EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Esercizi e considerazioni teoriche sulla psicoterapia di oggi e di domani

di Mauro Mariotti

 

Questo contributo prende spunto da una presentazione da me fatta nel 2010 per introdurre un seminario intensivo su Bateson presso la scuola di specializzazione in psicoterapia ISCRA di Modena e si sviluppa attraverso delle considerazioni teoriche che derivano da uno stimolo suggerito da Bateson in una conferenza sul dualismo mente-corpo da lui stesso organizzata. Dal 27 al 30 luglio 1976, presso lo Wheelwright Center di Marin County, in California, l’autore organizzò infatti un convegno sulla patologia del dualismo cartesiano mente-corpo. Vi parteciparono, oltre a Gregory Bateson, Francisco Varela, Heinz Von Foerster, Richard Baker-Roshi, Ramon Margalef, Gordon Pask, Alan Kay, Terry Winograd, Mary Catherine Bateson, Steve Baer, Stewart Brand, Robert Edgar e Carol Proudfoot.

Bateson introdusse la conferenza affermando che “la specie umana, probabilmente a causa dell’evoluzione del suo linguaggio, ha attribuito una strana importanza agli aspetti o alle componenti ‘spirituali’, ‘mentali’, ‘morali’ e persino ‘sovrannaturali’, della vita e della morte” (Brand, 1976), e proseguì toccando i temi a lui cari della natura umana, dell’adattamento e della relazione con la biosfera, proponendo un’avvincente sintesi del suo pensiero intorno all’epistemologia, all’ecologia, all’evoluzione e alla cibernetica. Bateson concluse il suo intervento chiedendo ai partecipanti di scrivere dei commenti su temi quali la psicoterapia, le conversioni religiose, i cambiamenti di paradigma in ambito scientifico e, più in generale, la leadership epistemologica. Questa era la consegna ufficiale (Brand, 1976):

“Procedura:

  1. Nessun intervento scritto sarà consegnato alla conferenza. Tuttavia, ogni partecipante farà circolare un parere scritto, il più breve possibile. Non più di duemila parole. Questo sarà accompagnato da materiale stampato, per esempio saggi pubblicati che il partecipante spera che gli altri leggano prima della conferenza.
  2. Leggete i pareri degli altri partecipanti. Per favore.
  3. La presidenza farà in modo che ciascun partecipante abbia la possibilità di aprire una discussione sul suo punto di vista… (Chi non fornisce un proprio parere scritto potrebbe avere meno chance).
  4. La presidenza sarà responsabile per la scelta dell’ordine in cui gli argomenti saranno posti in discussione, e cercherà di aiutare chiunque apra la discussione a mantenerla in rilievo mentre è sul palco”

 

Le mie considerazioni in risposta al compito batesoniano

Questa la sfida di Bateson ai partecipanti. La ripropongo adesso, come attuale momento di riflessione, di verifica dell’attualità delle sue parole, di gioco con il nostro intelletto, le nostre relazioni, le nostre emozioni, il nostro modo di comprendere ed interagire con il mondo e le persone che ci circondano. Seguendo queste premesse mi muovo nel difficile campo delle relazioni fra Percetti, Ricordi, Narrative e Valori. La comunione fra i percetti, i ricordi e le narrative sostanzia la realtà individuale e ci colloca con dignità nel mondo, mentre il mancato coordinamento fra questi elementi o la povertà di uno di questi determina stati di disagio individuale, di patologia; quando ricorre fra diversi individui e popoli, produce disagi sociali, incomprensioni, guerre. Quale elemento può attivare il processo di comunione fra ciò che percepisco dell’ontologia, del mondo esistente, ciò che ricordo personalmente e collettivamente, e la narrazione che si svolge dentro e attorno a me?

Non c’è dubbio alcuno rispetto al ruolo unificante del valore, capace di far vibrare le emozioni, attivare i neurotrasmettitori e i recettori, permettere ai singoli di diventare folla ed alla folla di sentire ed agire assieme, all’insieme di diventare popolo e nazione. È il valore a far diventare la narrativa realtà e viceversa.

 

Valori e Psicoterapia

Inevitabilmente, la conversazione sui valori ci porta al tema del Sacro, della Religione. L’essere umano, da sempre, ha sentito il bisogno di un organizzatore perfetto ed esterno a cui far riferimento.  Il monoteismo organizza i valori religiosi di occidente ed oriente, mentre le religioni animiste sono state quasi del tutto eliminate dalla conversazione condivisa. Anche i valori dell’ateismo, la morale umana dei comunismi o dei liberalismi rimangono comunque all’interno di una sacralità monadica e unificata.

