EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Il mito famigliare e la paura inconsapevole

di Claudio Fratesi

-Storia di un caso clinico

Credo sia opportuno iniziare questo articolo con le parole di un paziente che soffre di fobie molto severe, paure che lo condizionano pesantemente in molti ambiti della vita quotidiana:

“La paura sta con me in ogni momento!

La paura è tante cose!

La paura è un circolo vizioso!

La paura si auto alimenta!

La paura mi protegge in maniera oppressiva, fino all’immobilismo, fino alla rinuncia a tutto!”

– Premessa

Come sarebbe la vita senza la paura? Sarebbe possibile vivere senza?

La paura è la primordiale forma di protezione e di salvaguardia della nostra incolumità, è la valutazione di un pericolo e contemporaneamente delle nostre risorse, ci impone immediatamente una domanda (di cosa ho paura?) e la ricerca di una risposta (perché ho paura?).

La parola ANSIA è statica, è diagnosi clinica, è sentirsi pazienti; la parola PAURA è dinamica, è ricerca, è azione.

Questo meccanismo di difesa, che ci fa scappare o lottare, quando si distacca dalla realtà, quando diventa insuperabile, può uccidere.  Molti tentativi di suicidio sono agiti da persone che non hanno retto alla paura di qualcosa ritenuto insuperabile, un esempio per tutti lo troviamo nelle gravi depressioni post partum.

Paure reali e paure irreali, paure di cui siamo consapevoli e paure inconsapevoli, che non avvertiamo o che non comprendiamo. Paure che fanno prendere decisioni immediate, che attivano comportamenti automatici, non pensati.

Già a livello organico esiste un meccanismo di reazione alla paura installato in una piccola parte del cervello chiamata Amigdala. Se una persona, infatti, vede con la coda dell’occhio sul pavimento della stanza una corda scura che lontanamente potrebbe assomigliare a un serpente, molto probabilmente attiverà una reazione di allarme e di evitamento, anche se è quasi impossibile che un cobra si aggiri in quella stanza.

Eppure l’Amigdala, piccola noce subcorticale, non trasmette l’informazione alla corteccia, che analizzerebbe razionalmente la situazione e valuterebbe con metodo il da farsi, ma agisce spontaneamente e innesca una reazione di evitamento, una reazione automatica  mette la persona al sicuro. Su questa traccia potrei fare molti esempi, ma in questo articolo vorrei parlare di un’Amigdala ‘psicologica’, che funziona attivando reazioni  a paure di cui non c’è consapevolezza.

Si tratta di paure che condizionano il comportamento e si trasmettono sul corpo, paure che sono trasmesse dalla storia della famiglia di origine e che  sono condensate in contenuti mitici.

I miti famigliari sono peculiari di ogni famiglia e nello stesso tempo sono integrati nella cultura nella quale la famiglia vive ed è vissuta. Sono fondamentali per guidare le persone nei grandi eventi e ruoli della vita, come essere genitori, essere figli, affrontare i grandi cambiamenti, le separazioni, i lutti e soprattutto utili per mantenere unita la famiglia evitando ogni forma di disgregazione anche parziale.

I miti sorreggono, indicano la strada e per essere agiti si concretizzano in azioni che sono i mandati familiari, o i riti se hanno una valenza culturale e collettiva; sono quei comportamenti che dimostrano nei fatti il contenuto del mito.

È però necessario che detti miti per essere utili e funzionali siano plastici e non rigidi.

La società si trasforma continuamente, pertanto i componenti di ogni famiglia dovranno, attraverso i mandati, rispettare il mito e nello stesso tempo modificarlo. In questa danza tra mito e mandato si struttura un continuo lento cambiamento del mito, su questa capacità di modificare o meno una mitologia si manifesta la funzionalità di una famiglia o la sua disfunzionalità.

Cosa accadrebbe , ad esempio, se una famiglia reagisse oggi con i mandati famigliari di decine d’anni fa? Sarebbe una famiglia disfunzionale, del tutto incapace a risolvere problematiche attuali, i ruoli dei suoi componenti sarebbero ‘congelati’ nel tempo, fuori dal tempo, in una parola sarebbe una famiglia che produce follia.

Ritorno sul tema della paura perché alcuni miti possono esprimersi anche attraverso paure di cui l’individuo sente solo l’effetto, senza comprenderne la causa.

A questo proposito, parlerò di un caso clinico, la storia di una coppia dove la paura inconsapevole  ha avuto un ruolo molto importante.  

