di Alberto Basoalto
Alcuni anni fa, su questa stessa rivista, ho avuto modo di intervistare l’autore di un romanzo appena tradotto in Francia, dal titolo Être Ricardo Montero. In quell’occasione il nostro colloquio si era concentrato sul delicato tema della “coscienza”. In questi giorni lo stesso autore Gianfranco Pecchinenda, è tornato in libreria, dedicando alla coscienza due opere distinte, diverse per concezione e stile. La prima, di carattere saggistico, ha come titolo La dimensione sociale della coscienza, pubblicato dall’editore milanese Meltemi (https://www.meltemieditore.it/autore-nome-cognome/gianfranco-pecchinenda/); La seconda è invece un romanzo e alla quale dedichiamo le riflessioni che seguono.
Ne Il profilo degli altri (il cui sottotitolo è, appunto, romanzo di una coscienza), l’autore si confrontar con alcune teorie fenomenologiche sulla coscienza, utilizzando ancora una volta, così come era accaduto con Essere Ricardo Montero, le opportunità offerte dalla rete – da Facebook ai più recenti Chatbot – come una sorta di cartina di tornasole in grado di svelare alcune altrimenti inesprimibili caratteristiche della coscienza umana.
La struttura narrativa è suddivisa, in questo caso, in due parti che oscillano tra scrittura in prima persona, digressione saggistica e dialogo interiore. La prima parte, riprende e sviluppa le vicende del protagonista di un suo precedente romanzo (Ricardo Montero, appunto) e del suo sodale Omar Amalfitano; la seconda introduce, invece, un serrato confronto tra l’autore e i suoi personaggi – Montero, Amalfitano e lo scrittore (?) stesso. I temi dell’identità, del doppio, dell’autenticità e della solitudine, un tema cardine sia nella tradizione letteraria che in quella sociologica e psicoanalitica, fanno da sfondo al dialogo serrato.
I protagonisti della storia attraversano una crisi esistenziale che si traduce in una continua riflessione sulla propria condizione di esseri umani, scrittori e personaggi “prodotti” artisticamente. Il tema della molteplicità dell’Io, viene affrontato nella sua complessità: dalle riflessioni su Schiller e Kundera all’influenza esplicita di Dostoevskij, Nietzsche, Onetti, Pamuk, fino ad arrivare a riferimenti alla sociologia scientifica argentina (in particolare a Gino Germani) e alla questione della paternità, della genealogia culturale e del ruolo dell’intellettuale.
Il romanzo non si preoccupa eccessivamente, tuttavia, di mantenere una trama tradizionale: la narrazione è spesso fluttuante tra i ricordi, le osservazioni socio-fenomenologiche, i miti personali e le riflessioni metaletterarie. Uno stile pienamente coerente con l’intento del libro: mettere in scena le contraddizioni della coscienza umana, più che risolverle.
Ricardo Montero e Omar Amalfitano incarnano di volta in volta la figura dello scrittore tormentato, esiliato (fisicamente e mentalmente), afflitto dal peso dell’eredità culturale, dalla ricerca del padre e del maestro (letterale e simbolico), dalla responsabilità della parola scritta. Chi siamo quando scriviamo? Chi è l’Altro che ci scrive? E chi siamo quando non scriviamo?
Montero e Amalfitano sono personaggi costruiti come coscienze fluide e autocritiche. Il loro essere molteplici diventa allegoria della condizione postmoderna, in cui la stabilità dell’identità finisce per rivelarsi poco più che un’illusione.
L’idea che scrivere significhi “inventare un Altro” è il nodo concettuale del libro, e l’Altro, nel romanzo, diventa sia personaggio che dispositivo teorico. L’influenza di figure come Thomas Bernhard, Enrique Vila-Matas, Milan Kundera e – soprattutto – l’uruguaiano Carlos Liscano, è in tal senso evidente.
Il profilo degli altri è un romanzo che si interroga sull’atto stesso del raccontare, sul ruolo dell’autore, sull’identità e sull’eredità culturale.
L’aspetto più distintivo è senz’altro l’ibridazione profonda tra narrazione romanzesca e riflessione saggistica. L’autore non si limita a raccontare una storia: mette in scena la coscienza che la pensa e la scrive, sospendendo continuamente l’illusione narrativa per riflettere sul senso stesso dello scrivere e dell’essere.
Il concetto di profilo, nel titolo e nel contenuto, si lega sia all’uso odierno dei social media (la presenza virtuale, l’identità pubblica molteplice) sia a una nozione più esistenziale e letteraria dell’identità. In questo senso, i protagonisti non hanno una sola voce ma molte, spesso discordanti, incarnate in vari “Altri” che li abitano.
L’Altro non è solo l’altro da sé in senso relazionale, ma è il doppio interno, il co-autore, il personaggio creato e insieme creatore. l’Altro è precario, multiplo, instabile – più simile ai nostri account digitali che ai sosia ottocenteschi. È una figura originale, che fonde letteratura, sociologia e psicoanalisi in modo fluido e coerente.
La memoria personale si intreccia alla memoria collettiva (l’emigrazione italiana in Sud America, l’eredità intellettuale del grande sociologo italo-argentino Gino Germani, il padre intellettuale e quello biologico), ma sempre filtrata attraverso il dispositivo dell’autofinzione.
Il romanzo non pretende verità, ma verosimiglianza: i ricordi vengono “scritti”, messi in scena, e dichiaratamente manipolati, in un gesto che smaschera e rilancia la letteratura come invenzione consapevole del Sé.
Gianfranco Pecchinenda,
Il profilo degli altri. Romanzo di una coscienza,
Giulio Perrone Editore, Roma 2025
(https://www.giulioperroneditore.com/prodotto/il-profilo-degli-altri-romanzo-di-una-coscienza/).