di Sandra Matteoli e Domenico Pratelli
Roberto Niccolai, preparatore Atletico professionista, laureato in Scienze Motorie, lavora nel mondo dello sport da più di venti anni. Quale sport? quello che più ci appassiona: il calcio. Ha iniziato a lavorare nel mondo dilettantistico giovanile, per poi passare a quello dilettantistico di categoria. Poi il grande salto nel calcio professionistico, sia giovanile che di prima squadra. Poi la serie A. Le vette della classifica con l’Atalanta.
–Cosa significa lavorare in una squadra di professionisti?
-Lavorare in una squadra di professionisti significa mettere a disposizione qualità umane e conoscenze professionali di alto livello. Questi due aspetti non possono essere scissi oppure essere espressi in modo alternato o discontinuo, le due caratteristiche devono essere sempre presenti, in ogni dinamica di relazione e in ogni ambito di lavoro. Le richieste in termini prestazionali in una squadra professionistica sono altissime, spesso dobbiamo sconfinare a livello culturale mettendoci in discussione a livello di esperienze e di conoscenze. L’obiettivo è trovare nuove soluzioni, studiando e sperimentando nuove strategie, mettendo in campo tutte le energie e le risorse per intraprendere nuovi studi. Questi aspetti si ritrovano in campo pratico (allenamenti), ma anche in quello relazionale interdisciplinare (programmazione e pianificazione delle attività). Con queste dinamiche è naturale capire che con questo tipo di stimoli e di proposte, si arrivi ad una crescita personale, culturale e professionale che crea un’evoluzione continua.
–Lavorando in ambito sportivo ad alti è possibile conciliare l’aspetto educativo con quello agonistico?
-Quando si parla di agonismo e di educazione, spesso parliamo di questo in termini legati al rispetto dell’avversario, alle dinamiche meritocratiche che chi è più bravo o si allena con più impegno gioca, oppure alla cultura del risultato. Vorrei spostare l’attenzione anche su altri due aspetti.
Lo sport agonistico è caratterizzato anche da altri da due elementi molto importanti:
la disciplina personale (regole individuali per raggiungere il miglior livello di performance);
la disciplina verso lo sport (caratterizzata dalle regole intrinseche ed estrinseche dello sport che si pratica).
La disciplina personale nell’aspetto agonistico è una caratteristica che ogni atleta deve vivere nel miglior modo possibile, questa è importante affinché l’individuo possa raggiungere un certo tipo di prestazione. Questo principio si lega agli aspetti educativi personali, aspetti che vanno a regolare il modo di vivere dell’attività sportiva agonistica del singolo. In questo elemento entrano in gioco tutti gli aspetti legati alla cura verso il proprio corpo, come ad esempio l’educazione alimentare, oppure la capacità di interagire con i compagni di squadra o l’allenatore, quindi aspetti di educazione interpersonale e relazionale, infine ma non per ultimo l’allenarsi con il massimo dell’impegno che si lega all’educazione alla fatica e al rispetto del lavoro da svolgere.
La disciplina verso lo sport comprende gli aspetti che sono legati alle norme sportive della federazione, ma anche a quelle regole che si creano all’interno di una disciplina sportiva durante la competizione. Il primo aspetto, è molto intuitivo, si rispettano le regole e chi le fa osservare (nel calcio è l’arbitro), però vorrei aggiungere che questo aspetto deve essere vissuto in modo partecipativo (esempio: far arbitrare ai ragazzi le partite che si organizzano in allenamento), in modo che i nostri ragazzi da adulti possano essere consapevoli di quanto sia importante rispettare le regole e chi deve attuarle e farle seguire. In poche parole, conoscere e riconoscere. Il secondo aspetto che è rappresentato dalle regole invece non “scritte” ma che formano una sorta di codice etico della disciplina, sono quelle che in termini educativi impattano di più. Ci sono regole legate al fairplay, altre alla collaborazione, rispetto dell’avversario e via dicendo. Poi ci sono dei momenti che determinano la qualità di stimolo educativo che vanno oltre a quelle comuni o visibili, come ad esempio il rispetto dell’ambiente che può essere ben rappresentato dal lasciare lo spogliatoio pulito e in ordine (in particolare quando le partite sono svolte sul campo dell’avversario), un’azione che rappresenta il ringraziamento per chi ci ha permesso di giocare la partita (dirigenti e addetti ai lavori). Questi aspetti sono importanti per far capire che dietro a tante attività che il ragazzo svolge, ci sono persone che dedicano tempo e fatica affinché tutto si svolga nel miglior modo possibile. Lo sport, offre tanti stimoli e situazioni per incentivare aspetti educativi ed è bello ad esempio, conoscere quegli degli altri sport per trasferirli al proprio. Creare una cultura multisportiva.
-In questi anni hai registrato dei cambiamenti nei preadolescenti e negli adolescenti che praticano sport ad alti livelli?
-È evidente che i cambiamenti ci sono e si avvertono. Questi hanno un duplice aspetto, quello positivo e quello meno positivo. Dal mio modesto punto di vista, quello che un adulto incaricato di fornire mezzi pedagogici (anche l’allenatore della squadra di paese), dovrebbe possedere, è essere sensibile e curioso rispetto ai cambiamenti dei giovani che ciclicamente avvengono. La sconfitta più grande non è perdere una partita per tanti gol a zero, ma è quella di non essersi impegnati o non aver avuto la curiosità di cercare di capire e comprendere il mondo visto dagli occhi delle nuove generazioni. Questo approccio superficiale, potrebbe risultare poco motivante per i giovani preadolescenti e adolescenti, potrebbe portare loro a vivere il vissuto sportivo “subìto” e non attivo. In questo modo rischiamo di far morire la tanta energia che invece in queste due fasi evolutive dobbiamo saper stimolare, sollecitare e incentivare. Il rischio è che, come ho potuto notare personalmente, mentre in fase preadolescenziale lo sport viene praticato senza grandi problematiche, in fase adolescenziale si rischia che i ragazzi trovino una scarsa motivazione, con una conseguente percentuale di abbandono rilevante.