Certo, al bambino occidentale che viene mandato a scuola, fino all’università e alla laurea in materie scientifiche, viene insegnato che il mondo è modificabile, che le leggi della natura che si comprendono sono quelle che esistono, che la realtà è manipolabile e plasmabile, che la sacralità della scienza può assorbire la sacralità della natura. Esiste oggi un conflitto di valori nascosto ed indicibile in occidente: quello fra il mondo della scienza ed il mondo delle religioni. Principalmente in oriente, gli integralismi religiosi, comprendendo questo fenomeno, si sono affannati ad ostacolare o relegare ad aspetti marginali il ruolo della cultura scientifica. Ma anche in occidente la religione cattolica, soprattutto, ha avuto non poche difficoltà nel permettere ai propri adepti di coniugare mondo scientifico e mondo religioso.

 

Il paradosso dello scienziato cattolico

Che libertà di scelta ha lo scienziato cattolico che ha trovato il modo di dare la vita, come Dio, creando dal nulla, o quasi, la vita? Come si comporta su questo tema lo scienziato ateo, il talebano o capo Seattle? Lascio ad ognuno di voi la libertà di riflessione, o forse più semplicemente l’indicazione di leggere sul tema i giornali dei prossimi dieci anni per osservare la forma che prenderà questo dibattito. Certamente, lo scienziato cattolico dovrà interrogarsi sulla liceità di alterare l’ordine naturale degli eventi per introdurre cambiamenti rilevanti nel modo di organizzare la vita.

Ma forse l’invenzione della ruota ha portato minori cambiamenti nell’ambiente? Certo nessuno si è posto logicamente l’interrogativo etico: è giusto produrre la ruota? Forse, tuttavia, alcuni di voi ricordano l’Italia con poco asfalto o le strade bianche che oggi sono sempre più rare. Il problema che ci troviamo di fronte va dunque affrontato da una diversa prospettiva. Occorre una lente valoriale e religiosa nella concezione del mondo.

 

Gaia

Lo scienziato post-moderno ha proposto un nuovo modo di concepire l’universo. La teoria di Gaia ci dice che l’universo è complessivamente un essere vivente in cui tutto influenza tutto (Lovelock, 1979). Ecco la nuova religione del terzo millennio che ancora manca dei suoi Dei, dei rituali, dei simboli, ed in questo mondo lo scienziato cattolico potrà risolvere il proprio paradosso, il talebano troverà inutile l’esercizio della propria rigidità concettuale, e il Bush di turno non potrà chiamare alla lotta del bene contro il male, due aspetti estremi di un’unica realtà, due aspetti dello stesso soggetto.

 

Una psicoterapia per Gaia

Il concetto di coupling[1] ci ricorda che ogni sistema tende ad interagire naturalmente ed inevitabilmente con ogni altro sistema circostante. Le tecniche psicoterapeutiche derivate dall’epistemologia della complessità e dei sistemi osservanti sono, in questa prospettiva, tecniche soft. Poiché l’evoluzione naturale del sistema è guidata dal coupling, il ruolo dello psicoterapeuta è quello di ottimizzare, velocizzare, rendere più semplice e più estetico il processo stesso.

Così, in questo mondo di Gaia, sarà più difficile trovare il luogo del potere e del controllo, o le tecniche predeterminate e proceduralizzate, dall’osservazione alla diagnosi e al trattamento; le tecniche che richiedono mappe esatte di un territorio esatto in tempi esatti. Sarà assai semplice comprendere come l’atto di osservare che lo psicoterapeuta attiva, modifica il sistema osservato stesso, rendendo vano, superfluo, se non pericoloso il tentativo di oggettivazione del sistema.

In questo mondo di Gaia la psicoterapia non si chiamerà più sistemica o cognitiva o psicodinamica, ma, comunque si chiamerà, richiederà al terapeuta l’assunzione della responsabilità, la protezione dei valori, l’affidabilità nei tempi.

Questa prospettiva proiettata nel futuro, se riportata al presente, mi permette di richiamare alcuni degli obbiettivi attitudinali che il completamento del nostro corso di psicoterapia richiede:

  • creare una comprensione dei fattori che influenzano la qualità della vita del cliente, siano essi biologici, psicologici o sociali,
  • minimizzare le polarizzazioni e i pregiudizi nei confronti di altre scuole e culture
  • mantenere apertura mentale sulla diagnosi, prognosi e possibile evoluzione del cliente
  • sviluppare apprezzamento per le parti funzionanti
  • sviluppare un’attitudine non giudicante
  • apprezzare l’importanza dell’empatia
  • apprezzare i propri e gli altrui limiti.

 

Per una psicoterapia postmoderna: L’individuo come matrice di significato del contesto di rete

Cosa rappresenta l’individuo per se stesso e per il mondo che lo circonda? Quali risonanze affettive si destano nella percezione dell’altro da sé nei soggetti che abitano la rete dell’individuo, da quelli più vicini a quelli più distanti? Come le risonanze affettive muovono e dirigono la cognitività? Come l’equilibrio fra stabilità e cambiamento è funzione di questi elementi?