– Presentazione della coppia

Per ragioni di privacy ho modificato alcuni dettagli mantenendo comunque intatto il contenuto della terapia. Si tratta di due giovani trentacinquenni, Carla e Carlo, ovviamente nomi inventati, sposati d quattro anni dopo un lungo fidanzamento. Vivono nella loro casa di proprietà,  hanno una normale frequentazione con i loro genitori, tutti e quattro vivi; Carla è figlia unica mentre Carlo ha una sorella minore sposata e ancora senza figli.

Carlo è ingegnere, si dichiara scontento perché non riesce ad avanzare a livello professionale e si lamenta, nel ricordare quanto abbia studiato per diventare ingegnere, di avere un reddito che allo stato attuale gli permette una vita modesta, molto inferiore alle aspettative che si era fatto.

Carla lavora in una ditta di confezioni, è capo reparto, molte responsabilità e numerosi problemi da risolvere  ma si ritiene soddisfatta della carriera che sta facendo.

Carla e Carlo si sono conosciuti alle scuole superiori, entrambi provengono da famiglie tradizionali, tutto bene tra loro ad eccezione di una crisi che li portò a lasciarsi per qualche mese quando avevano circa vent’anni, entrambi ebbero un flirt con altre persone, ma dopo meno di un anno decisero di mettersi di nuovo insieme e da quella volta tutto filò liscio nel loro percorso di vita.

Carlo proviene da una famiglia con qualche tratto coesivo, rapporti abbastanza stretti con il padre e la madre e anche con la sorella, ancorché sposata; una famiglia classica dove la domenica ci si riunisce tutti quanti a pranzo.  Carla ogni tanto si lamenta di questo appuntamento fisso, soprattutto nel periodo estivo, ma solo leggeri disappunti e nessuna ostilità.
Carla, figlia unica, proviene da una famiglia più difficile e complessa: la madre ha sempre sofferto di depressione, curata con farmaci, con fasi acute in cui i sintomi la bloccavano a casa e le impedivano di lavorare.  Carla ha tanti ricordi della madre chiusa nella sua camera al buio, tanti ricordi del padre affannato a consolarla per ore ed ore senza alcun risultato.

Carla di fatto è cresciuta in una famiglia con genitori ‘assenti’, una famiglia nella quale ha dovuto presto imparare ad essere autonoma; invece di chiedere attenzioni per sé stessa è cresciuta riversando Lei tante attenzioni verso la madre che ha sempre visto come una persona malata da proteggere.

Carla riguardo al rapporto di coppia dei suoi genitori ha visto una forte unione tra i due, una unione disperata dove il dolore e il sacrificio hanno avuto un ruolo dominante.

Carla fa visita ai genitori due volte a settimana, spesso li aiuta nella gestione della casa, in quella famiglia  è mancata da sempre quella componente affettiva , tradizionale, fatta anche di momenti aggregativi, di pranzi parentali, di quelle piccole invadenze che sono molto comuni nelle cosiddette famiglie normali.

Di tutte queste mancanze Carla non ritiene responsabile i genitori, dà la colpa alla malattia della madre, quella depressione maledetta, a volte latente e altre volte acuta che ha condizionato tutta la storia della sua famiglia.

La famiglia di Carlo ,invece, è quella affettiva che unisce e crea senso di  vicinanza.

– Il problema

Carla e Carlo, su indicazione del ginecologo, chiedono una psicoterapia, perché da anni cercano un figlio che non arriva nonostante non siano emerse incompatibilità o altre problematiche.

La coppia ha fatto tutti i percorsi di gravidanza assistita e ha al proprio attivo anche tre interventi FIVET senza aver ottenuto alcun risultato positivo.

Nel corso del primo colloquio appare evidente che la coppia è caduta in una specie di bipolarità ciclica, collegata all’arrivo delle mestruazioni che innesca la fase depressiva seguita poi, dopo alcuni giorni, da una fase della speranza che crolla di nuovo appena arrivavano le mestruazioni.

Una situazione che sta diventando cronica e che si ripercuote moltissimo in tutte le loro relazioni sociali.

Carlo mostra un atteggiamento rassegnato e accenna ad una eventuale adozione; al contrario Carla è contraria all’adozione perché la vivrebbe come una sconfitta e come il segno di un disvalore personale.

La terapia non sta portando da nessuna parte, gli incontri si ripetono con la stessa ciclicità portata dalla coppia, non emergono elementi nuovi, il baricentro continua ad essere l’arrivo o meno delle mestruazioni.

