di Bruno Mastroianni
«I giovani d’oggi valgono poco»: lo cantano gli Ex-Otago e lo deplorava già Platone. È opinione diffusa che «un giovane non può essere saggio»[1]
In una classe di liceo, da qualche parte nel territorio italiano, entrano due formatori esterni per tenere una lezione di educazione digitale. Il professore li accoglie, li presenta agli studenti e poi aggiunge ad alta voce facendosi sentire dalla classe: “ditegli voi qualcosa a questi, che tanto non ascoltano nessuno!”. In un attimo il clima è rovinato e l’incontro inizia in salita. Questo episodio mostra, in modo particolarmente efficace, quanto l’uso delle parole influenzi la qualità delle relazioni tra parlanti e come gli effetti pragmatici negativi siano acuiti da modalità argomentative fallaci. Nel caso in questione, da un tipo di fallacia che affiora spesso sia nelle micro-interazioni quotidiane sia nel dibattito pubblico quando si parla di educazione. È quella che chiamerei la fallacia dei giovani d’oggi.
È in realtà un gruppo di espressioni che si nutre di una serie di fallacie impiegate a seconda delle situazioni, tutte accomunate da un riferimento di fondo sottostante: dare per scontato che gli appartenenti alla generazione successiva abbiano qualcosa di meno rispetto a quella precedente che parla.
Come sempre accade per le fallacie, siamo di fronte a pseudo-ragionamenti che apparentemente sembrano convincenti, ma che in realtà affermano qualcosa che non dimostrano[2]. Dal punto di vista pragmatico la fallacia dei giovani d’oggi è caratterizzata da elementi presupposti – tutti sanno che i giovani si comportano in un modo peggiore rispetto al passato – ed elementi implicati – questi comportamenti li rendono particolarmente inadeguati alla vita odierna.
Considerando l’affermazione da cui abbiamo preso il via, se ne può fare la seguente analisi:
ditegli voi qualcosa a questi:
- il “voi” rivolto ai formatori esterni implica l’esistenza di un “noi” contrapposto di professori interni che tentano invano di farsi ascoltare dando per presupposta la presenza di una resistenza all’ascolto inavlicabile;
- il “questi” rivolto agli studenti implica una loro categorizzazione: il pronome dimostrativo li posiziona non solo nello spazio dall’altra parte della relazione col docente, ma li cristallizza nella condizione di soggetti indisponibili all’ascolto;
che tanto non ascoltano nessuno:
- il “tanto” che presuppone il non ascolto come stato di cose assodato ed evidente;
- il “nessuno” che, come assoluto, implica la certezza sul fallimento in futuro.
Siamo di fronte a diverse fallacie che operano contemporaneamente. C’è l’universalizzazione e la generalizzazione di caratteristiche negative, appartenenti a singoli casi, che vengono attribuite a un’intera categoria[3]: se questo o quel giovane non ascoltano, allora tutti i giovani solitamente non ascoltano. C’è il pregiudizio delle opinioni largamente diffuse: dato che a molti sembra che i giovani siano così, allora è credibile che lo siano. C’è l’argomento ad antiquitatem, l’appello alla tradizione e il pregiudizio della saggezza dei capelli bianchi[4]. Ma c’è anche fallacia della brutta china[5] nel suggerire che ciò che è andato male finora andrà sicuramente male anche in futuro: se nel passato in alcune situazioni questi giovani non hanno ascoltato ciò significa che non lo faranno né ora né in futuro.
Tutte queste fallacie si sostengono su un perno argomentativo di fondo, presupposto ma non dimostrato: è la giovane età delle persone a cui ci si riferisce il fondamento dei difetti di comportamento che mostrano di avere.
Meccanismi fallaci e frame interpretativi consolidati
L’effetto sulla relazione è distruttivo perché, nel pronunciare queste parole, si opera una deindividuazione dell’interlocutore[6] che viene disconosciuto come persona libera, titolare del suo comportamento, e interpretato come soggetto a condizionamenti derivanti dalla sua età e dalla categoria a cui appartiene. Il tutto senza alcuna messa alla prova di quanto questi elementi siano verificabili o meno nella realtà delle azioni concrete. Tanto è vero che, alla fine, quell’intervento dei formatori fu molto proficuo, la partecipazione di diversi studenti attiva e, ancora oggi, alcuni di loro sono coinvolti in progetti e iniziative nate proprio da quel primo incontro. A testimonianza di quanto certi pre-giudizi invalsi siano fallaci.