Un discorso sull’identità è fondamentale per ogni approccio psicoterapico. La nostra psicoterapia, quella degli anni dopo il 2000, ha la fortuna di svilupparsi su un terreno di oltre un secolo di studi e di esperienze. Forse possiamo dire che le tecniche psicoterapiche sono vecchie quanto l’uomo. La consolazione ed il ristoro che la presenza di un altro significativo recano a chi è in ansia, oppure ha un problema, è di per sé autoevidente, non ha bisogno di spiegazioni. Altra cosa, naturalmente, è la proceduralizzazione delle tecniche, l’elencazione dei movimenti che determinano e designano un atto come terapeutico. Questi percorsi sono stati tracciati e numerosi manuali di psicoterapia ci danno ampi riscontri su questi temi. Per i nostri figli si apre una nuova era, quella del superamento delle barriere fra le diverse psicoterapie, per un movimento psicoterapico complessivo che sia in grado di rispondere ai temi con un’ottica al contempo individuale, relazionale, cognitiva, psicodinamica e sistemica. Non un delirio di onnipotenza, né la mancanza di un’epistemologia unificante, rappresentano il baco di questa linea di pensiero. Anzi, la ricerca della semplicità e della sintesi è alla base del possibile, difficile risultato. L’essere umano, nella sua vita quotidiana, nei piccoli gesti e nelle grandi azioni, muove contemporaneamente tutti i piani sopra citati. In ogni nostro singolo atto troviamo l’importanza del sé, della famiglia, del contesto di appartenenza, dell’affettività e della cognitività, più altre variabili importanti che di volta in volta possono essere considerate.

La differenza fra il terapeuta del 1900 e quello del 2000 sta proprio nella possibilità di sedersi oggi sulle spalle del padre e di riuscire a vedere più lontano. Laddove il progenitore era costretto a dibattersi sulla mancanza di basi teoriche, sul pregiudizio della differenza, sulla necessità di disegnare setting rigidi e molto spesso sulla necessità di semplificare, oggi il figlio può invece confrontarsi, rischiare le eresie, accettare complessificazioni e variabili più numerose. Ma come può essere questa psicoterapia post-moderna? Sistemica? Cognitiva? Psicodinamica? È possibile per qualcuno lasciare fuori campo concetti come io, sé, contesto, intelligenza emotiva? Oggi non esiste una teoria unificante ed ancora molti studenti viaggiano da una formazione all’altra, mescolando la formazione sistemica con quella analitica, quella analitica con quella cognitiva, quella cognitiva con quella sistemica. È un cross-over fecondo di mille possibilità, che ha cambiato il linguaggio delle psicoterapie, producendo frutti del tutto inaspettati per chi insegnava semplicemente il modello analitico o quello sistemico, oppure altri ancora. Ed oggi forse non possiamo prevedere quale sarà la linea di sviluppo di queste cross-fertilizations. Tuttavia, già oggi la formazione alla psicoterapia deve garantire, in ogni modalità, il rispetto di elementi basilari: la conoscenza del sé, il riconoscimento e la gestione delle emozioni, la capacità di analizzare un contesto, una solida teoria dello sviluppo e della psicopatologia, una teoria della famiglia e del gruppo, del ciclo vitale e dei rapporti tra generazioni, una teoria della narrativa. Intorno a questi elementi la persona che ritiene di divenire psicoterapeuta sviluppa il proprio percorso, mentre la scuola di psicoterapia deve fornire all’allievo la possibilità di confrontarsi, di cimentarsi con il difficile compito di comprendere se stesso nel contesto delle relazioni di aiuto. Ma l’immagine che esce da questo quadro appare un po’ troppo mitica, eroica, mentre il lavoro dello psicoterapeuta, per la maggior parte del tempo, è un lavoro umile, di ricucitura, di contenimento e ridefinizione, di accettazione delle sconfitte e degli spazi di non trasformazione. Di trasformazione delle non trasformazioni.

