di Claudio Fratesi
Il Suicidio, l’azione violenta contro sé stessi, è uno degli argomenti più delicati da affrontare perché carico di dolori, elementi drammatici e significati complessi.
Molto rilevante è il tema dell’appartenenza culturale, ci sono differenze significative tra culture, basta riflettere al significato che il suicidio ha in Giappone o in qualche tribù africana o nel nostro mondo occidentale ed emergono caratterizzazioni storico culturali notevolmente diverse
Resta comune il fatto che tra le morti inattese il suicidio riveste da sempre una posizione speciale nella casistica delle morti violente poiché suscita sgomento ,familiari atterriti ,senso di colpa, rabbia.
Un aspetto peculiare connesso al suicidio è la forte ambivalenza che familiari e amici sopravvissuti nutrono verso la persona morta, un’ambivalenza che contiene spesso emozioni contrapposte: pietà, dolore, rabbia, odio, senso di colpa.
“ Potevamo fare qualcosa?” “Non abbiamo capito quanto stesse male” “Non me lo sarei mai aspettato da una persona così” “ Lo ha fatto per farmi del male, per farmi sentire in colpa”
Sono solo alcune delle espressioni più comuni che i congiunti sopravvissuti dichiarano di pensare e sentire dopo l’evento drammatico.
Nei miei anni di lavoro ricordo una donna di 35 anni madre di due figli e a sua volta figlia di una donna che si era suicidata lanciandosi nel vuoto da un ponte sull’autostrada, un giorno mi disse arrabbiata “Io non manderò mai affanculo i miei figli come ha fatto mia madre” In queste parole ,pronunciate con gli occhi carichi di tristezza e rabbia emerse tutto il dolore e le emozioni potenti e contrastanti che stava vivendo in quel momento della sua vita. E ancora le parole di un uomo sessantenne che quando aveva 17 anni, dopo quattro giorni di ricerche , trovò il padre appeso nel piccolo negozio in cui faceva l’orologiaio, vide per prima cosa le scarpe nere mentre sollevava la serranda del locale, le riconobbe subito e si fermò nel sollevare la serranda, per quel ragazzo diciasettenne era sufficiente ciò che aveva visto.
C’era anche per terra un piccolo foglio battuto a macchina nel quale il padre salutava il figlio e gli diceva che era sicuro che era forte e che ce l’avrebbe fatta ad andare avanti nella vita .
E in ultimo voglio raccontare di una ragazzina di 16 anni , la mamma si era impiccata pochi mesi prima, la ragazzina e il padre si maceravano nella sofferenza perché il vigile del fuoco che aveva fatto i rilevamenti aveva annotato che dalla posizione delle scarpe ,lanciate distanti, era possibile concludere che la vittima in realtà non volesse morire e che aveva fino all’ultimo momento cercato di salvarsi.
Tanti casi, 4000 ogni anno solo in Italia, tante persone morte di malattia perché il suicidio e una morte che possiamo catalogare per malattia ,la depressione, il dolore insopportabile.
La depressione può essere una malattia mortale.
Ci sono luoghi che diventano accumulatori di suicidi, ponti , dighe, terrazze pubbliche ,non è raro che alcune amministrazioni comunali si trovino costrette a costruire barriere ,reti o altri ripari per impedire a quei luoghi di continuare ad essere destinatari di morte.
La grande maggioranza degli aspiranti suicidi che sono sopravvissuti dichiarano che il loro gesto era motivato da far cessare un dolore insopportabile ,immutabile che non sarebbe mai cessato.
E’ quindi la disperata necessità di fermare un dolore insopportabile la principale motivazione del suicida.
La società condanna il suicidio, lo allontana come un esorcismo per allontanarsi da una realtà che è per possibile per tutti.
Una porta verso il nero più profondo che si annida nell’animo umano, in passato la condanna del suicida superava le leggi terrene , la chiesa non celebrava messe funebri per i suicidi e non li riteneva in Grazia di Dio e quindi immeritevoli di essere sepolti in terra cosacrata.
Freud chiamava Thanatos questa forza autodistruttiva e la opponeva a Eros forza della vita e della fertilità.
Le famiglie con un familiare morto suicida sono viste in maniera sospetta, a volte sono accusate di qualche deficit ritenuto la causa del dramma , i parenti stretti del familiare morto hanno a volte paura di essere portatori di un malanno oscuro che li possa far cadere nello stesso meccanismo di morte.
L’organizzazione mondiale della sanità individua tre fattori che se si verificavano in maniera concatenata possono causare breakdown psicotici : una debolezza psicologica, entità dell’elemento traumatico, il timing ovvero quando succede l’evento.
La triade nefasta che quando si allinea genera disastri.