Meccanismi simili all’esempio riportato si registrano anche in tutte quelle espressioni che attribuiscono comportamenti negativi ai giovani in modo apodittico. Uno degli ambiti principali in cui la fallacia dei giovani d’oggi affiora è quello del dibattito pubblico. Spesso, infatti, alcune notizie di cronaca che coinvolgono i giovani in omicidi, violenze sessuali e simili, sono accompagnate da commenti a proposito dei costumi degradati che li contraddistinguerebbero: “hanno accesso alle droghe e all’alcol come mai prima”, “non hanno più i filtri sociali di una volta”, “vivono con un grado di promiscuità sessuale mai visto”. Ci sono anche le declinazioni di stampo più politico e sociale: “i giovani non scendono più in piazza”, “non sono interessati alla politica”, “sono individualisti e non si impegnano socialmente”.
Una delle declinazioni di questa fallacia riguarda la correlazione tra tecnologie di comunicazione, uso smodato che ne fanno i giovani e degrado dei costumi. Sono le espressioni come: “questi giovani stanno sempre sul cellulare e non leggono libri”, “non leggono più i giornali, gli bastano i social”, “preferiscono stare davanti a uno schermo invece che incontrarsi”. In questa serie di sentenze-dicerie, la fallacia dei giovani d’oggi si unisce a un altro schema argomentativo, quello che dipinge i comportamenti negativi nell’uso dei social network e delle tecnologie digitali come elemento che corrobora l’inadeguatezza delle generazioni più recenti.
Di nuovo viene affermato qualcosa che sembra non abbia bisogno di essere dimostrato perché in qualche modo è dato per assodato, in un sillogismo fallace che può essere esplicitato più o meno così: i social network producono effetti negativi sui comportamenti, i giovani usano abitualmente i social, quindi i giovani sono soggetti deboli che si fanno trascinare facilmente in comportamenti negativi.
Con questo non si vuole sostenere che non esistano disagi, problemi e disfunzioni legate alle tecnologie di connessione. Si vuole solo far notare come, da un punto di vista argomentativo, sussiste una sorta di tendenza a ritenere credibili e non immediatamente discutibili affermazioni che attribuiscono direttamente (e principalmente) ai giovani tali problemi. Ciò che è interessante notare è come l’uso abituale e indiscusso di queste espressioni abbia creato una sorta di quadro di riferimento, si direbbe un preciso frame[7] interpretativo consolidato, che è difficile scardinare.
Asimmetrie argomentative: di chi è l’onere della prova?
Quando in una discussione ordinaria si affronta il tema giovani e tecnologia, si produce immediatamente un’asimmetria argomentativa tra chi si muove nella cornice assodata della fallacia dei giovani d’oggi e chi cerca di sostenere un’opinione differente: l’onere della prova, solitamente, è soprattutto a carico del secondo.
In altre parole, quando qualcuno fa un’affermazione del tipo “i giovani oggi sono più superficiali perché stanno sempre sui social” difficilmente suscita lo stesso livello di resistenza e di richiesta di prove a sostegno che susciterebbe l’affermazione contraria: “oggi i giovani mostrano consapevolezza e sono capaci di pratiche comunicative proficue proprio grazie alle tecnologie”. Se ci fosse una reale simmetria argomentativa, entrambe le affermazioni richiederebbero prove a supporto di ciò che sostengono, anche perché probabilmente ci saranno elementi che fondano ciascuna delle due prospettive all’interno di un quadro complesso che descrive i comportamenti della gioventù. Di fatto, però, c’è una certa tendenza a concentrarsi di più sul controllo dell’attendibilità della seconda rispetto alla prima.
L’asimmetria, insomma, mostra che l’uso consolidato di questa fallacia corrisponde a un preciso stato mentale e atteggiamento verso la realtà, in cui i giovani d’oggi diventano una sorta di elemento retorico utilizzato per rappresentare una certa posizione nei confronti del mondo.
A questo proposito è interessante ciò che scrive Douglas Adams:
“Ho trovato tre regole che descrivono le nostre reazioni alla tecnologia:
1. Qualunque cosa esista nel mondo quando nasciamo, ci pare normale e usuale e riteniamo che faccia per natura parte del funzionamento dell’universo.
2. Qualunque cosa sia stata inventata nel ventennio intercorso tra i nostri quindici e i nostri trentacinque anni è nuova ed entusiasmante e rivoluzionaria e forse rappresenta un campo in cui possiamo far carriera.
3. Qualunque cosa sia stata inventata dopo che abbiamo compiuto trentacinque anni va contro l’ordine naturale delle cose[8].
Drehe sostiene che le fallacie si possono far risalire all’incontinenza in senso Aristotelico[9]. Quella dinamica secondo cui, al momento di una scelta, anche se un essere umano è consapevole che una certa azione non gli procurerà un bene (in questo caso un’argomentazione priva di reale consistenza) la compie lo stesso per debolezza. L’esempio per eccellenza è lo zucchero per una persona in sovrappeso: sa che gli farà male e lo farà ingrassare, eppure lo mangia ugualmente per il piacere che ne deriva.
