di Federica Biolzi
La medicina narrativa si va sempre più imponendo, anche in Italia, come confronto tra più discipline, mediche, sociali, psicologiche, filosofiche. La complementarietà tra i diversi metodi favorisce un’osservazione ad ampio raggio sulle dinamiche di salute. Rita Biancheri, sociologa, e Stefano Taddei, medico, hanno curato un recente volume che si pone per obiettivo di analizzarne l’aspetto pluridisciplinare, sottolineando come può essere possibile un cambiamento di prospettiva nella cura tesa alla sua umanizzazione.
– Professoressa Biancheri, Il libro da lei curato “Narrare la malattia per costruire la salute”, ci parla del legame tra narrazione e salute, che cosa c’è di nuovo in questo approccio anche da un punto di vista della ricerca sociologica?
– Io sono arrivata alla medicina narrativa passando da altre discipline. Da sempre mi sono occupata di studi di genere ed ho sempre pensato che unire gli studi di genere con le pari opportunità, potesse essere un elemento importante per le carriere femminili, ma anche per ampliare la prospettiva di una scienza neutra, incentrata sul maschile inclusivo. Valorizzando alcuni contributi femminili delle prime laureate presso l’Università di Pisa, ho trovato di notevole interesse una tesi in ambito medico e, in specifico, sulla medicina di genere, fatta da Maria Fischmann, laureata nel 1893. La studentessa analizzò, a mio avviso con un’intuizione certamente pionieristica, l’aspetto di costruzione sociale delle differenze biologiche, non fermandosi alle differenze riproduttive o sessuali. Maria, scrisse una tesi sulla stipsi, collegandola anche agli stili di vita e al ruolo subordinato della donna in famiglia.
Da qui una riflessione sugli effetti psichici sia maschili che femminili sulla malattia e, quindi, una vera e propria applicazione della prospettiva di genere in salute.
Parlare di questo approccio teorico significa anche avere un metodo pratico che si possa applicare all’attività ambulatoriale; l’anamnesi è determinante nel comprendere il ruolo, le aspettative, gli obblighi, la condizione femminile nella quotidianità e nel vissuto personale.
La sociologia qualitativa, si occupa di narrazione e, da sempre, le storie di vita sono un metodo di ricerca sociologica. Leggendo la Charon[1], ho pensato che la narrazione fosse uno strumento applicativo per la medicina e che potesse essere valido anche per una medicina di genere che possa utilizzare questo termine nella sua complessità e non come sinonimo di sesso. La salute va vista nella sua dimensione multidisciplinare, come benessere bio-psico-sociale, nella sua declinazione ci si deve servire anche di strumenti provenienti dalla sociologia, se riteniamo che ci siano determinanti sociali che incidono sulle dinamiche di salute. Oggi l’impiego della medicina narrativa e la sua applicazione in ambito sanitario può apportare un supporto nel limitare quello che può essere un conflitto tra paziente e servizio sanitario e ripristinare quel rapporto di fiducia che sembra venir meno nell’attuale soddisfazione degli utenti.
– La professione medica, oltre ai contenuti tecnici, può ritrovare nel legame tra narrazione e medicina la sua essenziale funzione di cura. È necessario riappropriarsi del senso e dell’ethos di questa professione per costruire un percorso di salute in cui il paziente diventi parte attiva?
– Sì, questo è un punto di partenza per il cambiamento. Avendo una formazione umanistica, ritengo essenziale agire attraverso un approccio multidisciplinare anche nella salute. Il paziente non è un semplice oggetto sul quale applicare il sapere scientifico, è un attore sociale, portatore di significati, per cui la relazione è interattiva e circolare. La capacità relazionale diventa un apprendimento, un’acquisizione di competenze trasversali da aggiungere al bagaglio di formazione dei giovani, e per questo può diventare un approccio multidimensionale e non riduzionista ai percorsi terapeutici e alla crescente richiesta di umanizzazione. Sicuramente, oggi, la professione medica non può permettersi di trascurare una variabile ineliminabile: il soggetto, la sua storia, la complessità dell’esistenza umana.
– Quindi, in un percorso metodologico ispirato alla medicina narrativa, il paziente andrebbe seguito da un’equipe multidisciplinare oppure da un professionista con particolari caratteristiche nel percorso formativo?
– Nessuno nella necessaria specializzazione può occuparsi di tutto. L’équipe di lavoro multidisciplinare può essere uno strumento efficace, perché attraverso le sue “contaminazioni” tra i diversi saperi può dare una visione complessiva della malattia dalla diagnosi alla terapia.
La medicina, per costituirsi come scienza, ha espulso dalle sue conoscenze tutto ciò che derivava dall’esperienza del sapere comune, pensiamo al ruolo delle donne nella cura, affermandosi come scienza positivista, dove il paziente veniva considerato, nell’approccio clinico come osservazione del corpo malato. È necessario invece tener conto del soggetto, della persona, delle sue condizioni di vita e, quando insorge la malattia, che cosa l’evento malattia produce nella storia di vita. Il percorso terapeutico, senza questi elementi, non è efficace. Di questo se ne sono resi conto i medici oncologi, i medici del lavoro, i clinici-internisti, i pediatri. Non basta l’intervento farmacologico. La clinica è nata con la farmacologia, come unico elemento possibile di guarigione. Non è così, ci sono tanti altri aspetti, anche il luogo di cura è importante, ha un impatto emotivo diverso sulla persona. Non si può abbandonare la salute e la malattia soltanto alle conoscenze mediche oggettive, scientiste, perché l’arte medica è un’arte complessa.
