intervista di Federica Biolzi – Il clamore mediatico degli omicidi, anche in ambito famigliare, rischia di aumentarne la percezione da parte dei cittadini. Non si tratta qui di voler minimizzare un fenomeno che resta importante e che merita l’attenzione di tutti a cominciare dagli specialisti e le istituzioni. Ne abbiamo parlato con Isabella Merzagora, Presidentessa della Sic, Società Italiana di Criminologia, che abbiamo incontrato nel corso del XXX congresso nazionale tenutosi recentemente a Firenze “I perché del crimine, condizioni, cause e fattori “. Isabella Merzagora è Professore Ordinario di Criminologia presso l’Università degli Studi di Milano, insegna presso le Scuole di Specializzazione in Psichiatria, in Medicina Legale, in Neurologia, in Psicologia Clinica, in Neuropsichiatria Infantile della stessa Università.
– Professoressa Merzagora, l’omicidio oramai si può dire che faccia parte della quotidianità, si tratta solo di una maggiore confidenza con un fenomeno da sempre considerato un tema tabù, oppure assistiamo ad un maggior numero di questi eventi?
– In generale, nei paesi occidentali, noi assistiamo ad un calo complessivo della violenza più estrema, occorre però aggiungere che gli omicidi in generale sono in calo. Una tendenza che ha più di un secolo, ad oggi i tassi di omicidio sono più che dimezzati. Inoltre hanno un richiamo mediatico che forse una volta avevano meno.
In ogni caso, anche se non aumentano in numero assoluto, l’impatto sociale rimane alto sia rispetto al dolore ed allo scandalo. Lo stesso Dante colloca gli uccisori dei parenti fra i traditori, nella Caina, la più profonda delle regioni infernali e li definisce “sovra tutte mal creata plebe”.
– Questo vale anche per gli omicidi in ambito famigliare?
– Non si può dire che si tratta di un fenomeno nuovo, la storia e il mito sono popolati di vicende di delitti in famiglia. La nostra storia è incominciata con un fratricidio, è chiaro che Caino non aveva grande scelta… Però gli omicidi sono presenti anche in quelle che sono le basi della nostra cultura, i tragici ed i miti greci da un lato e la Bibbia dall’altro. Con il trascorrere del tempo si è assistito ad un mutamento della fisionomia e dell’eziologia dei reati. Se è vero che la famiglia patriarcale era contraddistinta dall’impero del padre e del marito, d’altro canto la numerosità del nucleo garantiva un certo controllo sui comportamenti e quindi anche sulla violenza da e contro i suoi membri. Oggigiorno, viceversa il controllo sociale della famiglia, del vicinato è molto minore e la famiglia nucleare reagisce con una chiusura su se stessa, con l’impermeabilità. In sostanza nella famiglia di questo tempo, occultata agli occhi del tessuto sociale gli abusi possono commettersi per anni, senza che nessuno non solo intervenga, ma che nemmeno si renda conto di quanto sta avvenendo.
– Si può parlare di aspetti patologici famigliari che stanno emergendo?
– Mi preme sottolineare che noi stiamo parlando di estreme patologie in ambito famigliare che sono comunque relativamente poche, anche se non in diminuzione come tutti gli altri tipi di omicidio. Questi casi reggono e sembrano, tragici, sconvolgenti. Non si parla di fisiologia della famiglia ma di estrema patologia, che naturalmente fa notizia.
Fare notizia è importante, mi spiego, sui giornali escono tante notizie di queste scelleraggini, ma alla fine il numero dei casi è limitato, anche se da un punto di vista mediatico appare amplificato. Bisogna però sottolineare che non siamo davanti né ad un fenomeno in crescita, né possiamo definirlo di emergenza.