La fallacia dei giovani d’oggi ha una funzione simile allo zucchero: solleva da qualcosa, consola dal vedere in faccia una realtà che in qualche modo è difficile e impegnativo sopportare. Scaricare sui giovani alcune inadeguatezze presupposte e non dimostrate è un modo per distanziare sé stessi dalle sfide attuali e nuove a cui l’evoluzione della società – e in particolare della tecnologia – sottopone tutti, al di là dell’età che hanno. Attraverso la fallacia dei giovani d’oggi si riesce a compensare un’asimmetria profonda che l’adulto riscontra nella sua vita non più giovane: la sensazione che nel mondo in cambiamento i suoi punti di riferimento assodati non siano più così performanti nel dare risposte all’altezza delle nuove sfide.
Timore per la differenza e vittimismo tecnologico
Come in ogni disputa che sfocia in litigio, a creare la tensione che porta ad attaccare l’altro è l’avvertimento di una differenza[10]. L’adulto percepisce di aver vissuto e consolidato i suoi comportamenti in un mondo differente e vede nel modo diverso di procedere del giovane qualcosa che minaccia la sua identità e il suo posto nel mondo. C’è, insomma, una questione che può spaventare e far scattare meccanismi di dominanza e discredito[11] che non a caso operano da tanti secoli attraverso la fallacia dei giovani d’oggi. Il fenomeno, infatti, si può registrare anche in un’ottica storica. Le invettive contro i costumi degradati dei giovani corrono lungo tutta la storia del pensiero. Ad esempio, il noto passaggio di Platone: “Oggi il padre teme i figli. I figli si credono uguali al padre e non hanno né rispetto né stima per i genitori. Ciò che essi vogliono è essere liberi. Il professore ha paura degli allievi, gli allievi insultano i professori; i giovani esigono immediatamente il posto degli anziani (…)”[12]. C’è anche chi si è cimentato a raccogliere le diverse invettive che nel corso della storia sono state rivolte ai giovani[13], mostrando che, da sempre, non importa da quale epoca si parta, sembra che le generazioni successive presentino caratteristiche inferiori e degradate rispetto alle precedenti.
È il timore di riconoscere quanto i giovani siano una versione differente e aggiornata, più performante perché tendenzialmente più pronta a accogliere le novità, rispetto a quello che gli adulti sono stati[14]. Si dimentica che ogni tradizione ha avuto il suo stadio giovanile. Se non fosse stato per la carica innovativa, creativa, rivoluzionaria non sarebbero nate le tradizioni, da cui altri giovani oggi si discostano.
Ma operano anche altri meccanismi. In merito alla correlazione giovani-digitale, ad esempio, si può riscontrare la presenza di quel “vittimismo tecnologico” che Maurizio Ferraris definisce come l’atteggiamento quasi superstizioso che sfocia nel negazionismo, di chi cerca di attribuire a forze occulte e incontrollabili – internet, gli smartphone, i social – ciò che in realtà dipende dall’uomo[15]. Il filosofo riflette sul fatto che le macchine sarebbero totalmente inutili in assenza di umani che vi mettono dentro i loro consumi, bisogni, desideri, aspettative. Il che vuol dire che percepirsi schiavi delle macchine, disconoscendo il proprio status di signori di esse, autoassolve dai propri compiti e dalle proprie responsabilità. I giovani, insomma, sarebbero usati nella fallacia come elemento pseudo-probante che sostiene la posizione deresponsabilizzata nella relazione con la tecnologia.
Disconferma e fuga dalla disputa
A operare è un meccanismo basilare della pragmatica della comunicazione umana: la disconferma. Non la conferma o il rifiuto: i due dispositivi attraverso cui accettando l’identità dell’altro, o opponendosi a essa, si attua un riconoscimento del suo posto nella relazione. È piuttosto ottenere, tramite le parole, un disconoscimento che sottrae all’interlocutore legittimità, svuota la consistenza della sua identità e gli toglie voce all’interno della relazione[16]. Il giovane d’oggi, oggetto di fallacia, viene sconfessato in quanto tale nei suoi elementi caratterizzanti, portando con sé la delegittimazione di tutto ciò che è novità, nuovi modi di pensare, di agire e di interagire attraverso la tecnologia.
L’implicatura potente in atto in questa mossa nella discussione è voler suggerire che, in fondo, i tempi precedenti erano migliori; cioè che i modi, gli usi e i costumi in cui l’adulto si trovava a suo agio e in cui aveva consolidato le sue esperienze e conoscenze mostrano la loro preferibilità in contrasto all’evidenza (fallace) dell’inadeguatezza giovanile.