Nel tentativo di allargare il più possibile gli argomenti da trattare chiedo se abbiano avuto altri problemi prima di questo che li ha condotti da me.

Nessuno fa accenno alla loro crisi dei vent’anni, segno che entrambi hanno ben rielaborato l’evento.

Carlo , invece, racconta di aver sofferto di attacchi di panico durante il periodo della leva militare.

Penso a un’ansia da separazione dalla FO, molto frequente nelle famiglie coese, indago con alcune domande circolari ed emerge insospettata una situazione molto più complessa: l’ansia di Carlo  esplosa durante il militare si manifestò con bizzarri pensieri ossessivi sull’ eroismo, sul sacrificio, su fantasie di un ritorno a casa con un’amputazione da battaglia. Pensieri ossessivi che lo hanno costretto a una cura farmacologica e a un congedo anticipato per motivi di salute.

Chiedo chiarimenti e Carlo mi parla di un nonno, di una medaglia d’argento al valor militare meritata durante la prima guerra mondiale, una medaglia molto importante che ha dato lustro a tutta la famiglia nel piccolo paese dove vivono, una medaglia appesa in bella vista nella sala principale della casa dei genitori, una medaglia conquistata con il coraggio, una medaglia che ha fatto onore a tutta la famiglia.

Ecco diventare molto più chiaro il forte dispiacere di Carlo per una carriera professionale al di sotto delle aspettative, sue o della famiglia?

– Le famiglie di origine

La psicoterapia è per prima cosa lo svelamento dei problemi e in questa terapia è difficile uscire dal circuito ridondante portato dalla coppia, tutto è incentrato su questa gravidanza che non arriva e sull’andamento ciclico dell’umore collegato all’arrivo delle mestruazioni.

A questo punto per cercare di uscire da questa impasse mi affido all’intuizione di fare un allargamento di contesto, convocando Carla con i suoi genitori e separatamente Carlo con i suoi.

Una prassi, questa delle convocazioni disgiunte delle famiglie di origine, studiata e praticata per primo da  J. Framo e poi da A.Canevaro, una prassi che permette ad ogni famiglia di ricongiungersi e di riattivare gli antichi schemi relazionali e consente inoltre di potersi esprimere liberamente riguardo al partner del figlio/a.

Da parte del terapeuta c’è l’impegno di mantenere il riserbo su quanto detto in ciascun incontro disgiunto, lasciando a Carlo e Carla la libertà di dire o non dire quanto emerso nell’incontro con la propria famiglia.

Entrambi accettano senza difficoltà la mia proposta e la prima famiglia che intervisto è quella di Carlo.

Si tratta di due genitori tradizionali, operai soddisfatti della vita che conducono, contenti di essere riusciti con tanti sforzi ad aiutare i loro due figli ad avere una casa, non hanno problemi con entrambe le nuore e il loro unico dispiacere è per Carlo, figlio primogenito, che non vedono ancora soddisfatto sia per il lavoro che svolge sia per il figlio che non arriva.

Verso la metà del colloquio su mia indicazione, il discorso vira sulla figura del mitico nonno paterno.
Il padre di Carlo si dilunga in ricordi di questo padre tornato eroe e poi morto giovane per le conseguenze di una ferita che oggi sarebbe stata curata. Il padre di Carlo da ragazzo rimaneva incantato ad ascoltare suo padre quando, a cena con i parenti, raccontava delle battaglie, del terrore che colpiva i soldati tutte le notti antecedenti l’attacco del giorno dopo, quando sarebbero corsi contro le linee nemiche, allo scoperto sotto il fuoco nemico.

Mentre il padre di Carlo mi racconta, con gli occhi lucidi e nel totale silenzio della moglie e del figlio, le prodezze del proprio padre, ho l’impressione di vedere tre ragazzi mai cresciuti all’ombra di un gigante e dico che è difficile diventare adulti in una famiglia con un personaggio così importante. Il padre di Carlo mi risponde che non ha mai pensato di essere migliore di suo padre, che non ha patito alcuna difficoltà nel sentirsi figlio dell’eroe molto noto in paese, celebrato dal Sindaco, un uomo morto giovane che grazie al suo eroismo è stato il pilastro di tutta la famiglia.
Egli aggiunge che è molto fiero che il figlio abbia studiato ingegneria meccanica, perché in guerra sono gli ingegneri meccanici quelli che progettano le armi per vincere. Chiedo se c’è qualche guerra in atto e il padre di Carlo risponde che la vita è una guerra di tutti i giorni.