Lucia è una bella ragazza di 22 anni, arriva in terapia ‘portata’ dalla madre, Elisa di 52 anni.
Lucia ha occhi grandi ,azzurri, buoni e persi. Quegli occhi che ti guardano ma che sembrano vedere altro perché sono rivolti dentro se stessi e non verso l’esterno. Lo sguardo di una ragazza schizofrenica.
Infatti la mamma racconta che la figlia, nonostante la giovanissima età , è già stata ricoverata due volte in psichiatria per disturbi deliranti e ha fatto un percorso riabilitativo di un anno in una comunità psichiatrica.
Una situazione pertanto molto difficile che è possibile affrontare soltanto in maniera complessa e articolata in team.
Infatti per Lucia è iniziato il ricovero in una struttura psichiatrica per giovani psicotici e spetta a me il compito di sostenere i genitori in un percorso psico educativo.
Per psicoeducativo si intende un intervento che ha per obiettivo principale istruire e formare i genitori verso comportamenti e atteggiamenti che sono più congrui ed efficaci per la patologia del familiare.
Ma istruire e formare la coppia genitoriale, significa anche inevitabilmente lavorare sugli aspetti disfunzionali , è chiaro che lavorando su questi temi si entra inevitabilmente nel campo della psicoterapia.
Quindi è corretto dire che ci sono interventi che ,pur essendo principalmente psicoeducativi ,si arricchiscono ,quando è possibile e la situazione psicologica lo permette ,di contenuti psicoterapeutici volti al cambiamento delle relazioni in profondità.
In questo caso lavorare con i genitori di Lucia significa lavorare con Elisa perché il padre di Lucia è morto quando la ragazza era alle scuole medie, una morte per cancro ,rapidamente in pochi mesi.
Elisa da sola ha continuato a crescere questa unica figlia, continuato perché mi dice che il padre era da sempre lontano sia fisicamente che psicologicamente e non si era mai realmente occupato della figlia
Elisa e Lucia, madre e figlia, sono la famiglia, sostanzialmente da sempre e la morte del padre di Lucia non sembra aver lasciato tracce traumatiche in loro due, ma questi sono elementi importanti che i sanitari della struttura elaboreranno insieme a Lucia, per aiutarla a crescere ed ad uscire da una situazione di infantilismo emotivo e affettivo che sono componenti essenziali della sua psicosi.
Spetta a me sostenere la madre, elisa, a conoscere la sua storia: Elisa figlia maggiore ,un fratello di pochi anni più giovane, psicotico che vive da solo e che alterna periodi di ricovero in strutture psichiatriche a periodi di chiusura quasi totale nella piccola casa dove vive.
Una situazione cronica che dura da oltre trent’anni.
Il padre di Elisa, personaggio molto importante nella famiglia di origine, un uomo che ha mantenuto la famiglia non solo economicamente ma anche come sostegno morale e affettivo fino a morire d’infarto 8 anni fa.
Ma è la madre di Elisa la persona che ha influito in maniera devastante sulla storia della famiglia, Elisa la descrive come una donna bellissima che subito dopo il matrimonio ha iniziato a soffrire di disturbi ciclotimici che nel giro di poco tempo si sono aggravati in una grave forma di psicosi bipolare.
Elisa ricorda il clima di ansia di allarme che si viveva a casa, c’era la paura che la mamma potesse fare cose sconsiderate ,a volte era euforica, aggressiva e urlava per un nonnulla e altre volte, per intere settimane se ne stava muta a fumare guardando fuori dalla finestra.
La nonna paterna viveva con loro e cercava di mantenere i fondamentali minimi di una famiglia che doveva andare avanti.
Elisa temeva che la madre morisse suicida perché per ben due volte aveva tentato seriamente di uccidersi e solo per un caso fortuito si era salvata.
La prima volta bevendo un cocktail di detersivi e farmaci e la seconda buttandosi dal balcone mentre, particolare agghiacciante, il figlio di 8 anni stava giocando nel giardino sottostante.
Elisa racconta di quel giorno quando tornata dalla scuola, frequentava la seconda media, trovò la casa insolitamente vuota né mamma né nonna stavano ad aspettarla com’era solito ogni giorno.
Elisa si mise a cercare per casa e quando entrò in bagno rimase colpita da una macchia di sangue sul muro adiacente la vasca da bagno.
Tutto era pulito ma quella macchia rosso scura, grande come una mano, era la vistosa prova che fosse accaduto qualcosa di brutto.
Arrivò di corsa una vicina di casa, abbracciò Elisa e le disse che la mamma era in ospedale.
E poi alla sera tutto fu chiaro, la madre di Elisa si era tagliata le vene mentre era immersa nell’acqua calda della vasca da bagno e questa volta era riuscita a ottenere ciò che cercava da tempo: morire.
