di Federica Biolzi
La Bibbia è un libro il cui messaggio più profondo è una verità non immobile. Essa diventa vera solo nel momento in cui tocca la realtà di coloro che rendono questo libro concreto, traducendolo, leggendolo, comunicandolo e vivendolo. Partendo da qusto prezioso spunto, Sfefano Ardunini ci coinvolge nelle vicende della traduzione biblica nel suo ultimo libro Traduzioni in cerca di un originale. la Bibbia e i suoi traduttori (Jaca Book , 2021)
– In epigrafe del suo interessantissimo saggio lei cita Borges quando questi ci ricorda che l’originale è infedele alla traduzione. Questa breve e significativa frase sintetizza gran parte delle problematiche a cui deve far fronte il traduttore di qualsiasi testo. Quando si tratta un testo sacro e antichissimo come della Bibbia, le cose sembrano ulteriormente complicarsi e articolarsi. Perché ha scelto di affrontare questo spinoso problema?
-I problemi che pone la traduzione della Bibbia, nonostante la loro complessità, sono esemplari per qualunque discorso sulla traduzione. Questo libro, considerato il grande codice della cultura occidentale, è infatti vissuto per migliaia di anni attraverso i suoi traduttori e traduttrici, ha avuto molteplici redazioni e diversi autori, diversi canoni, diversi originali. Interroga ad esempio su cosa sia un testo originale e in che senso le traduzioni siano originali esse stesse. Le traduzioni della Bibbia sono state all’origine di religioni, chiese, conflitti dottrinali, imprese gloriose e ingloriose, hanno creato concetti nuovi o trasformato concetti esistenti, hanno dato un alfabeto ad alcune lingue e lingue a un alfabeto, hanno aperto speranze e spezzato sogni. Ma è un testo che non è stato mai fermo, ogni volta che istituzioni o individui hanno voluto chiuderlo in una lettura determinata, ha preso strade inconsuete e divergenti e chi ha tradotto avuto un ruolo determinante in questo mettendoci il cuore e a volte la vita.
La Bibbia è un libro che è vissuto nella traduzione e di traduzione accogliendo la molteplicità che caratterizza l’umanità stessa. Come se il suo messaggio più profondo fosse che la verità non è immobile ma diventa vera solo nel momento in cui tocca la realtà di coloro che rendono questo libro concreto, traducendolo, leggendolo, comunicandolo e vivendolo.
La Bibbia oggi vive grazie centinaia di traduttori e 600 milioni di lettori in 1200 progetti di traduzione in giro per il mondo.
–Lei dedica ampio spazio nel suo saggio ad un documento, per certi versi simbolo, di quanto descrive: La lettera di Aristea. Cosa è? E perché questo testo è cosi importante ed emblematico?
-La lettera di Aristea è il primo testo che fa della storia della traduzione greca del Pentateuco un racconto ed è il documento che ha segnato la ricezione di quell’impresa. Si tratta di un testo scritto nel secondo secolo a.C. ad Alessandria. Ha come sfondo il periodo storico dell’età ellenistica che va dalla presa di potere dei diadochi, dopo la morte di Alessandro nel 323 a.C., alla distruzione del secondo tempio nel 70 d.C, nell’area geografica della Palestina e del Vicino Oriente della diaspora. Si tratta di un documento che ha prodotto una serie di riscritture ognuna delle quali ha rappresentato una determinata idea di traduzione strettamente connessa con il progetto culturale che si voleva trasmettere.
–Quando parliamo di traduzione della Bibbia, in sintesi, a quali originali facciamo riferimento e, soprattutto, attraverso quali vicende si è arrivati a ricostruire il testo con il quale ci confrontiamo oggi?