Il secondo punto più cinico: ci si chiede il perché della violenza proprio là, nella famiglia, dove sarebbero viceversa da ritrovarsi amore e solidarietà, dove si vivono passioni, emozioni ma dove si vivono anche le maggiori difficoltà. Si ribadisce però che questi fenomeni sono la “patologia” e non la fisiologia delle relazioni familiari; sono eccezioni, non regole. Tante famiglie rispondono alla loro missione con gioia, anche di fronte ad ostacoli e sofferenze. Un primo “perché” dunque non riguarda tanto la violenza, quanto l’attenzione anche scomposta ad essa, soprattutto nella sua forma più estrema, quella dell’omicidio.
– Quali sono le tipologie di omicidio nell’ambito familiare?
– Esaminando le diverse tipologie possiamo rilevare che il fratricidio oggi, è poco diffuso. Il matricidio, anch’esso poco diffuso e solitamente ascrivibile alla malattia mentale.
Le tipologie e le motivazioni dei figlicidi materni e paterni sono differenti: i padri uccidono di solito figli più grandi, per lo più nel corso di conflitti o litigi ed usano armi; le madri uccidono più spesso figli piccoli, spesso appena nati, con dinamiche di perversione della sindrome di attaccamento/separazione o a causa di franca patologia.
Nel nostro e in altri codici l’infanticidio continua ad essere un reato punito in modo molto più indulgente dell’omicidio comune.
Il diritto, comunque, distingue l’infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale dall’omicidio. Per quanto riguarda il figlicidio materno, la criminologia differenzia tra il neonaticidio, che ricorre nell’immediatezza della nascita; l’infanticidio, che è l’uccisione del bimbo entro l’anno di età e il figlicidio, quando la vittima ha più di un anno. La distinzione, soprattutto fra le prime due forme e la terza, è fatta in base a considerazioni di ordine statistico, socio-situazionale e motivazionale.
I due fenomeni che destano ancora attualmente allarme sociale sono il figlicidio materno e l’ uxoricidio. Nel figlicidio materno, vi sono dinamiche diverse, nessun fenomeno è uguale, il fatto è che si pensa spesso, anche come pregiudizio alla madre malata mentale. Le madri uccidono più spesso figli piccoli, spesso appena nati.
– Si possono evidenziare fenomenologie diverse anche rispetto all’età del bambino
– Il Neonaticidio, ricorre nell’immediatezza della nascita, è una perversione dell’attaccamento dove la madre vede il bambino come parte di sé. Non è ignoto il fenomeno delle situazioni di quelle madri che desiderano uccidersi e uccidono il figlio (suicidio allargato) che vuole uccidersi, per portarlo con sé. La madre più robusta, che usa l’avvelenamento ad esempio con ossido di carbonio, in alcuni casi sopravvive.
Sempre legate ad una grave depressione, ma non così strettamente e temporalmente connesse all’evento del parto, vi sono madri che uccidono il figlio perché pensano di salvarlo (figlicidio altruistico), delle madri che uccidono il figlio per non farlo soffrire (omicidio pietatis causa o omicidio compassionevole, o pseudo compassionevole, quando motivato dal desiderio di “liberarsi del fardello” del figlio malato), patologicamente convinte che sia malato.
La depressione psicotica è poi fra le patologie più frequentemente citate da tutti gli Autori che si occupano del tema, e si arriva a consigliare particolare vigilanza in tutti i casi in cui una donna con figli sia diagnosticata depressa con ideazione suicidiaria.
– Ma la malattia mentale spesso viene associata a queste tipologie di omicidi…
– Premesso che non è sempre la malattia l’unica chiave per comprendere questi fatti, quante volte però di fronte ad un delitto in famiglia ci si è chiesti “possibile che nessuno si fosse reso conto?”. Quante volte di fronte ad un delitto in famiglia, in quelle interviste televisive abbiamo ascoltato parenti ed amici che, stupefatti, sostenevano di non aver avuto il minimo sentore di quel che pure era lì lì per accadere, oppure che vagamente accennavano a dispiaceri apparentemente di poco conto, mutamenti sottovalutati, eccentricità magari sbrigativamente attribuite a stanchezza. Una corretta informazione, senza allarmismi, per una maggiore “alfabetizzazione criminologica” per i cittadini, potrebbe essere provvidenziale in termini preventivi.
