EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Far cadere i nostri muri per aprirsi a sé.

di Pascal Neveu

(ITA/FRA versione originale in fondo)

Perché i muri? Le barriere? Perché imprigionarci, rinchiuderci in una “non-vita” che non è il sé?

La grande domanda esistenziale può aiutare ad arricchire un’identità non ancora definita, in divenire, quindi in permanente costruzione.

Dai muri fissati dall’ambiente e dalla cultura familiare, fino ai limiti che ci creiamo noi stesi, come accettarli, oltrepassarli e fare un lavoro di realizzazione? In altre parole, come costruire i muri della propria casa, di se stessi?

Fin dall’inizio della costruzione del nostro essere, siamo “sottoposti” al nostro ambiente.

“Sono pensato, chiamato e detto prima di essere”, ha detto Lacan.

In questo senso  Io sono un altro … appunto, non apro le porte d’accesso a ciò che sono io.

In effetti, quali sono questi muri che dobbiamo abbattere? Tutti i muri esterni che costruiamo e ci separano, ci dividono, sono solo la proiezione delle nostre mura interne. Sono i muri di difesa, i muri della paura, l’antipatia, il pregiudizio, la violenza e persino l’odio.

Solo un lavoro interiore, una “correzione” interiore, consentirà l’apertura ad un campo di possibilità e quindi il crollo di questi muri.

Inoltre quali sono le fonti, le origini di queste mura? Chiediamocelo al fine di toccare, trovare e vivere una pace interiore.

Si tratta solo di  paure tenute insieme.

All’inizio della nostra vita, con l’affiorare di ferite, di angosce, di paure e sensi di colpa, appare un intero mondo nascosto all’interno del bambino. Il bambino cercherà infatti di non vedere e dimenticare tutto ciò che è per lui occasione di troppa sofferenza. Proverà a respingerlo nelle aree segrete del suo essere come se non fosse mai esistito. Ma questo mondo di sofferenza rimane dentro di lui, come una specie di malattia nascosta. Quindi, tra questo mondo rimosso e la consapevolezza di ciò che preferisce reprimere, si stabilisce un muro. Il muro protegge così il bambino, perché senza di lui, potrebbe morire di angoscia e paura. C’è quindi dentro ognuno di noi un mondo dimenticato di sofferenza, morte e colpa. La ferita di ciascuno è individuale.

Questo è il motivo per cui siamo attratti da alcune persone, nutrendo una simpatia nei loro confronti. E viceversa, nutriamo antipatia per altri e vogliamo fuggire da loro. Alla loro presenza percepiamo un sentimento di paura, di svalutazione, oppressione, angoscia o aggressività. Alcune persone sono gentili con noi, altre ostili.

Psicologicamente, abbiamo bisogno di avere un’immagine positiva di noi stessi, motivo per cui cerchiamo l’apprezzamento e l’approvazione di coloro che ci circondano. Alla fine siamo attratti da coloro che ci apprezzano e ci incoraggiano noi, che ci amano e ci ammirano. Per converso, siamo inclini a prendere le distanze da quelli che percepiamo come una minaccia e un pericolo.

Ci chiudiamo quindi dietro barriere, muri che alla fine sono solo i nostri meccanismi di difesa. Queste mura ci proteggono da ciò che sentiamo come la nostra vulnerabilità, la nostra fragilità, le nostre ferite. Ma, come ci proteggono, ci bloccano anche , ci impediscono di comunicare tra noi e noi stessi.

Sono muri dei pregiudizi e ci nascondiamo dietro di loro.

Eppure questo muro non è un muro di mattoni, è un muro psichico che nasconde le nostre paure.

In breve, costruiamo le nostre mura di paura.

Queste mura che sono state create per proteggerci e farci dimenticare le nostre ferite, permettono a tutti di sopravvivere, di non essere schiacciati da troppe sofferenze. Il problema è che questi muri, allo stesso tempo in cui ci proteggono, ci bloccano, ci isolano e possono diventare violenza per chi ci sta intorno. Ci spingono ad agire in modo incomprensibile verso coloro che ci sono vicini e verso coloro che potrebbero ricordarci e far rivivere la nostra sofferenza.

