di Nathalie Franc
(ITA/FRA – versione originale in fondo)
Durante le nostre consultazioni di psichiatria infantile, ci siamo misurati con situazioni particolari in cui il bambino prende il sopravvento sui genitori. Questo fenomeno, che era già stato identificato e descritto negli anni Ottanta, sembra sempre più frequente anche se – al momento – non abbiamo alcun dato preciso.
Parliamo di “bambini con comportamento tirannico” per illustrare il capovolgimento della gerarchia familiare: il bambino prende il potere sui propri genitori, utilizzando la violenza fisica, verbale oppure le minacce. Alcune domande poste ai genitori possono indirizzare alla questione: “Vostro figlio è violento con voi?”, “Avete paura di vostro figlio o delle sue reazioni?”, “Le decisioni di famiglia vengono prese in funzione di lui?”, “Avete rinunciato a scelte importanti per voi a causa del suo comportamento?”, “Vi vergognate di ciò che accade a casa vostra?”.
Nella vita quotidiana esistono bambini che applicano diverse strategie per giungere al proprio scopo: le crisi di rabbia violente laddove sono contrariati, le minacce (di farsi del male, di non andare più a scuola), la colpevolizzazione e la denigrazione dei loro genitori, la molestia (richieste ripetute a oltranza fino a quando il genitore non cede). L’impatto sul quotidiano è decisamente notevole: i genitori non sono più nelle condizioni di imporre le proprie regole educative, il figlio decide su tutto, da ciò che si mangia al programma televisivo alla destinazione delle vacanze. La vita familiare si trasforma in un inferno e i genitori si indeboliscono, spesso sacrificandosi nel tentativo di migliorare le cose, il che non funziona. La violenza si fa via via più forte. Ciò che è specifico di questa situazione ben precisa è che i bambini non presentano affatto problemi di comportamento fuori dal contesto familiare, dove sono percepiti come bambini buoni se non esemplari. Questo rafforza il senso di colpa dei genitori che ritengono di essere la causa dei problemi dal momento che questi si presentano a casa. Essi tentano di farsi aiutare da un professionista sanitario ma il bambino non si impegna nelle terapie o nelle sedute (durante le quali cerca di manipolare i terapeuti per far apparire nel torto i propri genitori). I genitori finiscono per isolarsi in una posizione di vergogna e senso di colpa.
Abbiamo incontrato più di un centinaio di famiglie in questa condizione. Si ritrova un profilo comune nei figli e nella dinamica familiare. Tutti i bambini che presentano atteggiamenti di questo tipo sono bambini che presentano problemi psicopatologici latenti, in particolare un problema di regolazione delle emozioni (che può rientrare nel quadro di un disturbo da deficit di attenzione/iperattività – ADHD – o di un disturbo dell’umore) e allo stesso tempo un disturbo da ansia (ansia da separazione, ansia sociale, ansia generale). Si tratta di bambini che hanno difficoltà a gestire le frustrazioni e questo si osserva in generale nell’ambiente domestico fin dalla prima infanzia, poi sempre più questi bambini mancano di autonomia nei confronti dei loro genitori. Le famiglie di questi bambini presentano anche un profilo particolare, ovvero sono composte da genitori particolarmente premurosi e sensibili che intendono tentare di aiutare il proprio figlio ansioso facilitandogli le cose: per esempio, sono genitori che accettano di accompagnare i propri figli nei loro spostamenti anche quando hanno l’età per farlo in autonomia, che vogliono restare per un po’ di tempo con i bambini quando vanno a coricarsi, che vogliono evitare di lasciare solo il bambino… Sono dei genitori molto informati sull’educazione e provenienti da classi abbienti. Andando a ritroso, si possono trovare antecedenti medici nel bambino che hanno comportato su sovrainvestimento parentale.
La situazione prende piede in modo progressivo se non in modo addirittura insidioso: i genitori si adattano pensando di aiutare il bambino, ma la richiesta è sempre più grande; quando i genitori rifiutano un piacere o pongono in essere una frustrazione, arriva la crisi e la violenza prende a poco a poco corpo. Noi incontriamo le famiglie durante le sedute, ma talvolta anche durante le crisi con dei passaggi al pronto soccorso.
Di fronte alle difficoltà di presa in carico (bambini che non vogliono trattamenti, consulenza educativa classica che non funziona), presso il Centre Hospitalier Universitarie di Montpellier abbiamo disposto da tre anni una presa in carico specifica destinata ai genitori: si tratta di gruppi di genitori con cui sviluppiamo strategie di resistenza non violenta. Questo approccio è tratto dal lavoro del professor Haim Omer, uno psicologo di Tel Aviv.