– Un approccio da esportare anche in altri ambiti…
– Da sempre penso che la multidisciplinarietà, sia la vera rivoluzione scientifica. Oliver Sacks, ad esempio, ci dice chiaramente che gli strumenti che aveva a disposizione come medico non erano sufficienti, mancava la storia quello che lui efficacemente chiama “i paesaggi dell’essere”. Io da scienziata umanista credo molto in questo obiettivo culturale. Il tempo è un fattore importante per la riflessività, il progettare un cambiamento necessita di tempi più lunghi. In medicina ritengo che l’uso della narrativa sia essenziale. La Charon insiste sulla letteratura per conoscere la varietà dell’esistenza umana. Bruner stesso, mi disse tempo fa: si può imparare molto di più dalla lettura di un libro per adolescenti che non da ricerche sulla sessualità di giovani donne.
– Il SSN, attualmente basato principalmente su valutazioni di efficienza e efficacia, sembrerebbe andare in direzione opposta alla valorizzazione del rapporto umano e personalizzato medico-paziente. Non sarebbe sufficiente, in un meccanismo di valutazione pubblico, introdurre criteri di qualità della prestazione che assumano, tra le priorità, la qualità del rapporto tra medico e paziente?
– Un approccio economicistico si basa su indicatori che non sono quelli della qualità, difficilmente misurabili, bensì sui tempi e sui costi, sull’uso delle tecnoscienze e sulla digitalizzazione della salute. L’efficientizzazione del sistema è importante, ma la qualità della relazione diviene un punto di partenza essenziale e diventare anche una riduzione della spesa se ben applicato.
Forse ad oggi, andrebbe rivisto il sistema, vi sono molte ricerche in ambito medico-sanitario che valutano la soddisfazione del cliente. Un indicatore quale può essere quello della percezione di salute è comunque fondamentale nel rapporto medico-paziente.
L’introduzione della medicina narrativa nel metodo clinico è sicuramente una sfida teorica, che chiama in causa saperi e competenze non sempre adeguatamente integrati sia nelle pratiche ambulatoriali che ospedaliere.
Di conseguenza, la vastità del tema, le sue implicazioni sul benessere delle persone, non possono non coinvolgere l’analisi sistemica di tutto l’apparato operativo del welfare e dei suoi funzionamenti, in particolare l’efficacia e l’efficienza e la qualità delle risposte date ai cittadini sulla base dei servizi offerti e sulla loro adeguatezza.
I tagli lineari e la conseguente riduzione delle prestazioni, generano un aumento della spesa in ambito privato. L’effetto derivante impatta negativamente sulla fiducia nella medicina e sull’aumento della domanda verso le medicine complementari.
– Quali informazioni vanno selezionate nell’ascolto da utilizzare in medicina narrativa e perché?
– Sicuramente l’anamnesi, la storia di vita del paziente, sono di notevole importanza anche per capire l’evento malattia. C’è una parte di immunodepressione nell’insorgenza della malattia. Come incide il fattore sociale su questo? Vi è una causalità tra quelli che sono i momenti di vita più difficili e il proprio stato di salute? Io credo proprio di sì.
Per la Charon vi sono alcuni passaggi da apprendere in medicina narrativa: analisi di contesto, forma, tempo, trama e desiderio, a ciò però bisogna affiancare la scrittura, un momento di riflessione per ricostruire ciò che è accaduto. Dare voce ai pazienti, attraverso l’ascolto, significa esternarne le sofferenze, aiutare con più elementi il processo diagnostico, arrichire la pratica clinica attraverso lo scambio e la reciprocità.
Nel suo testo lei cita “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo dove nella prefazione viene indicata l’esortazione al paziente da parte del medico “Scriva! Scriva!”. Perché la scrittura riflessiva può essere uno strumento di medicina narrativa? Se sì, con quali limiti?
Io non vedo limiti, il diario è sempre stato uno strumento di autoriflessività. Anche Italo Svevo nel suo racconto lo consigliava al paziente attraverso lo specialista… Nell’evento malattia il potersi raccontare è fondamentale ed il racconto e la scrittura possono aiutare la persona ad affrontare la malattia. In sociologia la ricostruzione della propria storia di vita, la sua ermeneutica, rappresenta un nodo concettuale importante. In sociologia della salute con l’approccio fenomenologico, l’interpretazione che il paziente attribuisce alla propria esperienza è centrale. In altri termini, esiste una differenza nell’individuare una terapia rivolta al corpo malato e una cura che cerca di accompagnare il suo paziente nella ricerca del senso che si nasconde nel cuore del sintomo.
Inoltre l’esercizio di scrittura riflessiva ci consente di cogliere maggiormente le esperienze vissute. Non da meno, la conversazione è centrale per l’esercizio di un ascolto attivo. Se viene meno la capacità di ascolto ne risente la nostra attività interpretativa e la nostra comprensione, emerge un sé poco collaborativo e poco disposto a misurarsi con l’altro.
Rita Biancheri, Stefano Taddei (a cura di)
Narrare la malattia per costruire la salute
Una Prospettiva Multidisciplinare
University Press – Pisa – 2018
[1] Rita Charon, Medicina Narrativa, Onorare le storie dei pazienti, Cortina 2019