Questi muri riflettono il desiderio di esercitare il potere, di controllare la propria vita e gli altri, di non esserne più influenzati.

Di farla finita con la più paura di essere abbandonati, rifiutati, di fallire,  con la paura di essere considerati incapaci o colpevoli …

Questi muri sono l’espressione delle nostre ferite e devono ricordarci ciò che è più vivo e bello in noi.

Perché in definitiva queste mura ci rimandano a questo specchio che riflette il nostro peggior nemico: noi stessi e i nostri demoni.

Portiamo in noi stessi un io auto-aggressivo, in cerca di riconoscimento, che fugge a tutto ciò che può far fallire e svaluta.

Questi sono i muri della paura e della vita. Nella crescita, spetta a noi far crollare i muri che impediscono la vita. E’ una questione di fiducia.

Fiducia nella vita, fiducia in se stessi e fiducia non cieca nell’altro.

Il nemico non è mai l’altro in cui dobbiamo trovare fiducia. Il muro non deve essere costruito per la protezione da un mondo esterno sul quale proiettiamo le nostre paure.

Il nemico che ferisce di più è quello che ci impedisce di prosperare, di esistere, di vivere … Siamo noi stessi, senza dubbio quella parte che non sopportiamo e decidiamo di imprigionare, di far scomparire, che vogliamo evitare di incontrare. La parte che non vogliamo vedere, la parte che non possiamo vedere, che è insopportabile per noi.

Dobbiamo essere in grado di accogliere noi stessi, di dialogare con la nostra interiorità per lasciare visibili quegli orizzonti che le nostre mura non ci lascerebbero intravedere.

È quindi necessario riconciliarsi con questo nemico interiore, questo Sé represso nel nostro inconscio, a volte rifiutato nella nostra infanzia attraverso la nostra base educativa, considerato cattivo o mal accettato dal nostro entourage.

Dobbiamo quindi mettere in discussione i nostri istinti repressi, le nostre aspirazioni nascoste, quelle parti nascoste della nostra personalità, questo falso sé (questo falso sé) che ci impedisce di emergere e che odiamo.

Dobbiamo accettare questa nostra zona d’ambra facendo pace con noi stessi.

L’ideale del Sé sostenuto dai genitori è solo un’illusione su cui dobbiamo lavorare.

Dobbiamo diventare consapevoli di noi stessi senza sentirci colpevoli e crescere “governando” chi siamo, senza essere “governati” dalle nostre paure di essere.

La leva più efficace è sicuramente la fiducia in se stessi, quindi la fiducia nell’altro che ne scaturirà.

Perché l’altro ci dice per riflesso chi siamo e chi non siamo.

L’amore è indubbiamente il miglior catalizzatore per uscire da dietro le barriere e le mura che ci circondano per proteggerci.

E’ un’accettazione di noi stessi. Accettazione e fiducia in noi stessi dei nostri valori, delle nostre debolezze, delle nostre forze, dei nostri limiti … come siamo e non come vorremmo essere.

È una specie di riconciliazione con se stessi, al fine di trovare l’amore e il rispetto di sé.

Il sé si libera così, senza paura, sorridendo alla vita.

Sediamoci e poniamoci queste poche domande:

– Posso identificare nei miei rapporti atteggiamenti condizionati dalle paure?

– Posso individuare nella mia vita persone che tendo a fuggire, che mi causano disagio, paura, rabbia, aggressività, persino odio?

– Posso spiegare quali sono queste paure?

– Posso vedere qual è l’origine di queste paure?

– Posso determinare chi è il mio o i miei nemici?

– Cosa vogliono difendere con queste mura?

Questa introspezione sarà un primo modo per aprire le nostre barriere, una prima rottura all’interno di questa muraglia.

Alfred de Vigny ha scritto “Ogni uomo ha visto il muro che limita il suo spirito”.

Spetta a noi non erigere troppi muri contro la nostra umanità.

 

***

(versione originale)

Faire tomber nos murs… pour s’ouvrir à soi.