-Il temine Bibbia deriva dal greco ta biblia, che appare per la prima volta proprio nella Lettera di Aristea, e con cui Giuseppe Flavio si riferisce ai libri sacri degli ebrei. Gli evangelisti utilizzano l’espressione la Scrittura (hè Graphè) mentre la tradizione ebraica usa TANAK, cioè le iniziali dei tre libri Torah (la Legge), Nevim (Profeti), Ketuvim (altri scritti). Più che un libro dobbiamo immaginarla come una biblioteca composta da tanti rotoli raccolti assieme, San Girolamo la definirà la biblioteca divina. Questa biblioteca tuttavia non è la stessa per tutte le comunità che hanno ritenuto questi libri sacri e nel corso del tempo si sono costituiti diversi canoni. Ad esempio il canone della Bibbia ebraica, quello a cui abbiamo accennato costituito da Torah, Nevim, Ketuvim, è fissato attorno al secondo secolo. Tale canone è sostanzialmente identico a quello palestinese già corrente nel primo secolo, come testimonia Giuseppe Flavio, ma questo non è il canone adottato da un’altra comunità, quella samaritana. Esistono inoltre anche traduzioni greche che vennero utilizzate dagli ebrei della comunità di Alessandria. La Septuaginta, la cui redazione si situa fra il terzo e il primo secolo a.C., ha un canone ancora diverso che aggiunge al canone palestinese otto libri in greco, detti deuterocanonici (e non accettati nel canone luterano), e l’insieme dei Nevim è diviso in due: i libri storici e i Profeti. Quello che è chiamato nella tradizione cristiana Antico Testamento è dunque una biblioteca costituitasi nel corso di mille anni ad opera di vari autori, con diverse tipologie testuali e in lingue diverse.
– Come si sono combinati i vari testi?
-Durante i regni di Davide e Salomone (1000–922 a.C.), gli scribi della corte reale e del Tempio iniziarono a raccogliere in testi scritti le storie trasmesse oralmente, questo può essere considerato come l’inizio della fonte J. Dopo la breve guerra civile seguita alla morte di Salomone (922 a.C.) si formano due regni. Quello di Giuda proseguì la tradizione scritta di J mentre il regno settentrionale sviluppò una sua tradizione alternativa (E). Nel 721 a.C. il regno settentrionale venne conquistato e distrutto dagli Assiri, profughi ebrei si rifugiarono a Gerusalemme portando con sé la loro tradizione scritta (E). Si crea così una nuova tradizione che combina le due e crea una fonte JE. Successivamente si sviluppa una nuova tradizione scritta, costituita dal Libro del Deuteronomio e forse anche da Giosuè e Samuele, che viene perduta ma ritrovata da re Giosia durante la ristrutturazione del Tempio (622 a.C.). Questa tradizione viene poi ampliata creando l’insieme costituito dai Libri del Deuteronomio e dei Re. Nel 587 a.C. il regno meridionale viene conquistato a sua volta dai babilonesi e molti capi religiosi ebrei vengono portati come prigionieri a Babilonia. Durante l’esilio, o dopo il ritorno, questi iniziano a scrivere la storia del popolo ebraico per sottolineare che l’identità religiosa e la relazione con Dio potevano essere mantenute solo attraverso un’attenta osservanza dei culti e un rigido codice di leggi. Questo nuovo testo viene realizzato rivedendo la fonte JE e aggiungendo i Libri della Genesi, dell’Esodo, del Levitico, e dei Numeri. A questi libri viene infine aggiunto il gruppo di libri che vanno dal Deuteronomio ai Re e gli scritti dei Profeti, formando così il primo canone delle Scritture.
Il testo della Bibbia Ebraica è il testo Masoretico perché basato sulla tradizione testuale detta Masora, dal nome di copisti ebrei chiamati masoreti, che fra il sesto e il decimo secolo a.C. lavorarono alla trasmissione del testo. L’opera dei masoreti si situa dunque circa mille anni dopo la fonte JE e seicento anni dopo la fine dell’uso corrente dell’ebraico biblico a favore dell’aramaico.
– Vi è poi da considerare l’incidenza delle tradizioni orali..
– Sì, per secoli l’ebraico venne scritto solo con le consonanti perché le vocali venivano fornite dal lettore. Questo può non essere un problema finché si conserva una tradizione orale ma al tempo dei masoreti la pronuncia corretta dell’ebraico si andava perdendo perché non era più una lingua parlata correntemente e dunque la vocalizzazione diventava indispensabile per comprendere il testo. Scuole di scribi e studiosi a Babilonia e Israele inventarono segni da posizionare intorno alle consonanti per indicare gli accenti e la corretta pronuncia delle vocali. Sono stati sviluppati almeno tre diversi sistemi, ma quello che si è rivelato più influente è stato il sistema dei Masoreti di Tiberiade, sul mare di Galilea, appartenenti alla famiglia Ben Asher. Le fonti elencano cinque generazioni di masoreti di questa famiglia.
