EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Etty Hillesum e la profondità del bene. Il libro di Primavera Fisogni

di Gianfranco Brevetto

 

La Hillesum, nella sua opera,  ci ha proposto una prospettiva tutta nuova, radicale e rivoluzionaria del bene e del male. Oggi, la sua sorprendente opera, appare un valido strumento di riflessione e di crescente attualità. Giornalista e Filosofa, Primavera Fisogni ha affrontato un dei momenti più delicati della storia del secolo scorso ripercorrendo vita e opere di Etty Hillesum.   L’autrice ha, tra l’altro, recentemente ottenuto il premio InediTO – Colline di Torino –  per una sua approfondita ricerca filosofica sul linguaggio dei geroglifici nell’antico Egitto.

– Perché, per la sua ricerca, ha scelto questa giovane ragazza ebrea olandese che decide, nel 1943, di andare verso i suoi aguzzini e la morte cantando?

Avevo letto il “Diario” di Hillesum a metà anni Ottanta, rimanendo impressionata dalla sue scelte di vita radicali: quella di amare i suoi persecutori nazisti e di farsi internare, come volontaria, al campo di smistamento di Westerbork, dove rimase 1 anno e mezzo, fino alla deportazione ad Auschwitz. Ma è stato soltanto nel 2006, quando ho iniziato la tesi di dottorato sull’inaridimento spirituale dei terroristi, che sono tornata a Etty, da filosofa. La fenomenologia del suo essere e del suo agire era esattamente agli antipodi di quello eversivo: la Hillesum esprimeva una smisurata pienezza del sentire, frutto non di una fede o di un’ideologia, ma di un esercizio di vita, sottoposto all’esame serratissimo del pensiero. Ne ho scritto molto. Nel 2017, in occasione della Giornata della Memoria, invitata a parlarne al Teatro Parenti, ho scritto una relazione che è poi il canovaccio di questo libro, “La profondità del bene”.

Il titolo richiama alla memoria un altro: la banalità del male di Hannah Arent. In cosa si somigliano e differiscono gli approcci di queste due autrici?

Sono state le lettere di Hannah Arendt a Gershom Scholem, filosofo e teologo tedesco, trasferitosi in Israele, a suggerire il titolo del libro. Nel pieno delle polemiche feroci contro il suo “Eichmann in Jerusalem. A report on Banality of Evil” (1963), Arendt scrisse a Scholem che doveva ricredersi, che non il male, ma soltanto il bene ha profondità. La scienziata politica rimetteva dunque in discussione la sua analisi, senza fornire una precisa argomentazione (come, del resto, era stato per “banalità del male”, frase che si ritrova soltanto una volta nel reportage dal processo alla “mente” della “soluzione finale”). La mia idea è che l’intuizione di Arendt, sulla profondità del bene, trovi un chiaro sviluppo, esistenziale e teorico, in Etty Hillesum. Le due donne erano quasi coetanee (Arendt, 1906-1975; Hillesum, 1914-1943), ebree, non praticanti,  e intellettuali, . Entrambe immerse nell’Olocausto, esaminano il fenomeno nazista: Arendt pubblica nel 1948 “Le origini del totalitarismo”, Hillesum scrive le “Lettere” e il “Diario” con piena consapevolezza dello sterminio. Etty sperimenta, però e nel contempo, le proprie risultanze fenomenologiche: esercita il bene, l’amore esclusivo per gli altri, si prodiga per i bisognosi, è compassionevole. Questa diventa la sua resistenza al male.

Etty ha evidentemente vissuto uno dei periodi più strazianti della nostra storia. Com’è possibile passare dal dolore ad uno sguardo positivo sulla vita?

