi punti di forza.

–  La resilienza appare come una qualità fondamentale del genere femminile. Perché le donne si sono da sempre caratterizzate per forme di sopravvivenza strategiche, purtroppo non sempre riconosciute?

– La donna ha una grossa resilienza fisica e psichica, cerca le relazioni tra le persone, è meno conflittuale e più resistente. Però, quasi mai alla donna viene riconosciuto questo ruolo. Il dato che ho già evidenziato, che solo il 2% delle donne è tra i mediatori, è molto basso, considerando che noi abbiamo un notevole bisogno di donne mediatrici, figure professionali oggi indispensabili. La maggior parte dei mediatori però che ci ritroviamo è uomo, con una formazione diversa, assistiamo ad una mediazione poco mediata.  La mediazione culturale, ci tengo a precisare, è un percorso formativo ad hoc, mirato sula composizione del conflitto, la comprensione della cultura dell’altro, la ricomposizione delle situazioni conflittuali, un percorso che non sempre viene riconosciuto a chi fa medazione “tradizionale”. La mediazione che noi stiamo cercando di mettere in campo, formando queste donne che vengono tutte da situazioni difficilissime, è una mediazione di nuovo tipo, un po’ più centrata sul tempo della mediazione.

Il progetto Donne in Med(I)azione per una pace duratura, si focalizza sulla formazione di donne mediatrici nella risoluzione dei conflitti, donne che potranno ricostruire le fondamenta, le basi e la struttura stessa delle relazioni sociali nei loro paesi di origine.

Nei precedenti percorsi formativi abbiamo incontrato un gruppo di donne di seconda generazone, quindi già integrate, ed un altro gruppo di prima accoglienza, donne arrivate da scenari terrificanti, dove le stesse non avevano nessuna fiducia nell’altro. Queste si chiedevano perché noi investivamo  tanto su di loro, nessuno prima l’aveva mai fatto, né in famiglia, né nelle comunità da cui provenivano. Il primo step è stato acquisire la loro fiducia. Queste donne aiutano ora altre donne in difficoltà partendo, proprio,  dalla loro storia personale. In questo modo si crea un vero legame di fiducia, punto di partenza per un’efficace mediazione.

–  Il tema delle differenze culturali e delle migrazioni è sempre attuale nella storia e nelle politiche nazionali e internazionali. Quali possono essere le nuove strategie d’integrazione per migliorare le convivenze in un mondo globalizzato? 

– La risoluzione ONU 1325/2000, per la prima volta, esplicita l’impatto della guerra sulle donne ed il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole. Essa riconosce il loro ruolo nella prevenzione dei conflitti e la loro partecipazione alla risoluzione dei conflitti stessi. Tutela i diritti delle donne e prevede la punibilità di coloro che commettono crimini contro le donne nel contesto dei conflitti o delle operazioni di pace. Prevede, inoltre, un  ruolo delle donne nella fase di ricostruzione post-conflittuale. La dimensione di centralità viene poi mantenuta nelle successive risoluzioni a seguire. Nel 2015, la Risoluzione 2242, aveva riconosciuto il ruolo centrale della partecipazione della donna nell’impegno globale per costruire la pace e la sicurezza, per contrastare la crescita dell’estremismo violento e trovare soluzioni alla complessa crisi della sicurezza internazionale attuale. Purtroppo non è stata ancora pienamente attuata, le donne in sofferenza sono ancora tantissime, anche se vi è una maggiore attenzione culturale, sociale, politica ed economica su questa figura. La Banca Mondiale finanzia le attività delle donne nei paesi critici, perché una donna consapevole, che ha una piccola impresa anche artigianale, riesce curare i propri figli, a difendere i propri diritti,   si abbassa  la mortalità infantile e si innescano una serie di meccanismi virtuosi. La donna come strumento di pace e ricostruzione sociale: questo il nuovo messaggio di cui si fa carico la comunità internazionale

L’evoluzione del riconoscimento internazionale dei diritti umani delle donne, sancito dall’ONU, ha realmente apportato una visione diversa della condizione femminile? Su quali azioni, è ancora necessario intervenire, per attenuare le differenze di genere presenti?

– Stiamo ancora lavorando per apportare una diversa visione della condizione femminile. Le prime azioni su cui è necessario intervenire sono l’istruzione e la formazione. In secondo piano sta emergendo la necessità di intervenire a livello medico, dalla gestione della salute alle diverse forme di violenza, fisica o psicologica nelle diverse etnie; infine prenderei in considerazione il problema del linguaggio. A volte il linguaggio riflette un atteggiamento di disprezzo di genere non più accettabile a tutti i livelli, per questo credo sia necessario intervenire in modo ampio: dai diritti, agli ospedali, alle scuole, ai giornali, ai mass-media. Una riconversione ed una maggiore riflessione su come viene veicolata l’immagine di una donna, anche attraverso il linguaggio quotidiano. Cambiare la nostra percezione del ruolo femminile è fondamentale, partiamo da noi, dal nostro modo di pensare, usciamo dalla nostra emarginazione.

–  Donna, mediazione, pace, tre termini di altissima centralità. Come coniugarli al futuro?

– Come ho già evidenziato, è di fondamentale importanza, portare avanti la risoluzione ONU che il nostro governo ha accettato e finanziato, con una grossa visibilità a livello internazionale. Ripartire dal concetto di pace e di sicurezza, evidenziando che, come scriviamo nel libro: La pace è un prodotto artigianale (a cura di Uliano Conti, Mondadori, 2016), la pace non è un format unico applicabile in tutte le realtà, ma un processo che si crea attraverso un percorso che si costruisce giorno dopo giorno, con le risorse che ognuno di noi ha, un meccanismo che riguarda la pace tra gli stati, tra le persone, nelle famiglie. Emerge con urgenza la necessità di ri-pensare nuove strategie politiche e comunicative sul tema della differenza culturale e delle migrazioni internazionali ma, soprattutto, è prioritario (ri)coltivare una cultura dell’ospitalità, supportata da una cultura dell’ascolto e del co-abitare nel mondo globalizzato.

 

Maria Caterina Federici (a cura di)

L’arte femminile della mediazione

Armando Editore, 2019

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