Poi c’è la cattiveria ed anche l’estrema deprivazione culturale.
Per quanto riguarda il fenomeno del maltrattamento si sa che c’è, non si scomoda per forza la patologia, ma può essere sbagliata la posologia del trattamento, dove vi è l’uccisione
Casi di cosiddetta convenienza, dove i bambini sono l’ostacolo alla felicità, al benessere, all’autonomia o all’idea di farsi una nuova vita, è così che ci si libera di loro.
I figlicidi d’onore sono si può dire ad oggi, scomparsi.
L’uxoricidio che anche etimologicamente deriva dal latino: uxor “moglie”, comunemente definito come l’omicidio della moglie, anche nel tempo, non si è mai sentito il bisogno di cambiarne il termine. Attenzione a metterlo troppo in rilievo, forse oggi questo tipo di omicidio ha un elevato impatto mediatico perché in questo tempo, è scandaloso. Ricordiamoci però, che fino a 35 anni fa avevamo il delitto d’onore, dove chiunque avesse scoperto il coniuge, la figlia o la sorella, a tradire, era leggitimato a uccidere…
Qualcosa è cambiato ai giorni nostri, da un punto di vista motivazionale, forse non è più la gelosia in senso stretto, ma l’idea del possesso e la condizione di estrema dipendenza affettiva anche appartenente alla figura maschile.
A Milano abbiamo istituito un servizio di trattamento criminologico dei padri violenti denominato SAVID, in esso valutiamo la dinamica della dipendenza, uomini terrorizzati dall’abbandono, con una dipendenza affettiva continuativa.
Ancora un po’ residua la filosofia della discriminazione di genere, la donna deve stare zitta, deve seguire o obbedire, “volevo solo disciplinare mia moglie”, “volevo far ordine in casa mia”.
– Cosa ci può dire sul ruolo dei genitori oggi.
– Sulla figura materna e paterna oggi, mi sento di dire che i valori si apprendono in casa, questo per quello che vogliamo trasmettere ai nostri figli. Sui casi peraltro rari ma con molta risonanza mediatica del parricidio e genitoricidio/parenticidio, es. sul caso di Pietro Maso ero consulente per il PM nel 1993, il ragazzo di “buona famiglia” privo di eclatanti sintomi psichiatrici assieme a tre amici altrettanto “normali” ha ucciso con modalità efferate entrambi i genitori. In una delle consulenze psichiatriche, dopo una lunga disamina della personalità di uno dei soggetti, della storia di vita, dei suoi atteggiamenti, dell’ambiente sociale in cui i protagonisti vivevano, il consulente con semplicità e chiarezza conclude: “la normalità è possibile anche di fronte al delitto più efferato”. A undici anni di distanza dal delitto, d’altro canto, Maso dirà della propria famiglia nel corso di un colloquio: “A parte quello che ho fatto io, tutto nella norma. Una famiglia come le altre..”.
Ma forse sul termine “normalità” molto ci sarebbe da disquisire, ed anche sui termini che oramai tutti percepiamo come logori, inattuali, posticci di “bravi ragazzi”, di “insospettabili”, e così via.
Oppure nel caso più recente di Erica e Omar, l’aspetto più sconcertante, è che non germinano in situazione di deprivazione culturale o follia, ma semmai nella patologia della normalità, è lì che forse tutto il discorso sui valori, su cosa viene trasmesso all’interno della famiglia, sarebbe da approfondire.
Eliminiamo gli stereotipi che queste situazioni possano accadere solo in contesti particolari, o “agli altri”.
– Però le famiglie stanno cambiando, il legame tra coniugi diventa, se guardiamo le statistiche, sempre più labile.
– Le separazione e i divorzi non fanno piacere a nessuno, però non sono più idiosincratici, non è che il ragazzino si sente diverso da tutti gli altri.
Può darsi che faccia meno male che avere due genitori, che litigano o che si scannano quotidianamente in casa, dove l’atto finale può sfociare in casi estremi ed in veri e propri atti violenti.
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