EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Identità telefoniche, essere e amare nell’era dello smartphone

di Federica Biolzi

Una invenzione che ci ha cambiato la vita che è nata quasi per caso. Il telefono, con i suoi eredi e derivati tecnologici, ci fa compagnia da un secolo e mezzo. Bruno Mastroianni con il suo ultimo libro Storia sentimentale del telefono (Il Saggiatore, 2022), ci parla della relazione, di amore e di odio, che abbiamo con questo prezioso oggetto divenuto indispensabile per la nostra esistenza.

– Il suo libro, come lei stesso dichiara, è in primo luogo, un viaggio. Viaggio intorno ad un oggetto diffuso, comune, personalizzato, invasivo: il telefono. Cosa è questo oggetto che ha 150 ANNI di vita?

-Intanto non è solo un oggetto, è più simile a un interlocutore con cui l’essere umano ha costruito nel tempo una vera e propria relazione esistenziale. Una storia di amore e odio, in cui il rapporto tra uomo e telefono è diventato sempre più stretto, invasivo, inestricabile. Tanto che oggi laddove c’è un essere umano è probabile che ci sia uno smartphone (o almeno un telefono). L’oggetto all’inizio era per pochi, compariva in luoghi precisi e aveva funzioni molto specifiche: portare la voce a distanza. Oggi il luogo del telefono siamo noi stessi e, soprattutto, ci ostiniamo a chiamarlo con il vecchio nome quando invece è diventato un dispositivo di natura completamente diversa, in cui la telefonata è solo una funzione residuale. Il telefono non è più solo un mezzo che permette le nostre interazioni a distanza, ma è una porta d’entrata nella dimensione digitale in cui le nostre relazioni si dipanano. Non sta più “in mezzo”: ci siamo dentro noi stessi, le nostre aspettative, la nostra intimità, ma anche la nostra faccia pubblica. Uomo e telefono, come nelle migliori relazioni, sono sempre più legati tra loro. 

– Con il tempo questa “diavoleria“ ha costituito  anche un momento di distacco tra le generazioni. Iniziata con la supremazia dei grandi, oggi, la loro esperienza, non è riuscita a stare al passo con la tecnologia. Perché è accaduto questo?

-Direi che la cornetta è sfuggita dalle mani degli adulti diventando smartphone che, apparentemente, è il mezzo preferito dai giovani. La vera svolta l’ha prodotta la rivoluzione digitale e, con essa, la connessione costante. Finché il telefono era un mezzo semplice che portava la voce a distanza, ben posizionato in un luogo della casa e vincolato a un contratto di linea costoso, rispettava tutti i crismi della tecnologia degli adulti e per gli adulti. Il suo uso all’epoca non richiedeva grossi cambiamenti di mentalità: così come si era in grado di parlare in presenza, non era difficile parlare a distanza. Con lo smartphone tutto è cambiato: non si parla soltanto, si è connessi, si entra in rete con altri, si presenta un’immagine di sé in pubblico, si fanno delle operazioni quotidiane potenziate dalle app, gli aggiornamenti sono costanti, le funzioni quasi infinite. Spariscono i tasti fisici, inizia l’epoca del telefono tutto schermo che assume forme diverse a seconda delle operazioni che permette di fare. Un’epoca che richiedere adattamento, spinta alla scoperta e all’innovazione, cambiamento continuo delle dinamiche di comunicazione. Tutte azioni che gli adulti, per definizione, fanno fatica a compiere. È questo il gap generazionale, che presenta buchi da tutte e due i lati della relazione: gli adulti fanno fatica a far fronte alla novità per il portato delle loro esperienze che ritengono sufficienti; i giovani sono pronti alla novità, ma mancano delle esperienze che li metterebbero nelle condizioni di vivere al meglio connessi. Le due generazioni a confronto dovrebbero riscoprire ognuna i suoi limiti e incontrarsi a metà strada. Lo smartphone può dividere oppure unire. Tutto sta a come decideremo di affrontare questo cambiamento che è umano prima ancora che tecnologico.

-Al di là delle notissime canzoni che si sono susseguite e che lo hanno visto protagonista, i sentimenti si sono variamente coniugati sui cavi e nelle cellule telefoniche. Un tempo, con un unico apparecchio nel corridoio di casa, era difficile trovare un po’ di privacy o nascondere una relazione. Oggi gli amanti hanno vita più facile, se non fosse che molte relazioni extraconiugali vengono scoperte proprio a dimenticanze inavvertitamente commesse sulle chat. Com’è, oggi, l’amore al tempo delle chat?