Sulla gravidanza che non arriva si esprime la madre di Carlo, con tono bonario sostiene che  aspetta un nipote ed è sicura che arriverà.

La seduta termina senza altri argomenti, mi resta l’immagine di una famiglia schiava di un mito che non vuole lasciare andare, al contrario appare evidente che il padre di Carlo cerca nel figlio la continuazione della mitologia.

Li saluto con questa restituzione: “Avete avuto la fortuna e la responsabilità di avere  un eroe in famiglia. Gli eroi muoiono giovani e sono solitari, gli eroi muoiono anche per la loro famiglia e non vogliono altri eroi morti in famiglia, al contrario vogliono che la famiglia cresca e invecchi serenamente. Non sarebbero veri eroi se desiderassero altri eroismi e altri morti tra i loro cari. Sono convinto che il vostro eroe è un vero eroe!”

L’incontro con i genitori di Carla ha da subito un tono completamente diverso, il tema centrale è la depressione della madre; una depressione che esiste da sempre, causata dalla perdita della mamma quando lei era molto piccola, un evento che ha condizionato tutta la sua vita.

Era stata cresciuta con fatica dalle sorelle del padre, che si alternavano nella conduzione della casa per permettere al  fratello di lavorare. Un dolore, una tristezza cronica mitigata dall’incontro con il padre di Carla che si è sacrificato nel sostenere la moglie, confermandola e sorreggendola da quando l’ha conosciuta.

Carla di fatto è cresciuta senza la componente protettiva e rassicurante dei genitori. È una persona cresciuta in solitudine, diventata grande velocemente, già alle superiori si era fortemente attaccata a Carlo e poi sempre più in fretta si è resa autonoma.

Tutto questo correre verso la vita non le ha tolto la profonda angoscia che prova verso questa donna, la madre, sempre triste e in bilico tra una crisi depressiva e rari momenti di pace, come li chiama Carla.

Ad un certo punto sposto l’argomento sul tema della gravidanza che non arriva e avverto un netto cambiamento di clima, quella sensazione che si presenta nelle terapie quando ci addentriamo in una ‘stanza’ inesplorata della vita del paziente, un luogo psicologico che è lì davanti a noi  nascosto e oscuro.

La mamma improvvisamente rompe in un pianto accorato, nello stupore di tutti, compreso il mio, fino a quel momento si è parlato di un dolore vecchio e cronico, ma in queste lacrime improvvise si intravede la presenza di un dolore vivo e presente.

Carla, anche lei colta di sorpresa, fissa la madre.

Il padre, come è abituato a fare, abbraccia stretta la moglie e le sussurra qualcosa nell’orecchio e a questo punto la madre di Carla, con il fazzoletto che le copre gli occhi pieni di lacrime dice che ha un segreto da dire e racconta che la propria madre morì quando lei era piccolina, ma che ha nascosto un fatto: la mamma si era suicidata per una depressione post partum che all’epoca non fu nemmeno diagnosticata.

Era cresciuta con le zie, che solo quando era divenuta ragazzina, le avevano raccontato tutta la verità sulla morte della mamma. Si erano trasferiti subito dopo la disgrazia, in un altro paese dove nessuno sapeva, ma era cresciuta con l’idea di essere lei la colpevole della morte della madre.

Carla dopo questa rivelazione rimane come congelata, il padre e la madre si avvicinano per abbracciarla, Carla rimane ferma e si lascia abbracciare. Sua madre singhiozzando ripete che non ha detto la verità a Carla per proteggerla, nel disperato tentativo di dimenticare. Non è facile ,però, superare la tristezza causata dal lutto di una mamma morta  per lei, una tristezza amplificata dal senso di colpa.

Chiudo l’incontro dicendo che sono grato per la fiducia che hanno dimostrato nel raccontarmi questi avvenimenti, così profondi e dolorosi; aggiungo che il silenzio non protegge ormai più nessuno, se mai lo avesse fatto, e  ora che hanno tolto il velo è tempo di parlare ed aprirsi tra loro. Concludo che a mio avviso non c’è bisogno della mia presenza per confrontarsi tra di loro, ma che se volessero io sarei  assolutamente disponibile.

Dopo un paio di settimane rivedo la coppia; Carla ha raccontato tutto nei dettagli a Carlo e anche Lui a Lei. Mi dicono che hanno parlato moltissimo e che si sentono più leggeri.

