EXAGERE RIVISTA - Maggio - Giugno 2024, n. 5-6 anno IX - ISSN 2531-7334

Il tempo libero è un bene comune

di Massimiliano Padula


Introduzione[1]

La dicotomia concettuale “solidità/liquidità” caratterizza una certa visione della storia moderna e contemporanea. “Solido” rimanda a una concezione della realtà sociale stabilita, strutturata su differenze e progettualità. È l’etichetta privilegiata della modernità nata dalle tre grandi rivoluzioni moderne (francese, industriale e americana) e poi rotta dallo scioglimento delle (apparenti) sicurezze che vanno a definire una società “liquida” in cui “l’unica costante [è] il cambiamento e l’unica certezza [è] l’incertezza”.[2] Al di là dei bollini degli scienziati sociali, è evidente che la realtà sociale viva (da sempre) un ordine mai stabilito e un equilibrio sempre provvisorio. I diversi “optimum” che si sono succeduti per definire aprioristicamente e rigidamente prassi e contesti, sono poi stati non solo puntualmente criticati, ma superati dalle contingenze dell’esistente. Ne sono esempio, due grandi scuole di pensiero organizzative e lavoristiche che caratterizzano la modernità otto-novecentesca: l’organizzazione scientifica del lavoro di Frederick Winslow Taylor (che troverà poi concretizzazione nell’industria fordista) e la burocrazia di Max Weber. Taylor definiva il suo approccio “one best way”, evidenziando come esso fosse la modalità più economica ed efficace per compiere una data operazione in termini di quantità e tipi di movimenti. Weber, invece, proponeva il modello idealtipico, una costruzione di pensiero utile a generalizzare i fenomeni analizzati che, nel caso della burocrazia, rappresentata il miglior modo di amministrare un’organizzazione. Entrambe le concettualizzazioni, si rivelarono teoricamente e praticamente fallaci perché non consideravano l’umano che resta – nonostante comandi, coercizioni e norme repressive – un patrimonio generativo in grado di trovare sempre altre strade che possano liberarlo. Proprio per questo, parallelamente a un tempo del lavoro totalizzante e alienante, nasce l’esigenza di un altro tempo inteso non esclusivamente come un processo di liberazione dalle catene del lavoro, ma soprattutto come un vero e proprio – scrive il sociologo Roger Sue – “tempo di utilità sociale”[3], in grado di avere un impatto significativo sulla comunità perché creatore di connessioni, relazioni e coesione tra gli individui.

Sui “tempi sociali”

Non si può parlare di “tempo libero” senza parlare di tempo e soprattutto di studio del tempo. Indagarne significati e dimensioni risulta, infatti, essenziale se si vuole comprendere la questione andando oltre l’approccio riduzionista che lo concettualizza esclusivamente come il “tempo del non lavoro”. La tradizione sociologica offre molteplici criteri di lettura. L’indagine sul legame tra tempo e società non è, infatti, nuova. Lo dimostrano gli scritti di molti pensatori otto-novecenteschi come Marcel Mauss, Emile Durkheim, Maurice Halbwachs, George Herbert Mead, Pitirim A. Sorokin, Robert K. Merton. In “Le forme elementari della vita religiosa”, Durkheim, ad esempio, afferma come «il ritmo della vita sociale sia alla base della categoria del tempo»[4]. In questa concezione, il tempo diventa un dato collettivo condiviso dall’intera società che ne percepisce il senso alla luce della sua organizzazione. Esso diventa, quindi, “sociale”, ovvero coniuga – scrive la sociologa Donatella Pacelli – «il chronos, quantitativo e lineare, che succede a se stesso, con la dimensione qualitativa […], ovvero il kairòs, che sottende la non uniformità del tempo e la possibilità di questo di assumere diversi valori e significati, a seconda delle epoche, dei contesti e delle persone».[5] A questo proposito è possibile inquadrare il discorso storiografico sul tempo libero attraverso la tripartizione convenzionale che distingue la pre-modernità dalla modernità e poi dalla post-modernità.