Pourquoi des murs ? Des barrières ? Pourquoi s’emprisonner, s’enfermer dans une  « non vie » qui n’est pas soi ?

La grande question existentielle peut permettre d’enrichir une identité pas encore définie, en advenir, donc en construction permanente.

Des murs qui sont fixés par l’environnement et la culture familiale, jusqu’aux barrages que nous nous fixons nous-même, comment les  assumer, les dépasser et en faire une œuvre de réalisation ? Autrement dit, comment construire les murs de sa propre maison, de son moi ?

Dès le début de la construction de notre être, nous sommes « soumis » à notre environnement.

« Je suis pensé, nommé et dis avant que d’être » disait Lacan.

En ce sens où Je suis un autre… précisément, je n’ouvre pas les portes d’accès à celui que je suis.

De fait,  quels sont ces murs que nous devons faire tomber ? Tous les murs extérieurs que nous construisons, et qui nous séparent, nous divisent, ne sont que la projection de nos murs intérieurs. Il s’agit des murs de défense, des murs de peur, d’antipathie, de préjugés, de violence, et même de haine.

Car il n’est question que d’un travail intérieur, d’une « correction » intime, qui va permettre  l’ouverture d’un champ des possibles et donc d’un effondrement des murs.

Aussi quelles sont les sources, les origines de ces murs ? Afin de toucher, trouver et vivre une paix intérieure.

Il ne s’agirait que de peurs conjuguées.

Au début de notre vie, avec l’apparition des blessures, de l’angoisse, de la peur et de la culpabilité, va apparaître tout un monde caché à l’intérieur de l’enfant. L’enfant va en effet chercher à ne pas voir et à oublier tout ce qui est pour lui occasion de trop grande souffrance. Il va essayer de le repousser dans les zones secrètes de son être comme s’il n’avait jamais existé. Mais ce monde de souffrance reste à l’intérieur de lui, comme une sorte de maladie cachée. Ainsi, un mur s’établit entre ce monde refoulé et la conscience de ce qu’il préfère refouler. Le mur protège ainsi l’enfant, car sans lui, il pourrait mourir d’angoisse et de peur. Il existe donc à l’intérieur de chacun un monde oublié fait de souffrances, de mort et de culpabilités. La blessure de chacun est singulière.

C’est la raison pour laquelle nous faisons l’expérience d’être attirés par certaines personnes, d’avoir une sympathie pour elles. Et inversement, d’avoir une antipathie pour d’autres, et même de les fuir, d’éprouver en leur présence un sentiment de peur, de dévalorisation, oppression, angoisse ou agressivité. Certaines personnes nous sont sympathiques, d’autres antipathiques.

Car psychologiquement, nous avons besoin d’avoir une image positive de nous-mêmes, c’est pourquoi nous recherchons l’appréciation et l’approbation de ceux qui nous entourent. Nous sommes donc finalement attirés par ceux qui nous valorisent et nous encouragent, qui nous aiment et nous admirent. Par contre, nous sommes portés à nous écarter de ceux que nous percevons comme une menace et un danger.

Nous nous enfermons alors derrière des barrières, des murs qui ne sont finalement que nos propres mécanismes de défense. Ces murs nous protègent face à ce que nous ressentons comme  notre propre vulnérabilité, notre fragilité, nos blessures. Mais en même temps qu’elles nous protègent, elles nous enferment, nous empêchent de communiquer avec l’autre et nous-même.

Ce sont des murs de préjugés, et nous nous cachons derrière eux.

Pourtant, ce mur n’est pas un mur de brique, c’est un mur psychique, qui cache nos peurs.

En somme, nous construisons nos propres murs de peur.

Ces murs qui ont été créés pour nous protéger et nous faire oublier nos blessures, permettent à chacun de survivre, de ne pas être écrasé par une trop grande souffrance. Le problème, c’est que ces murs, en même temps qu’ils nous protègent, nous enferment, nous isolent et peuvent faire violence à notre entourage car ils nous poussent à agir de manière incompréhensible envers ceux qui nous nous sont proches, et qui pourraient rappeler et raviver nos souffrances.

Ces murs sont le reflet du désir d’exercer un pouvoir, de contrôler sa vie et les autres, ne plus être affecté.