Sicuramente è possibile, Etty ne è la prova. Il suo approccio al dolore è, nel 1941, quello di una giovane donna depressa, incapace di trovare il proprio posto nel mondo, nonostante i grandi talenti di cui era dotata. Anche le sue vicende sentimentali non la appagano. Questo la porta dallo psico-chirologo Julius Spier prima come paziente, poi come segretaria e amante. Sarà il grande amore della sua vita. È lui a consigliarle di tenere un diario: attraverso l’esame di sé Etty approda, in modo del tutto personale, ad avvertire, al di là del negativo, un fondo sicuro di bene: qualcosa c’è, piuttosto che nulla. Questo sostrato è anche all’origine del suo dolore, ma Hillesum avverte la pienezza della realtà, quando pensava – nel suo stato depressivo – all’esistenza del vuoto e del caos. L’intuizione metafisica, tramite un complesso intreccio cognitivo, emotivo, deliberativo la porta a cambiare il corso della sua storia e anche della filosofia morale contemporanea.

– Nel suo volume vi è un intero capitolo dedicato alla “pratica della vita buona”, in che cosa consiste? Quali indicazioni ne possiamo trarre noi, donne e uomini del XXI secolo?

L’idea base del libro è che Etty non abbia consegnato una “teoria”, ma realmente una “pratica” dell’esperienza del bene. Dai suoi scritti ho ricavato alcune indicazioni che Etty aveva fatto proprie. Ad esempio, l’introspezione, il rivolgersi a se stessi, per riposare in se stessi. Questa introspezione porta Etty a comprendere che l’identità è sempre relazione e pone le basi con l’idea oggi più “scandalosa”, difficile, impopolare: l’identità si rafforza nell’inclusività. Accogliere l’altro, tutti gli altri, dentro di sé è l’unico modo per farci sentire autenticamente persone. L’io da solo non tesse alcuna trama. Aprirsi al mondo è costruire quel “sostrato” che sostiene, alimenta, dà consistenza alla vita: il bene è questo. Arendt aveva scritto a Scholem che se si cerca il male non si trova niente. Hillesum fa poi capire che l’inclusività significa accogliere anche chi non ci piace, chi fa del male. Bisogna capire che la persona è una cosa, lo schema e l’ideologia sono dei “format” che imbrigliano. Non c’è niente di automatico, né di facile nella via del bene, come la stessa Etty rivela. Tuttavia la quiete interiore, la gioia nell’accogliere, la bellezza delle piccole cose – un gelsomino, una passeggiata – fatta emergere potentemente da questo atteggiamento improntato a “sentire la vita” e a “soffrire fino in fondo” annullano ogni deriva del male.  Hillesum fa capire che questa pratica di bene genera a sua volta bene. Al contrario gli schematismi concettuali e la negazione dell’inclusività – lo vediamo anche in Italia, nelle pulsioni sovraniste – alimentano l’odio. Il nazismo, il fascismo si sono alimentati di questo veleno. Più che mai la lezione di Etty Hillesum ci interpella, in ogni momento.

– Il problema dei valori, ampiamente dibattuto in campo filosofico, rischia sempre di ridursi a mera assiologia. Come tenere uniti la scelta valoriale e la quotidianità? come ci aiutano, in questo la Hillesum e la Arendt?

Entrambe condannano gli “schemi” come la pre-condizione del male. Per Hillesum, si è detto. Arendt, in “Le origini del totalitarismo” dimostra che la logica kantiana della legge frana davanti all’Olocausto. I gerarchi dichiararono di aver mandato a morte milioni di persone per obbedire alle leggi, per rispetto ai valori dello Stato nazista, espressi – appunto – dalle norme. Hillesum dimostra che, attraverso il sentire empatico, si forgia il primo livello dell’umanità: aprirsi all’altro, nel rispetto. Le due grandi menti degli anni più bui della Storia recente ci invitano a fare dell’umanità, sempre, il baricentro del nostro agire.

 

Primavera Fisogni

La Profondità del Bene

Etty Hillesum e la metafisica della vita buona nei tempi bui

LuoghInteriori, 2019

 

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