Tempo libero pre-moderno

Nelle società pre-moderne è la stratificazione sociale[6] a determinare la funzione e la struttura dell’esistenza quotidiana di ogni singolo individuo; pertanto la vita sociale si caratterizza per lo più da immobilismo, perché tutte le opportunità sono predefinite dal nascere in un determinato luogo o in una determinata famiglia. A seconda che si nascesse nobile o servo, le possibilità di vita erano totalmente differenti, in quanto la posizione sociale ricoperta determinava le condizioni e le prospettive di futuro. Da un lato c’era l’uomo comune che valutava e costruiva il tempo in base ai fenomeni ciclici della natura (giorno/notte; freddo/caldo) e viveva esclusivamente il negotium, l’occupazione per la sopravvivenza. Dall’altro, c’erano le élite (nobiltà, clero) che manifestavano nell’otium il desiderio di sospendere gli affari a favore del riposo e soprattutto della contemplazione e della cura dello spirito. Le pratiche del tempo libero (così come le concepiamo oggi) non esistevano o comunque erano difformi da quella che poi sarebbe stata la loro configurazione futura. I giochi, ad esempio, erano vestigia di guerra praticati come esercizi per lo sviluppo corporeo (lancio del giavellotto o ginnastica generica). Gli strumenti musicali erano funzionali ai rituali religiosi, così come la ceramica, la pittura e le altre forme d’arte altro non erano che documentazione della vita quotidiana di una comunità. Unica eccezione era rappresentata dal viaggio che, da attività professionale tipica dei mercanti o dei guerrieri che dovevano spostarsi “per mestiere”, divenne tra il Quattrocento e il Cinquecento una finestra aperta sulle bellezze del mondo. Nacque il Grand Tour, ossia lo spostamento da un territorio a un altro del continente europeo. Visitare un luogo diverso dalla propria residenza abituale, era sempre una prerogativa di classe, un privilegio esclusivo per i giovani della nobiltà europea, gli unici che potevano “permettersi” di viaggiare e soggiornare per 3 o 4 anni nelle principali città dell’Europa.

Un secolo dopo questa consuetudine itinerante si estende ad artisti, filosofi, scrittori di 30-40 anni (si pensi all’ Italienische Reise, il viaggio in Italia di Goethe), ma vede ridursi drasticamente la propria durata a 3, 4 mesi. Ma siamo già in piena modernità.

Tempo libero moderno

La modernità sancisce la nascita del tempo libero come area dei comportamenti umani. In particolare, è la società industriale con le sue dinamiche separative (divisione dei ruoli, delle funzioni e degli spazi) e con le nuove modalità di produzione a favorirne la diffusione. È in questa fase storica che esso diventa (secondo i vari paradigmi storiografici) antitetico al tempo del lavoro finendo per diventare una temporalità residuale, comprendente tutte quelle attività che venivano svolte nel “tempo che avanza” rispetto a quelle più importanti: in primis il lavoro (di matrice taylorista-fordista o burocratico-weberiano), poi l’impegno familiare e gli altri obblighi l’età moderna iniziava a imporre. Si trattava di un tempo della liberazione da qualcosa di imposto, che da vincolo, dovere, norma poteva, in casi estremi, diventare alienante, imprigionante e disumano[7]. Accanto all’impostazione residuale (o dopolavoristica), ve n’è una che è possibile definire positiva, che spiega come il tempo libero «sia e si sia declinato in termini di “preferenze” […], a prescindere dalla dimensione lavorativa»[8].Il tempo libero inteso in questa seconda accezione, ha determinato un interesse intellettuale così significativo da rendere la dicitura classica (tempo libero, free time, temps libre), insufficiente per indicarne le specificità. Si preferisce, quindi, usare la parola francese (loisir) o quella inglese (leisure), per connotare un processo sociale che richiama etimologicamente il termine latino licere, ossia la dimensione della liceità, intesa «non solamente come insieme di attività “libere (o liberate) da”, ma piuttosto come attività in cui si è “liberi di”»[9] strutturare e organizzare il tempo a propria disposizione. Si tratta della speciale condizione dell’uomo moderno finalizzata alla realizzazione del sé. Il leisure time è un tempo dotato di senso e vissuto in una prospettiva di scelta individuale.In esso posso svagarmi (giocando a tennis o a pallavolo), non fare nulla (guardando la tv seduto in poltrona), dedicarmi ad attività pseudo o semi lavorative (come il giardinaggio o il volontariato). Al di là della sua forma, ciò che conta è quel “per sé”. Lo spiega bene lo storico francese Alain Corbin quando lo descrive come un perimetro personale «governato dal piacere, dall’autorealizzazione, da stili di vita rinnovati, da una nuova concezione di ricreazione non più dai vincoli del lavoro, ma da se stessi. È un tempo che implica una disponibilità al desiderio, all’avventura, a nuovi profili di costruzione dell’identità e delle relazioni»[10]. Il leisure così diventa un fenomeno universale che riguarda ogni individuo, indipendentemente dalle sue peculiarità sociometriche, quali la classe, il genere, la cultura, la provenienza geografica. La sua universalità determina la sua istituzionalizzazione. Non è un caso che l’articolo 24[11] della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo stabilisce che «ogni individuo ha diritto al riposo (rest) ed allo svago (leisure), comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite».