Finie la peur d’être abandonné, rejeté, la peur de l’échec, la peur d’être considéré comme incapable ou coupable….

Ces murs sont l’expression de ce qu’ y a de plus blessé en nous mais ils doivent nous rappeler ce qu’il y a de plus vivant et beau en nous.

Car finalement ces murs nous renvoient à ce miroir qui reflète le pire ennemi qui est nous-même, et nos démons.

Nous portons en nous un moi auto-agressif, en quête de reconnaissance, qui fuit tout ce qui risque d’échouer et de le dévaloriser.

Ce sont les murs de la peur et de la vie. Comme la vie est en croissance, en mouvement il ne tient qu’à nous de faire s’effondrer ces remparts qui empêchent la vie. Tout est question de confiance.

Confiance en la vie, confiance en soi et confiance non aveugle en l’autre.

L’ennemi n’est jamais l’autre en qui nous devons trouver confiance. Le mur n’est pas à édifier par protection d’un monde extérieur sur lequel nous projetons nos propres peurs.

L’ennemi qui fait le plus mal, c’est celui qui nous empêche de nous épanouir, d’exister, de vivre… C’est nous-même, sans doute celui que nous ne supportons pas et décidons d’emprisonner, de voir disparaître, que l’on veut éviter de rencontrer. La partie que nous ne voulons pas voir, la partie que nous ne pouvons pas voir, qui nous est insupportable.

Il faut être capable de s’accueillir soi-même, de dialoguer avec son intériorité afin de laisser visibles des horizons que nos propres murs ne nous laisseraient pas voir.

Il faut donc se réconcilier avec cet ennemi intérieur, ce Soi refoulé dans notre inconscient, rejeté parfois depuis notre enfance via notre socle éducatif, jugé mauvais, ou mal accepté par notre entourage.

Il faut donc questionner nos instincts refoulés, nos aspirations cachées, ces parties de notre personnalité occultées, ce faux moi (ce faux self) qui nous empêche d’émerger et que nous détestons.

Cette notre ombre qu’il faut accepter en faisant la paix avec nous-même.

L’idéal du Moi prôné par les parents n’est qu’une illusion sur laquelle il nous faut travailler.

Il faut parvenir à prendre conscience de nous-même sans culpabiliser, et croître en « gouvernant » qui nous sommes, sans se laisser « gouverner » par nos peurs d’être.

Le levier le plus efficace reste certainement la confiance en soi, puis la confiance en l’autre qui va en découler.

Car l’autre nous dit par reflet qui nous sommes et qui nous ne sommes pas.

Et l’amour est sans aucun doute le meilleur catalyseur afin de sortir de derrière les barrières et murs que nous avions mis autour de nos cœurs pour nous protéger.

Car il s’agit d’une acceptation de nous-mêmes. Acceptation et confiance en nous-mêmes de nos valeurs, de nos faiblesses, de nos atouts, de nos limites… tels que nous sommes, et non pas tels que nous souhaiterions être.

C’est une sorte de réconciliation avec soi, afin de toucher l’amour et le respect de soi.

Le Moi se libère ainsi, sans peur, en souriant à la vie.

Pourquoi ne pas nous asseoir et nous poser ces quelques questions ?

– Est-ce que je peux repérer dans mes relations des attitudes conditionnées par des peurs ?

– Est-ce que je peux repérer dans ma vie des personnes que je tends à fuir, qui provoquent en moi un malaise, de la peur, de la colère, de l’agressivité, voire de la haine ?

– Est-ce que j’arrive à expliciter quelles sont ces peurs ?

– Est-ce que j’arrive à voir quelle est l’origine de ces peurs ?

– Est-ce que je peux déterminer qui est mon, ou mes ennemis ?

– Qu’est-ce que ces murs veulent défendre ?

Cette introspection sera une première voie d’ouverture de nos barrières, une première brèche au sein de ces murs.

Alfred de Vigny écrivait « Tout homme a vu le mur ce qui borne son esprit ».

Il ne tient qu’à nous ne pas ériger trop de remparts contre notre humanité.

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