di Giacomo Dallari
Qualsiasi sia il proprio punto di vista è innegabile che l’idea di Dio – o più precisamente l’idea del divino – sia una caratteristica peculiare dell’uomo. Dal punto di vista prettamente antropologico e sociologico, la religiosità sembra suggerirci l’idea che esista una naturale tendenza umana nei confronti di un universo di valori, aspettative e di credenze che non necessariamente coincidono con il mondo materiale e tangibile. Già Platone, che si potrebbe definire a buon titolo “l’inventore” del pensiero occidentale, nelle Leggi, dichiarava che «il mondo è pieno di dèi»[1] sostenendo che, parallelamente al pensiero che utilizza la ragione e ricerca spiegazioni, esista un percorso che sprona l’uomo ad uscire da se stesso, dai sensi immediati e dalla ricerca di significati unicamente razionali, per far emergere una sorta di immagine apparente che anima, unifica e propone significati onnicomprensivi. L’essere umano, ovunque e in ogni tempo, ha avvertito la necessità di ricercare o per meglio dire oggettivare, un’entità tale da mitigare l’ansia di una eccessiva individualizzazione e ha espresso tale esigenza attraverso un meccanismo che ha diluito il soggetto a discapito di un “piano superiore”, di una volontà e di una forza che, seppur mai oggettivata, giunge a dare significato al soggetto stesso.
Gli uomini, oltre a manifestare quello che viene definito, non certo senza limitazioni, pensiero razionale, sono l’unica specie che è in grado di produrre narrazioni e, in termini ancora più generali, cultura. Tutte le forme culturali dei diversi popoli (arte, letteratura, musica, ecc), senza eccezioni, evidenziano una necessità di carattere religioso accompagnata da tutta quella serie di interrogativi sulle origini prime e i fini ultimi dell’esistenza: il significato della vita, il senso della morte, la speranza di una vita oltre la morte, il bene ed il male e molte altre ancora. Tutto ciò sembra essere accumunato dall’idea che l’universo sia retto da un creatore o da una forza superiore e che l’essere umano, nella sua condizione di individuo e di soggetto, non sia altro che una manifestazione di tale forza generatrice.
Nelle sue manifestazioni storiche e culturali il senso religioso ha evidenziato un contenuto certo spirituale ed incorporeo, ma anche un contenuto dottrinale, normativo ed istituzionale che lo distingue dal concetto, ben più ampio e vasto, di sacro. Lo stesso Agostino, ne Le Confessioni, afferma che il senso del sacro è difficilmente descrivibile e oggettivabile: «se nessuno me ne chiede, lo so bene, ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so»[2]. Il senso del sacro rimanda inevitabilmente alla divinità e al suo culto, quindi ha stretti legami con le religioni, ma tende ad enfatizzare gli aspetti relativi alla sfera dei sentimenti e potrebbe addirittura apparire come preesistente o propedeutico rispetto al sentimento religioso vero e proprio, inteso quest’ultimo nella sua accezione dottrinale e normativa come quel complesso di credenze e riti che legano gli individui con la divinità e che soddisfa il bisogno, proprio dell’uomo, di una certezza trascendente di fronte alla precarietà dell’esistenza. «Sacro – come scrive Umberto Galimberti – è una parola indoeuropea che significa separato e la sacralità, quindi, non è necessariamente una condizione spirituale o morale, ma una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l’uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé e come tali attribuibili a una dimensione, in seguito denominata divina, pensata come separata e altra rispetto al mondo umano»[3].
Il sacro, quindi, enfatizza l’adesione immediata e concreta dell’individuo ad una determinata esperienza e la sacralità è ciò che viene sentito e vissuto da un soggetto il quale, a differenza della mera pratica religiosa, può arrivare a sacralizzare, cioè a rendere sacro, anche ciò che una determinata religione non considera tale. Sacro, infatti, può essere il sentimento dell’amore, una poesia, un’opera d’arte, una promessa, una determinata situazione e tutto ciò che il soggetto vive come un qualcosa che lo eleva ad una condizione di “trascendenza”. Non sono forse “sacre” le parole di Leopardi, il genio di Galileo, le note di Mozart o le pennellate di Caravaggio? Il termine trascendente dal punto di vista etimologico significa proprio “ciò che è superiore”, che va oltre il consueto e l’ordinario e può essere attribuito a tutto ciò si trova al di sopra dell’esperienza sensibile diretta e immediata e della mera percezione. Sempre Galimberti non esita ad affermare che «l’uomo non ha nessun valore se non riesce a esprimere nulla che trascenda la sua vita biologica e l’arte è una forma di questo trascendimento. Ma anche l’arte non ha nessun valore se non riflette l’oltrepassamento dell’uomo, il suo superamento della condizione animale»[4].