Joffre Dumazedier, sociologo francese, riconosciuto come uno dei padri dei leisure studies, così sintetizza il percorso storico che trasformato istituzionalizzato il tempo libero: «Nel 1883, quando il militante Paul Lafargue scrisse il suo famoso pamphlet, Le Droit à la Paresse (“Il diritto all’ozio”), il tempo libero era ancora considerato più o meno equivalente all’ozio, “padre di tutti i vizi”! In Francia nel 1936, il tempo libero era classificato come un’affermazione della dignità dei lavoratori. “Vogliamo che il lavoratore, il contadino e il disoccupato trovino nel tempo libero la gioia della vita e il senso della propria dignità”, dichiarò [il sottosegretario di Stato per lo sport e l’organizzazione del tempo libero sotto il Fronte Popolare] Léo Lagrange. Nel 1950 la Commission Supérieure des Conventions Collective adottò all’unanimità “tempo libero e cultura” come voce essenziale del “bilancio vitale minimo” e come diritto umano universale, da non limitare. Oggi esiste un nuovo codice etico, quello della felicità che può aumentare in funzione del tempo libero. Colui che non è in grado o non vuole fare e il buon uso del suo tempo libero non è proprio un uomo completo, è una creatura “sottosviluppata”, a metà strada tra un uomo e una bestia da soma».[12] Evitando estremizzazioni, il tempo libero moderno può essere etichettato come “liberatorio, disinteressato, edonistico e personale”[13]. Riflette cioè l’uomo della modernità, la sua solidità, le sue certezze, le sue progettualità definite, le sue molteplici possibilità di affermarsi e svilupparsi. Una sua tipizzazione umana è il flâneur (termine coniato a fine Ottocento da Charles Baudelaire e poi ripreso da Walter Benjamin nel 1929), l’uomo che passeggia per la metropoli moderna, con un atteggiamento da dandy e ne frequenta gli spazi di svago e di evasione (le gallerie, i caffè, i bouvelard). L’uomo moderno è altresì una delle variabili dell’“individualismo metodologico”, la corrente sociologica sulla base della quale ogni azione può essere relazionata a una singola azione commessa da un individuo e di cui Georg Simmel è uno dei principali teorici. Lo stesso Simmel intuì il processo di destrutturazione dell’individualità moderna attraverso la teorizzazione dell’uomo blasè, che potremmo definire come l’uomo disincantato, sostanzialmente insensibile «rispetto alle differenze fra le cose, non nel senso che queste non siano percepite – come sarebbe il caso per un idiota – ma nel senso che il significato e il valore delle differenze, e con ciò il significato e il valore delle cose stesse, sono avvertiti come irrilevanti. Al blasé tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, incapace di suscitare preferenze»[14]. La blasesizzazione della società può essere considerata una delle anticamere socio-culturali della post-modernità, condizione storico-sociale capace di decostruire il preesistente e attribuirgli nuove significazioni. 