La fallacia dei giovani d’oggi, come tutte le fallacie, è un tentativo di evasione rispetto al centro dell’argomento di scontro, una manovra per aggirare o mitigare la messa alla prova delle proprie idee[17] che ogni emersione della differenza porta con sé. In ballo c’è un tema che attraversa tutte le epoche: quello del passaggio dal vecchio al nuovo tra le generazioni. Che, se vogliamo, è il dilemma mai risolto del rapporto tra esperienza consolidata e apertura all’innovazione, o anche tra consistenza-coerenza ed evoluzione culturale[18]. Come per ogni sano dilemma, il punto centrale non è trovare il lato prevalente, ma riconoscere che nella continua tensione tra i poli si schiude la possibilità di trovare il significato di una sana relazione tra le generazioni.
La fallacia dei giovani d’oggi tradisce che a operare è una di quelle formulazioni binarie –vero/falso, buono/cattivo, nero/bianco e quindi giovani/adulti – che polarizzano i dibattiti, ma che non aiutano a vedere i fenomeni nella loro tridimensionalità[19].
Solo l’abbandono o perlomeno la mitigazione dell’effetto di questa fallacia potrà facilitare uno sguardo più disponibile ad affrontare il merito della questione generazionale. Mentre per istinto di conservazione si è impegnati a dimostrare che i giovani sono peggiori, in realtà ci si priva dell’opportunità di dedicarsi al tema centrale: riconoscere i limiti e le potenzialità degli esseri umani in quanto tali – giovani e meno giovani – in una storia che è in continua evoluzione. Disinnescare il meccanismo fallace, a partire da un certo uso delle parole, è un primo passo per avviare una disputa felice tra le generazioni, oggi quanto mai necessaria.
[1] Questo articolo è stato scritto anche con il contributo di un dibattito in aula con le studentesse e gli studenti del corso di Teoria e pratica dell’argomentazione digitale dell’Università di Padova.
[2] Cfr. sul tema tra gli altri: A. Cattani, 50 discorsi ingannevoli. Discorsi per difendersi, attaccare, divertirsi, GB Edizioni, Padova, 2011 e P. Cantù, I. Testa, Teorie dell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo, Bruno Mondadori, Milano, 2006, p. 43 e ss.
[3] Cfr. O. Reboul, Introduzione alla retorica, il Mulino, Bologna, 1996, pp. 109-111; e Cfr. Bruno Mastroianni, La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico, Cesati, Firenze, 2017, p. 71 e ss.
[4] Cfr. A. Cattani, 50 discorsi ingannevoli, op. cit., p. 174.
[5] Cfr. A. Cattani, 50 discorsi ingannevoli, op. cit., pp. 130-132.
[6] Cfr. C. Giaccardi, Comunicazione interculturale nell’era digitale, il Mulino, Bologna, 2005, p. 219.
[7] Cfr. E. Goffman, Frame Analysis: An Essay on the Organization of Experience, Harper and Row, London, 1974, (tr. it. 2001), Frame analysis. L’organizzazione dell’esperienza, ed. Armando.
[8] Douglas Adams, Il salmone del dubbio, Mondadori, 2004, p. 72
[9] Cfr. I. Drehe, Argumentational Virtues and Incontinent Arguers, in «Topoi», XXXV (2016), 2, pp. 385-394.
[10] Cfr. B. Mastroianni, Litigando si impara. Disinnescare l’odio online con la disputa felice, Cesati, 2020.
[11] Cfr. F. D’Errico, I. Poggi, Dominance signals in debates, in «Human Behavior Understanding», January 1, 2010.
[12] Platone, La Repubblica , Libro VII.
[13] J. Gillard, The 2,500-Year-Old History of Adults Blaming the Younger Generation, 17.4.2018, in https://historyhustle.com/2500-years-of-people-complaining-about-the-younger-generation/
[14] Cfr. B. Mastroianni, Storia sentimentale del telefono (titolo provvisorio), il Saggiatore, 2022, in corso di pubblicazione.
[15] Cfr. M. Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Laterza, Roma-Bari, 2021.
[16] Cfr. P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, pp. 73-78.
[17] Cfr. Adelino Cattani, Avere ragione. Piccolo manuale di retorica dialogica, Roma, Dino Audino, 2019, pp. 16-19.
[18] Cfr. W. D. Harpine, The Appeal to Tradition. Cultural Evolution and Logical Soundness, Informal Logic, XVI, 3, Fall 1993, pp. 209-2019
[19] Cfr. B. Mastroianni, Verità o menzogna? La contrapposizione stanca, in “ExAgere rivista ”, luglio 2018. https://www.exagere.it/verita-o-menzogna-la-contrapposizione-stanca/