Il giorno del funerale prima della chiusura della bara Elisa accarezzò il volto gelido della mamma e pensò “ finalmente ci sia riuscita non volevi soffrire più”.
Elisa quel giorno era senza il fratello che si era rifugiato a casa della nonna.
È facile immaginare quali siano stati gli sviluppi futuri.
Padre e figlia divennero l’asse centrale della famiglia. Elisa si ritrovò adulta nell’arco di poco tempo. Il fratello di Elisa confinato in una dimensione di bambino da proteggere, una condizione dalla quale non sarebbe mai più uscito.
Elisa stampella del padre che era punto di riferimento imprescindibile.
Ruoli che divennero ancora più rigidi quando Carlo ,fratello di Elisa, iniziò ad avere allucinazioni e deliri.
Il tempo passava e fu naturale conseguenza che Elisa si legasse a un uomo che aveva solo due possibilità: Accasarsi e diventare l’altro figlio del padre di Elisa o rimanere ai margini della famiglia che era costituita da Elisa e il padre.
Il marito di Elisa ‘scelse’ la seconda opzione, divenne un uomo satellite ,preso dal lavoro e dai suoi giri di relazione, forse anche da altri amori.
E quando nacque Lucia la situazione complessivamente cambiò poco, la bambina divenne un ulteriore legame tra Elisa e il Padre, mentre il padre naturale restò ai margini.
Lucia non poté strutturare una solida appartenenza al sistema familiare perché si trattava di un sistema frantumato, basato su ruoli incompleti e contraddittori.
Elisa divenne simbiotica con la bambina ne limitò la crescita e l’autonomia isolandola dai coetanei .
L’equilibrio familiare seppur fragile resse anche quando morì il padre di Lucia ma non quando venne a mancare il padre di Elisa.
Il punto fermo imprescindibile venne meno e il gioco delle appartenenze andò in crisi.
Elisa si ritrovò sola senza il padre, senza il marito e con un fratello psichicamente distrutto.
E a questo punto il legame con Lucia non poteva essere sufficiente per dare sostegno a Elisa, gli equilibri saltarono e Lucia dopo circa un anno dalla morte del nonno quando aveva 14 anni iniziò a soffrire di allucinazioni uditive e delirio, come lo zio.
Oggi che fare? :
-aiutare Elisa a costruire relazioni sane non più vincolate al padre e a un passato troppo pesante.
-Definire il ruolo di Elisa con il fratello cronico
-Definire il rapporto tra Elisa e Lucia
-Aiutare soprattutto Lucia a costruirsi, uno scheletro psichico, emotivo e cognitivo.
La psichiatria si è dibattuta da oltre un secolo sull’ eziologia delle malattie mentali, organicisti e ambientalisti si sono confrontati e scontrati ciascuno innalzando le proprie bandiere.
La malattia è generata da un cervello che non funziona bene o è conseguenza di una storia relazionale gravemente disfunzionale che struttura pensieri ed emozioni malate?
O è addirittura possibile tentare una mediazione tra queste due posizioni allentando la radicalità delle stesse?
Ovvero concepire il cervello come un organo che si modifica in base alle relazioni vissute e a sua volta condiziona circolarmente le relazioni future.
O pensare alla follia come un Folletto che saltella da una mente all’altra nella stessa famiglia tra generazioni diverse, un pensiero che però non ci aiuta ad inquadrare la complessità della questione.
Non sarà certo questo breve articolo a dipanare la matassa, ma sta di fatto che faccio molta fatica a non pensare che la patologia drammatica della madre di Elisa abbia devastato le relazioni con i figli, a non pensare che un figlio che vede precipitare la madre dal balcone possa uscirne con la personalità frantumata.
E da ultimo a non pensare che la relazione fusa e invischiata tra Elisa e il padre abbia condizionato negativamente tutte le relazioni circostanti.
La macchia di sangue su quel muro del bagno, un elemento drammatico, visivo, colmo di significati terribili. Dolore, abbandono, fine violenta. Il suicidio ha generato uno tsunami su una situazione già altamente insicura.
Padre e figlia hanno disperatamente tentato di salvare il salvabile, ma in questo salvataggio sono stati gravemente alterati i ruoli e le gerarchie, un’alterazione che a cascata ha prodotto una catena di alterazioni relazionali.
Cenni Bibliografici:
- Bogliolo C. ‘ Fare ed essere Terapeuta’ Angeli 2012
- Hillman J. ‘Il Suicidio e l’anima’ Astrolabio 1999
- Puleggio A. ‘Identità di sabbia’ Angeli 2008
- Schutzenberger A.A. ‘Uscire dal lutto’ Di Renzo 2005
- Tramonti F. ‘Famiglia e malattia’ Carocci 2013