Negli ultimi anni ho potuto notare un aumentato del senso critico, ad esempio verso il giudicare un’attività, piuttosto che una situazione, ma con una modalità più argomentata e approfondita, potrei dire più costruttiva.
– Si sente dire spesso che i ragazzi delle nuove generazioni sono immaturi e non si impegnano…. Questo corrisponde a quanto puoi osservare nel tuo lavoro?
-Collegandomi alla risposta precedente, questo rischio di poco impegno e subire l’attività sportiva c’è. Vorrei intanto cercare di evidenziare un messaggio che oggi è purtroppo estemporaneo: in questo momento storico, i ragazzi si sentono “iperprotetti” dagli strumenti e dalle soluzioni che possono attuare, soprattutto in funzione del loro futuro, sono cambiati in modo radicale ad esempio i sistemi formativi e d’insegnamento, quindi i paragoni con i tempi passati sono poco attinenti. Questo significa che le nuove generazioni corrono velocemente, questo aspetto se non gestito bene può creare delle difficoltà nel riconoscere il momento che il ragazzo sta vivendo. Uno dei rischi ad esempio, è quello di dare più importanza all’immagine dell’attività sportiva che si svolge, rispetto al concentrarsi sull’importanza delle prospettive future che questo sport può dare. Posso aggiungere che nelle realtà in cui ho lavorato, l’ambiente dove viviamo condiziona e non poco le nuove generazioni, ho visto che in città dall’alto tenore di vita, i ragazzi sono più esposti ad un ritardo di maturità e faticano a mettere in campo il massimo impegno, come se avessero una sorta di paracadute che potrà sempre salvarli aldilà di quello che faranno nello sport. Collegato a quello che ho appena detto, c’è la difficoltà nel non riconoscere o non dare la giusta importanza alla grande opportunità che si può avere facendo parte di una squadra professionistica, ma ci si abbandona o spesso scegliamo di adottare la cultura degli alibi, a discapito di mettere il massimo impegno e lavorare con fatica. Questi insuccessi possono essere frutto di uno scarso coinvolgimento dei ragazzi verso l’attività sportiva. Una soluzione è quella di renderli partecipi nell’organizzare attività nella seduta di allenamento (ad esempio: pianificazione e gestione di un esercizio da parte loro), oppure guidarli nello sviluppare un senso critico verso l’analisi o la valutazione delle varie attività.
–Quanto è importante la famiglia nel sostenere i ragazzi nel loro percorso?
-La famiglia rappresenta l’elemento fondamentale per sostenere il ragazzo, lasciatemi dire che funge da timone, può e deve indicare la rotta per arrivare a vivere nel miglior modo possibile l’esperienza sportiva. Spesso si vedono ragazzi condizionati da tante figure, come amici, agenti sportivi, commenti sui social, giornali ecc.. che ne influenzano il percorso. È qui che la famiglia, assume un ruolo fondamentale, un valore assoluto, in quanto stabilizza il ragazzo rendendolo sicuro e tranquillo rispetto al cammino che sta facendo, allentando quelle tensioni portate dalle alte aspettative che si creano purtroppo precocemente attorno ai giovani sportivi di prospettiva. La famiglia può e deve inviare messaggi di coerenza rispetto all’impegno da mettere in campo e al rispetto verso persone e ambiente, facendo capire al giovane che ha un sostegno forte e stabile per il suo “probabile” futuro da calciatore, ma sicuramente da futuro adulto consapevole.
–Può capitare che un ragazzo di talento venga ostacolato nel proprio percorso da atteggiamenti familiari sbagliati?
-La famiglia è l’ambiente che sicuramente caratterizza e condiziona un giovane, sia sportivo che non. La famiglia rappresenta la base del percorso evolutivo di ogni calciatore e essendo parte integrata della sua vita, questa può influire in modo positivo o negativo sullo sviluppo del talento. Riferendomi nello specifico alla domanda, gli atteggiamenti sbagliati e più nocivi, sono quelli legati al giudizio senza analizzare le situazioni in modo approfondito e costruttivo. Esempio pratico è il giudizio verso esterni (allenatore, compagni, arbitro ecc..) che creano una sorta di leva, per alleggerire eventuali situazioni di difficoltà che, invece di essere affrontate con responsabilità, vanno a invece sfumare nelle varie scuse, alimentando così le famose teorie legate agli alibi. Altro aspetto che può creare difficoltà nel percorso evolutivo-sportivo da parte della famiglia, è l’invadenza per ricevere continuamente informazioni specifiche e rivolte a soddisfare un proprio pensiero che i genitori troppo spesso si creano nella propria mente. Qui l’esempio più facile è quando al giovane viene chiesto con chi ha giocato la partita in allenamento, quante volte “x” ti ha passato la palla, oppure se l’allenatore ti ha detto bravo, quanti gol hai realizzato ecc.. Invece sarebbe utile che le domande fossero rivolte in altro modo, nello specifico a come il ragazzo ha vissuto l’allenamento, quali difficoltà ha incontrato e come pensa di poterle risolvere, aiutandolo in un’analisi serena e costruttiva. Quindi l’obiettivo primario della famiglia è quello di sostenere i propri figli e di infondere in loro uno spiccato senso di responsabilità, fornendo gli strumenti per riconoscere le proprie azioni e i sani comportamenti. Questo è il regalo più grande che le famiglie possono fare, in funzione dello sviluppo di giovani di talento e per formare futuri adulti responsabili.