Nel 1981 mi è stato detto che potevo insegnare psicoterapia sotto la supervisione di un maestro e nel 1984 mi hanno abilitato ad insegnare direttamente. Nel corso di questi 40 anni ho visto e preparato studenti secondo le regole della psicoterapia sistemica e relazionale e le leggi dello Stato italiano. Mi domando oggi come posso aver avuto la presunzione di insegnare qualcosa a chicchessia, essendo il mestiere della vita così difficile e duro per ognuno di noi, meraviglioso nello stesso tempo, ed essendo le lezioni della vita così prodighe di consigli spontanei. A volte le lezioni di psicoterapia ci vengono da bambini piccoli, altre volte dalla visione di un film o dall’osservazione di un quadro, altre volte ancora da una gita domenicale, dalla visione di un panorama o dal profumo di qualcosa che fa vibrare le nostre emozioni. Mi domando ancora cosa ricordo esattamente di tutte le teorie che ho studiato ed insegnato. Cosa della cibernetica di secondo ordine, cosa della teoria delle catastrofi e dei mille articoli di teoria della tecnica. Cosa mi hanno insegnato Bertrand Russel, Wittgenstein, Von Foerster, Bateson, Freud, Klein o Sluzki? Quanto mi hanno insegnato mia figlia, Enrica, mia nonna Virginia o mia sorella Olga? Pensate veramente che sia un atto di confusione illegittima mescolare il privato con la Teoria con la T maiuscola e con le proprie percezioni?

Sono tranquillo nel rispondere che la capacità di utilizzare le informazioni teoriche è direttamente proporzionale alla nostra disponibilità emotiva. Sono altrettanto tranquillo nella comprensione dell’importanza che le emozioni rivestono nella nostra capacità di stare al mondo. Altrettanta tranquillità mi reca il concetto che la mia teorizzazione del mondo induce il sapore delle mie emozioni e viceversa. Una serie di pregiudizi personali che mi guidano nello stile di vita e inevitabilmente nel modo di pensare e praticare la psicoterapia: è sistemico-relazionale? È la psicoterapia di Mariotti? Non me ne occupo più di tanto. So che questo modello è molto distante da quello che ho appreso, ma so che anche che chi mi ha insegnato pratica oggi una psicoterapia molto distante da quella che mi ha insegnato. La vita corre, i concetti anche. Rischiamo di rimanere appesi al bagaglio delle conoscenze per rispettare la nostra identità, quando la nostra identità dipende forse dalla nostra capacità di correre dietro alle trasformazioni rimanendo sempre in grado di riconoscere la nostra immagine. Stabilità e cambiamento. L’equilibrio da ricercare in ogni nostra azione all’interno di un percorso di vita. In compagnia dei valori, dei sentimenti, dell’etica, delle emozioni degli atti quotidiani. Allora il senso dell’identità consiste proprio nella consapevolezza che una descrizione è valida solo in relazione ad un dato contesto. E che un dato contesto è costituito da una cornice spaziale (normalmente l’occidente per noi) e da una cornice temporale (normalmente il tempo di una fase del ciclo vitale).

Con questa solida concezione, allora, possiamo provare ad impostare una teoria per la psicoterapia che durerà tanto più a lungo quanto più semplici ed essenziali saranno i concetti e quanto più questi concetti saranno correlati alle idee semplici ed elementari prodotte dai nostri progenitori.  La figura archetipica, nella sua potenza, blocca il tempo ed il divenire, e ci permette unicamente la libertà dello spazio, dell’identificazione di un determinato comportamento come valido in oriente ed in occidente, ieri come oggi, oggi come domani. La consapevolezza dell’istinto e dell’ineluttabilità di avvenimenti come la nascita e la morte ci fa invece considerare l’importanza di superare anche le visioni archetipiche, per poter dare spazio e forza alla fantasia della realizzazione di percorsi sconosciuti e meravigliosi proprio per la loro imprevedibilità. Senso di costanza e senso di inappartenenza, identità ed irriconoscibilità sono i motori antitetici che danno energia alla specie umana nel fluire continuo delle vite tra una generazione e l’altra. Il nostro vivere in rete, formando un tessuto sociale, dà senso alla nostra identità e ci permette di accettare l’assalto degli istinti e la prepotenza degli archetipi. Il dualismo mente-corpo trova qui la sua paradossale soluzione.

 

Riferimenti bibliografici

S. Brand, CoEvolution Quarterly, 1976 [trad .it http://www.oikos.org/batdualit.htm].

J. Lovelock, Gaia. A New Look at Life on Earth, Oxford University Press, Oxford, 1979.

H.R. Maturana, F.J. Varela, Autopoiesis and cognition. The realization of the living, Reidel, Dordrecht 1980 [Trad. it., Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Venezia 1985].

 

 

 

 

[1] Il coupling, nel senso di accoppiamento strutturale, è un concetto derivato dalle teorie di Maturana e Varala (1980). Due sistemi, quando entrano in contatto, tendono a scambiarsi informazioni e a modificare conseguentemente la loro struttura. Ci sono sistemi a lentissimo coupling, come il vento e la roccia, che producono negli anni, con la loro interazione, polvere e sabbia. Viceversa, altri sistemi come la benzina e il fuoco hanno tempi di coupling istantanei. La regolazione della velocità di coupling nei sistemi umani è un aspetto fondamentale delle relazioni. Aiutare le persone a sintonizzarsi con il ciclo di vita rappresenta difatti un obbiettivo fondamentale della psicoterapia.

 

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