Il tempo libero post-moderno

La postmodernità cambia radicalmente l’idea di leisure. Le pratiche del tempo libero, infatti, riverberano le condizioni culturali di una contemporaneità complessa e incerta. Lo studioso che più di altri ha sistematizzato una teoria postmoderna del tempo libero è Chris Rojek[15], sociologo della City University di Londra riconoscendo come oggi le vite collettive sono attaccate nella loro libertà da dimensioni come rischio, emergenza, contingenza, frammentazione, velocità, cambiamento e de-differenziazione. Lo studioso, per argomentare il suo pensiero, sviluppa utilizza due categorie: la on location, ovvero i luoghi «dove coscientemente cerchiamo di perseguire i significati e i fini delle nostre scelte di leisure»[16] (ad esempio: il circolo sportivo, il pub, il parco pubblico, l’oratorio); e il context, ossia le modalità con cui si articolano le leisure activities. Ne viene fuori uno schema esplicativo che ha l’obiettivo di comprendere se alcune pratiche di leisure piuttosto che altre, «contribuiscano a costruire una “sociabilità” e una “socialità”»[17]. La griglia è costituita da due dimensioni: in ascissa si colloca la location che può essere costituita da ambienti privati (casa nostra, casa di amici) o da ambienti pubblici (una palestra, un giardino pubblico, una sala giochi). In ordinata Rojek colloca il context, ossia le intenzioni degli individui relative a svolgere attività in modo individuale o insieme agli altri. Vengono fuori quattro quadranti che incrociano le due variabili e che in un certo senso sintetizzano l’evoluzione storica del tempo libero:

1° quadrante: pratiche svolte in locations pubbliche in forma collettiva.

2° quadrante: attività svolte individualmente in ambiente pubblico.

3° quadrante: pratiche svolte in solitaria e in un ambiente privato.

4° quadrante: attività svolte in ambiente privato, ma insieme ad altri.

Gli esempi possono essere tanti e devono tenere conto di molteplici variabili integrative sia di tipo strutturale che attitudinale. Tra queste: le caratteristiche del territorio urbano di residenza in termini di offerta di spazi pubblici, il reddito, il livello culturale, la predisposizioni individuali, la rete di amicizie. Sicuramente lo specifico contemporaneo è forse maggiormente rappresentato dalle attività espresse dal terzo e quarto quadrante. L’indoor leisure (da soli o insieme ad altri), infatti, è favorito da alcune caratterizzazioni della contemporaneità come la digitalizzazione (si pensi al gaming o agli sport virtuali), la flessibilità e precarietà del lavoro e alla relativa mancanza di tempo (si pensi all’esplosione dell’home fitness), la denatalità e la liquidità dei legami di coppia e familiari (si pensi alle cene tra single in casa). Anche l’outdoor leisure perde per strada la sua simbolica tradizionale che lo qualificava come creatore di relazioni e si tramuta in occasioni mordi e fuggi, low cost, artificiali. Il turismo è certamente l’attività di leisure maggiormente toccata da questa contrazione relazionale e socializzante. Ne sono esempio i tour di poche ore per visitare una città, l’esplosione delle compagnie aeree e degli alloggi a basso costo, gli spazi dello svago come i parchi divertimento, le navi da crociere, le escape room, i larping space. Si tratta di luoghi de-identitarizzati, arelazionali o semplicemente “non-luoghi”[18], come li ha definiti in modo illuminante Marc Augè. Il mosaico tratteggiato finora esprime una pericola deriva del tempo libero, da dimensione antropologica (tempo autentico del sè) a temporalità transitoria, di mero attraversamento, pensata e vissuta a prescindere dalla relazione.

Concludendo: il tempo libero e la metafora del tapis roulant

Concludendo, mi piace utilizzare l’immagine del tapis roulant come metafora del leisure contemporaneo. Lo spunto nasce dal titolo di un film (uscito nelle sale il 5 maggio 2022) dal titolo omonimo (scritto in modo italianizzato: tapirulàn) diretto e interpreto da Claudia Gerini. La protagonista è una donna che per lavoro fa couseling online mentre si allena correndo sul suo tapis roulant tra le pareti di una stanza asettica. La sua vita non ha più divisioni, gerarchie, differenze, dinamicità, relazioni, socialità. Il suo lavoro è il suo tempo libero e viceversa. Si può etichettare questa situazione come inverosimile. Eppure la pandemia di Covid19 l’ha, in un certo senso, concretizzata, o meglio l’ha slatentizzata, cioè resa esplicita. Il leisure è stato tra le vittime principali di questa internalizzazione ed “eremizzazione” dell’esistenza, rischiando di soccombere (nella sua configurazione tradizionale e plurale) di fronte a quei bisogni che abbiamo illusoriamente percepito come primari: primo tra tutti il lavoro che resta imprescindibile, ma che (ri)diventa alienante, imprigionante e disumano se vissuto come unica opzione dell’esistenza. Un’esistenza – abbiamo visto – che vanta la conquista del leisure come diritto umano e che rischia di perderlo non interiorizzandone appieno il significato autentico: essere un dispositivo sociale in grado di favorire nuovi modelli di società, caratterizzati da una più equilibrata partecipazione dell’individuo a tutte le sfere della vita e da uno sviluppo più armonico della personalità. In una sola espressione: il tempo libero è un bene comune e per questo non dovrebbe essere frantumato da disuguaglianze sociali sempre più marcate e rimanere, così, un beneficio esclusivo per le classi medio-alte dei paesi ricchi. «D’altra parte, – scrive Giovanni Gasparini – anche nei contesti contrassegnati da scarsità di risorse materiali o da gravi problemi e conflitti sociali, l’attore individuale esprime una aspirazione alla libertà/autonomia, all’eguaglianza/equità, al benessere e alla qualità della vita che appare incomprimibile»[19].

