EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

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di Silvia Rosati

Riflettevo sull’insolita circostanza, scientificamente provata, che nessuna sensazione rimane più a lungo nella memoria di quella dell’odorato, che essa possegga cioè un’inimitabile ed irriducibile cifra di realtà, proprio per questo probabilmente, per l’impossibilità di staccarsi da quell’accadere concreto che la genera in un preciso e definito momento. Sì, perché per il resto la vita, nel suo manifestarsi, mi sembra fortemente rappresentabile : riflessioni banali, se non fosse per il fatto che sempre più raramente mi capiti di riflettere così liberamente.

Sono in auto ed il codice della strada mi impone disconnessioni forzate dal web. Un senso di solitudine e di isolamento comunicativo, sia pur lontana da siepi odorose, orizzonti immaginifici mi prendono alla guida verso casa e mi pongono nella fortunata e insolita condizione di poter pensare senza interruzioni moleste. Penso a quelle fortunate ere del processo di ominazione, in cui cieli stellati di pastori erranti consentivano di staccarsi dal  reale ed inventare l’ideale, prima che il virtuale fagocitasse entrambe le dimensioni.

Bizzarro questo processo di ominazione, durante il quale l’ uomo non ha fatto altro che porsi davanti al mondo e porre la distanza tra se stesso e questo, cogliendolo attraverso gli occhi a scapito delle altre modalità sensoriali.

Nella civiltà dell’oralità, il discorso poteva ancora scorrere come un fiume ed il parlante fare corpo con esso; la scrittura ha tradotto  irreversibilmente la parola in oggetto, in cosa visibile e fissa. “Scagliandosi di contro al segno grafico, il parlante ha acquistato un rilievo proprio e separato: è diventato per la prima volta un Io”. Nel passaggio dall’oralità alla scrittura, Platone ha scritto la sua storia dell’anima, segnato l’atto di nascita della filosofia e del linguaggio logico-lineare del logos. E’ lì che ha preso forma l’ideale come costruzione essenzialmente mentale e spirituale contrapposta alla realtà esterna.

Penso a quell’ideale rimasto lì a lungo a richiamare etimologicamente quell’immagine complessa che il soggetto crea della realtà o di se stesso, sublimandola come modello a cui tendere in un processo stimolante perché consapevolmente infinito.

E l’ideale con le sue, per così dire, connotazioni di desiderio, sogno, suprema aspirazione, mi appare d’un tratto rassicurante. Mi sembra così , in questi miei pensieri, perché nel suo essere costruzione fittizia, surplus della realtà nei suoi connotati migliori, cui tendere senza possibilità alcuna di realizzazione completa, l’ideale possiede un’abbondanza di “direzione” di “verso” , perché si possa scegliere di imboccarne la strada.

E nella fiducia del momento, ideale e reale, a dispetto di storiche contrapposizioni, mi appaiono complementari: l’ideale dimensione di “senso”, il reale capace di rappresentarlo pur in termini di confronto, nei limiti, umani e naturali, negli inizi e nelle conclusioni.

Mi libero, nel breve percorso verso casa, delle maglie del virtuale, dimensione e cifra esclusiva di un’epoca storica e personale che di reale , penso, possiede poco e di ideale ancor meno.

Mi sento come sottratta dalla contingenza del percorso a quei processi primari del “tutto e subito come voglio io a portata di clic” della mia frequente dimensione di cittadina virtuale. Comincia a farsi strada in me una sorta di stato di coscienza. Nell’inconscio virtuale, immediato, istintivo, del puramente piacevole e spiacevole che in una sorta di rigurgito infantile o adolescenziale appartiene solitamente alla mia esistenza, si fa spazio una spinta al controllo, alla riflessione, una rinnovata speranza di progettare come possibilità di agire in base a motivazioni reali. E quell’inconscio virtuale, privo dei connotati liberatori dell’inconscio onirico o della fantasia, mi si mostra d’un tratto in tutta la sua rigidità, condannato ad esistere in funzione di un supporto hard e delle tecnologie di server, computer e cellulari: così prigioniero della banale concretezza del mezzo, il virtuale è evidente che si sottragga a tutte le leggi di percezione, ma sia egualmente incapace di approdare alla più semplice concettualizzazione.

Il reale delle auto e degli automobilisti inconsapevoli ed in particolare l’odore degli scarichi, è chiaro, devono aver portato dentro di me un reale concreto più di quanto abbiano fatto le immagini e gli oggetti del virtuale negli ultimi tempi. Ed io comincio a rielaborare quel concreto, mossa da una qualche motivazione dal colorito vagamente affettivo. (GreenSpan S.I., Shaker S.G. “La prima idea, l’evoluzione dei simboli, del linguaggio e dell’intelligenza dai nostri antenati primati ai moderni esseri umani” Fiorini editore Roma 2007).

Sento che il virtuale ha come assottigliato la mia possibilità di esperienza con l’universo della fisicità ( Tomàs Maldonado “Reale e virtuale” 1992 Feltrinelli), condannandomi ad una sorta di analfabetismo emotivo e corporeo. Priva della fisicità, ho perso ogni riferimento nella conoscenza dell’altro e nella comprensione delle mie emozioni, spingendomi pericolosamente alla possibile deriva del disinteresse emotivo.

Quell’esterno, che il virtuale ha traghettato nel mio interno, come accade in ogni acquisizione e comprensione umana, è  “una riproduzione della realtà, una realtà virtualmente ricca spacciata per realtà vera”. Sì, perché nei viaggi virtuali, che ho compiuto sempre più spesso di recente, ho trovato quello che cercavo , ma troppo spesso ho trovato o mi sono imbattuta in quello che non volevo, in una molteplicità di cose, contenuti, esperienze, soggetti ed oggetti preconfezionati secondo prospettive sempre mutevoli, che mi pare abbiano più a che fare con le identità e con le motivazioni di chi li prepara, che con le mie. (Umberto Fontana “Rivista quadrimestrale di Scienze della Formazione e Ricerca educativa” ISRE XVI 2009 n.2 )

La perfezione dell’illusione del cyber world arriva, nel tempo del mio viaggio verso casa, all’ora della disillusione . Quel mondo virtuale, che ha sublimato le fantasie più imprevedibili e ha dato loro una valenza di onnipotenza, attraverso la vividezza delle immagini, la molteplicità delle stimolazioni ottiche ed uditive , la ricchezza di storie ed attori a portata di mouse, ha finito con il distruggerle tutte quelle fantasie. Ha incatenato la creatività a pochi e primordiali bisogni di relazione e completezza in una sorta di piramide di Maslow rovesciata.

Sento che la solitudine del viaggio mi concedono di allontanarmi dal virtuale comunicativo e dalla sue dinamiche difensive, da quelle logiche da mercato di esseri umani e dai rapporti del “prendere o lasciare tanto non mi importa quello che pensi tu. Io la penso così e, se ti va bene, rispondimi sì … se no, è perfettamente lo stesso e … amici come prima anzi sconosciuti come prima”. Mi prende un senso di potenza creativa e di azione.

Sono a casa, la password del wifi è ….

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