Raggiungiamo diversi obiettivi:
1) Ricostruire l’escalation della violenza. I genitori che vogliono reimpossessarsi del potere con la forza affrontano un aumento della violenza e finiscono per perdere la credibilità di fronte ai loro figli; allo stesso modo, i genitori che negoziano troppo e si giustificano di continuo perdono la propria autorità. Noi insegniamo ai genitori a rimandare le proprie risposte e a non ricorrere ad altro che a delle reazioni “a freddo”.
2) Fare dichiarazione di non-violenza: in questo gruppo l’obiettivo è il rovesciamento di ruolo del genitore (e non del bambino) ed è quanto caratterizza la sua originalità in rapporto ai gruppi classici di psico-educazione. Il genitore si impegna in maniera solenne a non accettare né ricorrere alla violenza.
3) Creare una rete di sostegno: la situazione di violenza è in genere mantenuta segreta, poiché i genitori si vergognano di ciò che avviene in casa. Un punto centrale del programma è uscire dal segreto per rendere pubblica la violenza: il bambino deve essere sottomesso agli occhi degli altri. Altre persone sono invece indotte a tornare a casa quando ci sono delle crisi, o a costruire un contatto differito con il giovane.
4) Fare un sit-in in camera del bambino: dopo una crisi, e sempre “a freddo”, i genitori segnano la loro persistenza e la loro presenza sedendosi in silenzio nella camera del figlio chiedendogli di riflettere sulle proprie azioni e di proporre delle soluzioni.
5) Gestire le crisi di rabbia: sviluppiamo il meccanismo delle crisi, l’importanza di allontanarsene e di proteggersi per mantenere la calma ed evitare la violenza anziché fare appello alle risorse personali.
6) Prendersi cura di sé: tappa essenziale per i genitori che si trovano in una posizione di sacrificio con una sintomatologia depressiva.
L’obiettivo del programma è che i genitori possano cambiare, sentirsi meno isolati e meno in imbarazzo e anche di pianificare strategie specifiche affinché il figlio non possa più ricorrere alla violenza. L’idea è che il giovane sia costretto alla fine ad affrontare le proprie difficoltà per impegnarsi nelle terapie, al posto di scaricare le proprie emozioni negative e i propri limiti sui genitori.
In questo senso, le risposte delle famiglie sono positive, i genitori attraverso il gruppo sembrano giungere a prendere le distanze e a uscire dal circolo del dominio e della violenza. Abbiamo accompagnato un centinaio di famiglie e al momento settanta famiglie sono parte di uno studio per valutare in maniera obiettiva l’efficacia del nostro studio.
(traduzione di Luigi Serrapica)
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(versione francese)
Dans nos consultations de pédopsychiatrie nous sommes confrontés à des situations particulières où l’enfant a pris le pouvoir sur ses parents. Ce phénomène qui était déjà identifié et décrit dans les années 1980 semble de plus en plus fréquent même si nous n’avons à ce jour aucune donnée précise.
Nous avons parlé “d’enfants à comportement tyrannique » pour illustrer l’inversion de la hiérarchie de la famille : l’enfant prend le pouvoir sur ses parents, en utilisant la violence physique, verbale ou les menaces. Différentes questions posées aux parents peuvent mettre sur la piste : votre enfant est-il violent avec vous ? avez-vous peur de votre enfant ou de ses réactions ? Prenez-vous les décisions de la famille en fonction de lui ? Avez-vous renoncé à des choses importantes pour vous du fait de son comportement ? Avez-vous honte de ce qui se passe à la maison ? Dans la vie quotidienne ce sont des enfants qui vont utiliser différentes stratégies pour parvenir à leur fin : les crises de colère avec violence lorsqu’ils sont contrariés, les menaces (de se faire du mal, de ne plus aller encours), la culpabilisation, le dénigrement de leurs parents, le harcèlement (demandes répétées en boucle jusqu’à ce que le parent cède). L’impact au quotidien est très fort : les parents ne sont plus en mesure de poser leurs règles éducatives, l’enfant décide de tout, du menu au programme de télévision à la destination de vacances,.. La vie familiale devient un enfer et les parents s’affaiblissent, souvent en se sacrifiant pour améliorer les choses, ce qui ne fonctionne pas. La violence devient de plus en plus forte. Ce qui est particulier dans cette situation bien précise c’est que les enfants ne présentent pas de trouble du comportement en dehors de la maison où ils sont perçus comme des enfants sages voire exemplaires. Cela renforce la culpabilité des parents qui pensent que les problèmes sont de leur faute puisqu’ils surviennent à la maison. Ils tentent de se faire aider par les professionnels de santé mais l’enfant ne s’engage jamais dans les soins ou les suivis (ou tente de manipuler les thérapeutes pour faire porter les torts sur ses parents). Les parents finissent par s’isoler dans une position de honte et de culpabilité.