Carla sta frequentando più spesso la casa dei genitori; mi rivela che si sente come se il suo cuore avesse già saputo quanto detto dalla madre, gli rispondo che il cuore sente e la testa sa e quando c’è sintonia tra queste parti, emotive e cognitive, c’è la piena consapevolezza che permette di trovare soluzioni.

Mi informano che vogliono fare una pausa con la terapia, non vogliono affrontare altri problemi, non vogliono sapere né di gravidanze né di altro, perché al momento sono già troppo pieni di emozioni e desiderano solo stare vicini.

Il problema dominante che li ha portati in terapia, diventare genitori e soprattutto per Carla diventare mamma pena non valere niente, è stato offuscato e depotenziato dagli ultimi avvenimenti e dalla necessità di rivedere la loro storia alla luce delle ultime rivelazioni.

La psicoterapia è un lavoro lungo, lento e difficile, perché ha l’obiettivo di far evolvere le persone, occorre motivazione e forze disponibili da parte di tutti gli attori partecipanti.

Non li rivedrò  più , mesi dopo Carla mi telefona e mi dice di essere incinta, è felice, le chiedo della mamma e mi dice che non ci sono stati grandi cambiamenti nel loro rapporto, ma che complessivamente va bene così.

Mi telefona di nuovo dopo qualche mese e mi dice che il bambino è nato  e che va  bene e che sono contenti. Ci salutiamo calorosamente

Non ricordo il nome del bambino, ma ricordo la sua voce felice e anche la mia felicità nel sentirla così.

– Conclusioni

Credo che questa storia sia un esempio di come i miti della famiglia, che si tramandano inconsapevolmente ,  possano condizionare enormemente il destino delle persone. È anche un esempio di come il passato possa essere rivisto e cambiato alla luce di rivelazioni attuali, infatti il presente è più complesso del passato perché lo contiene. Sta in questo il potere della psicoterapia,  nella capacità di modificare il vissuto del passato e di andare avanti meglio nella vita.

I miti ci aiutano e ci proteggono, ma se restano rigidi e carichi di emozioni irrisolte perdono la loro capacità d’aiuto e si trasformano in blocco. Ci sono miti frutto della storia peculiare di una famiglia e altri che appartengono a tutti perché sono frutto di una data cultura .

Il meccanismo della fertilità è molto complesso e non è possibile dire che Carla e Carlo abbiano realizzato il loro sogno solo grazie allo sblocco emotivo avvenuto in terapia, però è innegabile che per questi ragazzi era realmente difficile, a livello psicologico, diventare genitori.

Un eroe da riproporre il mandato di Carlo e la grande paura trasmessa dalla madre di Carla pesavano enormemente sulla loro vita.

La paura di un abbandono, di una colpa collegata al nascere potevano solo ostacolare e non certo aiutare una evoluzione così importante come quella di diventare genitori. Lo svelamento del Segreto, la madre che si libera tra i singhiozzi e dice quello che aveva sempre considerato indicibile è un passaggio che ha sicuramente dato un volto e una voce a una paura profonda e così facendo l’ha depotenziata del suo intrinseco valore mitico.

Nello svelamento c’è solo liberazione, nei fatti non accade niente di terribile per quelle parole finalmente svelate, nessuno muore, nessuno si perde e nessuno si abbandona, al contrario la consapevolezza ha permesso lo scongelamento delle emozioni e la ripresa del percorso del tempo.

Il passato finalmente passa ed è possibile affrontare con maggiore forza i progetti futuri.

***

Andolfi M., (a cura di) La crisi di coppia, Cortina, Milano 1999

Bogliolo C., Fare ed essere terapeuta, Franco Angeli, Milano 2012

Bogliolo C., Psicoterapia relazionale della famiglia. Teorie, tecniche, emozioni nel modello consenziente, Franco Angeli, Milano, 2001

Ferreira A., Miti familiari, in Watzslavick P., Weakland J-H., La prospettiva relazionale, Astrolabio, Roma, 1978

Framo J., Programma e tecniche della psicoterapia familiare intensiva, in Boszormeny-Nagy I., Framo J. (a cura di), Psicoterapia intensiva della famiglia, Boringhieri, Torino 1969

Loriedo C., Picardi A., Dalla teoria generale dei sistemi alla teoria dell’attaccamento, Franco Angeli, Milano 2000

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