-Il problema dell’amore nel digitale è fondamentalmente uno: si rischia di mettere troppa intelligenza (artificiale) dove non dovrebbe esserci. Le parole d’amore per millenni hanno avuto la caratteristica di essere scambi intimi,  irripetibili e segreti tra amanti. Oggi i messaggini e gli scambi digitali diventano entità registrate, archiviate, riproducibili e conservate in database. L’illusione di entrare in contatto senza il corpo può portare a disagi enormi nell’amore. È per questo che nel libro propongo di sfruttare appieno tutte le possibilità che la connessione ci offre, ma di non dimenticare la corporeità di cui si nutre l’amore. Proprio per questo sostengo che nelle mille possibilità online di scambio, tra tutte le piattaforme che potenziano le nostre capacità di comunicazione, nonostante tutto, la sana buona vecchia telefonata mantiene un primato ineliminabile. Scambiarsi almeno la voce, con i suoi toni e le sue inflessioni, condividendo lo stesso tempo di comunicazione, è un modo per mantenere un “pezzo di corpo” a distanza. La funzione base inventata da Meucci, insomma, in amore mantiene un suo valore non intaccato dagli avanzamenti tecnologici.

– Come ci fa notare, molti dei messaggi scambiati oggi hanno assunto la forma scritta, e questo è avvenuto non senza problemi. Ci affidiamo ai correttori oppure nascondiamo i nostri sbagli ortografici dietro il mancato funzionamento di questi tutori. Siamo però dipendenti da questa scrittura.

-Nel libro affronto questo tema dal punto di vista dei contesti di comunicazione e della capacità di scegliere i più adatti a favorire la qualità dell’interazione. Un tempo era più semplice: i contesti che l’essere umano poteva creare per comunicare erano limitati e definiti. Oggi una persona connessa può decidere dove far avvenire la sua interazione scegliendo una varietà di contesti molto ampia: da una videocall a un messaggio vocale, da una chat di gruppo a una mail in cc. Ognuno di questi ambienti digitali crea contesti molto diversi e non sempre ideali per il contenuto che ci si scambia e per gli effetti sulla relazione con gli altri. Insomma, la sfida non è più solo quella di saper scegliere le parole giuste, non è neppure più soltanto quella di servirsi del mezzo giusto, ma entra in gioco anche la riflessione su che tipo di contesto quel mezzo crea tra gli interlocutori. Lo schiacciarsi sulla scrittura in chat o in email è una scorciatoia di comodo che spesso crea più fraintendimenti e disagi di quanto non ci faccia guadagnare tempo. Insomma, alcune cose è bene che siano scritte e rimangano consultabili in tempi diversi, altre bisogna spaerle dire in diretta, a voce, in presenza, o almeno in una videocall o una telefonata. A ciascuno la sua scelta da compiere con responsabilità e consapevolezza.

– Ammettiamolo,  se c’è una cosa che ci rende folli è l’apparire del numero sconosciuto. Diciamo anche che, spesso se non ci fosse, occorrerebbe inventare questa opzione. Quali strategie, quali ansie, quali aspettative lo circondano?

-All’inizio la telefonata era annunciata: era l’epoca dei centralini che smistavano le chiamate sulle diverse linee. Poi, per un lunghissimo periodo, la telefonata è diventata sconosciuta: si rispondeva e si poteva capire chi c’era dall’altra parte solo nella conversazione stessa. Infine, in tempi recenti, con i cellulari prima e gli smartphone poi, l’id del chiamante è diventato abituale. La telefonata è sempre molto “telefonata”, cioè annunciata, secondo l’espressione idiomatica italiana. Siamo così abituati a sapere in anticipo chi ci sta cercando che il numero sconosciuto può gettarci una certa inquietudine addosso, facendoci rivivere quei momenti adolescenziali in cui ci vergognavamo di rispondere al telefono fisso che squillava senza informazioni su chi ci fosse dall’altra parte. È però un fenomeno residuale. La nostra vita comunicativa, ormai, ha sempre meno sorprese. Chi ci cerca può farlo attraverso una quantità di canali variegatissima, annunciando in anticipo la sua intenzione di raggiungerci. Forse abbiamo perso un po’ di fascino della conversazione improvvisata, di certo ci abbiamo guadagnato in possibilità di scegliere con chi interagire o meno. Sempre se riusciamo a tenere testa al sovraccarico di notifiche che riceviamo. Ma questa è la condizione dell’Homo sapiens smartphonicus che in un modo o nell’altro si sta adattando, come sempre ha fatto nel corso della sua storia, di fronte alle tecnologie che lui stesso si è procurato per potenziare le sue capacità naturali. È una storia ancora tutta da scrivere. Ho provato a ripercorrerne le tappe “fin qui”, proprio perché, se la storia deve proseguire, non si può e non si deve mettere la parola “fine”.


Bruno Mastroianni

Storia sentimentale del telefono

Un viaggio sentimentale da Meucci

all’Homo smartphonicus

Il Saggiatore, 2022

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