Nous avons rencontré plus d’une centaine de familles dans cette situation. Nous retrouvons un profil commun chez les enfants et dans la dynamique familiale. Tous les enfants qui présentent ce type de comportement sont des enfants qui ont des troubles psychopathologiques sous-jacents en particulier un trouble de la régulation des émotions (qui peut être dans le cadre d’un Trouble Déficit d’Attention / Hyperactivité ou d’un trouble de l’humeur) et également un trouble anxieux (anxiété de séparation, anxiété sociale, anxiété généralisée). Ce sont des enfants qui ont du mal à gérer les frustrations et cela s’observe dans le milieu familial dès la petite enfance en général, de plus ce sont des enfants qui manquent d’autonomie vis-à-vis de leurs parents. Les familles de ces enfants présentent également un profil particulier dans le sens où ce sont des parents particulièrement attentifs et sensibles qui vont essayer d’aider leur enfant anxieux en lui facilitant les choses : par exemple ce sont des parents qui vont accepter d’accompagner leurs enfants dans leurs déplacements alors qu’ils sont en âge de les faire, qui vont rester un certain temps avec eux autour du coucher, qui vont éviter de laisser l’enfant seul, … Ce sont des parents très informés sur l’éducation et issus de milieux favorisés. Dans les trajectoires on peut retrouver des antécédents médicaux chez l’enfant qui ont entraîné un surinvestissement parental.
La situation s’installe de façon progressive voire insidieuse : les parents s’adaptent pensant aider leur enfant mais la demande est de plus en plus grande ; lorsque les parents refusent un service ou posent une frustration, la crise arrive et la violence s’installe petit à petit. Nous rencontrons les familles dans les consultations mais aussi parfois lors des crises avec des passages aux service des Urgences.
Face aux difficultés pour la prise en charge (enfants qui ne veulent pas de soins, guidance éducative classique qui ne fonctionne pas), nous avons mis en place depuis trois ans une prise en charge spécifique destinée aux parents au CHU de Montpellier : ce sont des groupes de parents où nous développons des stratégies de résistance non violente : ce travail est dérivé des travaux du Pr Haim Omer, psychologue à Tel Aviv.
Nous développons plusieurs objectifs :
– Repérer l’escalade de la violence : les parents qui veulent reprendre le pouvoir par la force vont faire face à une escalade de violence et vont se décrédibiliser face à leur enfant ; de même les parents qui négocient trop et se justifient en permanence perdent leur autorité. Nous apprenons aux parents à différer leur réponse et à ne faire que des réactions « à froid »
– Faire une déclaration de non-violence : dans ce groupe l’objectif est le changement de positionnement du parent (et non de l’enfant) ce qui en fait son originalité par rapport aux groupes de psycho-éducation classiques : le parent s’engage de façon solennelle à ne plus accepter ni utiliser la violence.
– Monter un réseau de soutien : la situation de violence est souvent tenue secrète, car les parents ont honte de ce qui se passe à la maison : un point central du programme est de sortir du secret afin de rendre la violence publique : l’enfant doit être soumis au regard social. D’autres personnes sont ainsi amenées à venir à la maison lors des crises, ou prendre des contacts de façon différée avec le jeune.
– Faire un sit-in dans la chambre du jeune : après une crise et toujours « à froid » les parents marquent leur persistance et leur présence en s’asseyant de façon silencieuse dans la chambre du jeune et en lui demandant de réfléchir à ses agissements et proposer des solutions.
– Gérer les crises de colère : nous développons le mécanisme des crises, l’importance de s’éloigner et se protéger pour garder son calme et éviter la violence, ainsi que faire appel à des personnes ressources
– Prendre soin de soi : étape essentielle pour les parents qui sont dans une position sacrificielle avec une symptomatologie dépressive
L’objectif du programme est que les parents puissent échanger, se sentir moins isolés et honteux, et ainsi mettre en place des stratégies spécifiques pour que leur enfant ne puisse plus les atteindre par la violence. L’idée est que le jeune soit contraint à terme de faire face à ses difficultés pour s’engager dans les soins, au lieu de décharger ses émotions négatives et ses propres difficultés sur ses parents.
Les retours des familles en ce sens sont positifs, les parents via le groupe semblent parvenir à prendre de la distance et sortir du cercle de l’emprise et de la violence. Nous avons accompagné une centaine de familles, et à ce jour 70 familles sont incluses dans une étude pour évaluer l’efficacité de notre programme de façon objective.