I masoreti consideravano la trasmissione della corretta copia del testo biblico un fine che andava al di là di qualunque convinzione ideologica o teologica. Fra i circa 2200 codici ebraici che possediamo non abbiamo però nessun manoscritto dell’intera Bibbia Ebraica scritto prima del nono secolo. Abbiamo invece vari papiri più antichi che contengono solo piccole parti del testo e alcuni cocci scritti (òstraka). Infine le grotte di Qumran hanno fatto venire alla luce manoscritti del secondo e del primo secolo. Fra essi, il Libro di Isaia completo, i primi due capitoli di Abacuc, frammenti di altri libri con eccezione del libro di Ester.
– Come ci ricorda Levinas, la lettura interpretativa del Talmud, ci apre ad una logica che non è quella del vero-falso, ma quella dell’interrogazione che non necessariamente porta a una risposta. Al di là delle problematiche teologiche, cosa comporta la traduzione di un testo così costruito?
-La problematica che tocca la traduzione del Talmud è diversa da quella della Bibbia. Per quest’ultima la questione principale riguarda le fonti molteplici che possono essere considerate originali. Per il Talmud la complessità riguarda la struttura.
Nella Bibbia Ebraica la Torah è il nucleo centrale ma non costituisce il solo testo di riferimento dell’ebraismo. Insieme ad essa, che è detta Torah Scritta, l’ebraismo ha la Torah Orale, un commento alla Torah costituito dai sessantatré trattati, chiamati Mishnah, che codificano la legge ebraica individuando i riferimenti sparsi in Esodo, Levitico e Numeri. Durante i secoli successivi alla redazione della Mishnah il lavoro di interpretazione venne continuato da altri rabbini chiamati amoraim (“quelli che spiegano” o “interpreti”) che raccolsero le discussioni e i commenti sulla Mishnah in una serie di libri che prendono il nome di Ghemarà (“apprendimento”). I rabbini della Palestina trascrissero le discussioni sulla Mishnah intorno all’anno 400 nel testo conosciuto come Talmud palestinese (Talmud Yerushalmi). Più di un secolo dopo, alcuni dei principali rabbini babilonesi fecero un’altra redazione delle discussioni sulla Mishnah che prende il nome di il Talmud babilonese (Talmud Bavli) che, anche per la sua maggiore ampiezza, è considerata la redazione più autorevole della Legge orale. Il Talmud è dunque un commento alla Mishnah composto di due parti: la Mishnah divisa in articoli e la Ghemarà che è il commento ad ogni suo articolo. Oltre a Mishnah e Ghemarà i rabbini incorporarono nel Talmud anche testi omiletici e non-legislativi che sono un ulteriore commento e una guida su questioni etiche, consigli medici, informazioni su fatti storici e di folklore, consigli pratici in vari campi; un insieme di testi che sono conosciuti come Haggadah (racconto). Lo studio del Talmud ha bisogno però anche di una sorta di manuale per essere compreso appieno. Nascono così una serie di commentari il cui punto di partenza, nell’undicesimo secolo, è l’opera Rabbi Shlomo Yitzhaqi (Rashi). A partire dal commento di Rashi vennero successivamente elaborati degli approfondimenti ulteriori detti Tosafot, che significa appunto: “aggiunte”.
Il Talmud non è però un semplice prolungamento della Bibbia ma, come ha sottolineato Emmanuel Levinas, la testimonianza che l’interpretazione non può essere mai conclusa. Come se Dio avesse voluto comunicare che la verità non è data una volta per tutte ma è frutto di continue riletture, riscritture e interpretazioni umane che si comprendono a partire dall’esperienza della vita.
Stefano Arduini
Traduzioni in cerca di un originale.
La Bibbia e i suoi traduttori
Jaca Book , 2021