Se le religioni sono strutture di pensiero spesso rigide e autoreferenziali, la sacralità sembra caratterizzarsi come una propensione dell’uomo ad andare oltre se stesso, oltre la propria finitudine come bisogno di autoaffermazione. «Nell’esperienza del sacro – scrive a questo proposito Sergio Moravia – l’individuo è impegnato a cogliere verità non immediate e alla mano, a entrare in una dimensione separata cui si accede solo a ben precise condizioni. Il sacro non annulla il profano, del quale, anzi, ha per più versi bisogno. Piuttosto chiede all’essere umano di compiere una sorta di viaggio verso un’ulteriorità suscettibile non solo di illuminare ciò che potrebbe esistere dietro il velo di Maja, ma anche di guidare la vita che, di ritorno dal viaggio, siamo chiamati a vivere nel solito mondo»[5].
Il sacro, quindi, potrebbe addirittura essere ciò che si cela dietro alla quotidianità, dietro e oltre le consuetudini come differenza tra una presunta normalità, abitudinale e rituale, e una realtà altra che potrebbe disvelarsi ed avere anche un valore trasformativo e migliorativo. Franco Ferrarotti, nel libro Il paradosso del sacro, ha addirittura affermato che molte religioni abbiano una natura dissacrante, in quanto tendono ad annientare la genuina propensione dell’uomo verso il sacro, attraverso un sistema di regole e di codici che depersonalizzano il culto, censurandone gli aspetti soggettivi, emozionali ed emotivi[6].
Il sacro, diversamente dalla pratica religiosa, non si caratterizza come sistema che ha l’obiettivo di governare e regolare le azioni degli uomini ma anzi diviene possibilità che tali azioni possano avere un respiro più ampio ed una maggiore emotività. Se la religione è culto di un Assoluto che tende ad escludere altre verità, il sacro racchiude in sé possibilità infinite che non ricalcano fedelmente una visione totalizzante e onnicomprensiva della realtà e può apparire anche come un possibile tentativo di rifiutare il conformismo uniforme e monodimensionale sempre più pressante, manifestandosi come un diritto dell’uomo alla differenza e all’andare oltre se stesso e il suo tempo. Nietzsche, commentando il Prometeo incatenato di Eschilo, scrive che «il presupposto del mito di Prometeo è lo sconfinato valore che un’umanità ingenua attribuisce al fuoco, come al vero difensore della civiltà ascendente: ma che l’uomo disponesse liberamente del fuoco e non lo ricevesse soltanto come un regalo dal cielo, come folgore incendiaria o come vampa scottante del sole, apparve a quei contemplativi uomini arcaici come un sacrilegio, come una rapina ai danni della natura divina»[7].
Bibliografia
- Agostino, Le confessioni, Zanichelli, 1968.
- F. Ferrarotti, Il paradosso del sacro, Laterza, Roma, 1983.
- F. Nietzsche, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, in Opere, Volume III, Adelphi, Milano, 1972, p.69.
- Platone, Leggi, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano, 1991-
- S.Moravia, L’enigma dell’esistenza, Feltrinelli, Milano, 1999, p. 238.
- U.Galimberti, Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto, Feltrinelli, Milano, 2012, p. 13
[1] Platone, Leggi, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano, 1991, p.899.
[2] Agostino, Le confessioni, Zanichelli, 1968, XI, 14 e 18.
[3] U.Galimberti, Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto, Feltrinelli, Milano, 2012, p. 13.
[4] U.Galimberti, Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto, Feltrinelli, Milano, 2012, p. 316.
[5] S.Moravia, L’enigma dell’esistenza, Feltrinelli, Milano, 1999, p. 238.
[6] Cfr. F. Ferrarotti, Il paradosso del sacro, Laterza, Roma, 1983.
[7] F. Nietzsche, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, in Opere, Volume III, Adelphi, Milano, 1972, p.69.