Lo spiega bene Jean Paul Sartre quando scrive che «l’uomo è condannato ad essere libero: condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa».[20]


[1] Questo contributo riprende in alcuni punti la relazione tenuta il 28 aprile 2022 dall’autore nell’ambito del Convegno nazionale “Ecclesia in Sanctuario. Abitare il tempo per un ben-essere integrale delle persone” organizzato dall’Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero, sport e turismo della Conferenza Episcopale Italiana. 

[2] Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. VII.

[3] Cfr., R. Sue, Temps et ordre social, Presses Universitaires de France, Paris, 1994.

[4] E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse, Presses Universitaires de France, Paris, 1960, p. 628 (traduzione mia).

[5] D. Pacelli, M. C. Marchetti, Tempo, spazio e società. La ridefinizione dell’esperienza collettiva, Franco Angeli, Milano 2007, p. 29.

[6] Per “stratificazione sociale” si intente il sistema per cui la società elenca delle categorie di persone in una gerarchia.

[7] Si pensi “Tempi moderni”, film del 1936 di Charlie Chaplin, manifesto marxista che demolisce il mito della produzione capitalista e smonta gli ingranaggi della catena di montaggio che, da icona del progresso, finisce per trasformarsi in una macchina infernale che ingabbia e stritola il malcapitato lavoratore. Il film inizia con una didascalia sarcastica con la quale Chaplin introduce gli spettatori alla visione di “una storia i cui personaggi sono l’industria, l’iniziativa individuale, l’umanità che marcia alla conquista della felicità”. O alla commedia ottocentesca in lingua piemontese di Vittorio Bersezio Le miserie ‘d Monsù Travet portata sul piccolo schermo da Mario Soldati nel 1946 e il cui protagonista – un grigio e cinico impiegato ministeriale vessato dal suo capo – ispirò personaggi come il Giovanni Vivaldi (interpretato da Alberto Sordi) di “Un borghese piccolo piccolo” (film di Mario Monicelli del 1976) e la saga del ragionier Fantozzi di Paolo Villaggio. È da sottolineare come entrambe le storie si concludano con la liberazione dalle costrizioni imposte dai luoghi di lavoro.

[8] F.M. Lo Verde, Sociologia del tempo libero, Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 34.

[9] Ivi.

[10] Cft. A. Corbin (a cura di), L’avènement des loisirs (1850-1960), Aubier (Paris) – Laterza (Rome-Bari), 1995, pp. 15, 19. (Rielaborazione e traduzione mia).

[11] “Everyone has the right to rest and leisure, including reasonable limitation of working hours and periodic holidays with pay”.

[12] J. Dumazedier, Current problems of the sociology of leisure, in UNESCO, International social science journal, XII, 4, 1960, p. 523 (Traduzione mia).

[13] J. Dumazedier, Sociologia del tempo libero, Franco Angeli, Roma 1978, pp. 101-104.

[14] G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, Armando, Roma 1995, p. 43.

[15] Cfr. C. Rojek, Decentring Leisure. Rethinking Leisure Studies Theory, Sage, London, 1999.

[16] C. Rojek, Leisure Theory. Principles and Practice, Palgrave Macmillan, Houndmills, 2005, p. 30.

[17] F.M. Lo Verde, Sociologia del tempo libero, op. cit., p. 104.

[18] Cfr. M. Augè, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano 2009.

[19] G. Gasparini, La dimensione sociale del tempo, Franco Angeli, Milano 1996, p. 175.

[20] J. P. Sartre, L’essere e il Nulla, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 628.

Share this Post!
error: Content is protected !!