EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

La ricetta della felicità: quando il cibo fa bene al corpo e all’anima- intervista a Marino Niola

intervista di Francesca Rifiuti

Ritengo da sempre che il cibo sia uno dei più importanti ponti tra corpo e mente, tra la salute del fisico e dell’anima. Il rapporto dell’uomo con il cibo è radicalmente cambiato negli anni, con la comparsa di un numero sempre più grande di diete e mode alimentari. Queste presunte novità  rischiano di far scomparire elementi cardini del nostro modo di nutrirci, come la dieta mediterranea e la sua capacità di creare salute e di tenere insieme le persone.

Allora, un giorno d’agosto all’ora di pranzo, con la fame che fa capolino e attende di essere saziata, è iniziata questa intervista con Marino Niola.  L’occasione mi è stata data dalla pubblicazione del suo ultimo libro, Andare per i luoghi della dieta mediterranea (2017, Il Mulino) scritto a quattro mani con Elisabetta Moro .

– Professor Niola, cosa è cambiato negli ultimi anni nel nostro rapporto con il cibo?

Negli ultimi vent’anni esigiamo molto di più dal cibo, rispetto al passato. Prima ciò che mangiavamo era una cosa importante, ma certo non era il nostro primo pensiero: oggi invece è la cosa di cui si parla di più, che più spesso vediamo in tv, di cui leggiamo di più. Si può dire che viviamo in una bolla alimentare, in cui la nostra più grande preoccupazione è che ciò che ingeriamo sia sicuro e salutare. In parte è un ragionamento giusto e deriva dal fatto che ci rendiamo sempre più conto che il cibo è uno dei fattori principali per la buona conservazione del corpo. Ma la passione per l’alimentazione si trasforma con molta facilità in ossessione.

Pensiamo al rapporto che avevano con il cibo i nostri genitori e i nostri nonni, che leggevano le etichette dei cibi alla ricerca di alimenti ricchi, addizionati, con vitamine e un buon apporto calorico. Quando oggi compriamo un cibo, invece, controlliamo l’etichetta per assicurarci che non ci siano determinati ingredienti, perché siamo sempre più alla ricerca dei cibi “senza”. Tutto dipende da questo: le diete sono diventate una forma di religione laica, del corpo anziché dell’anima. Facciamo diete ipocaloriche, che eliminano cibi e spingono molti soggetti all’ortoressia. Esercitiamo forme di penitenza attraverso il cibo, in cui la rinuncia, la demonizzazione e la scomunica di certi elementi sono diventate all’ordine del giorno. Si cerca il cibo salva-vita e si elimina il cibo-killer del giorno, che diventa in questo modo il catalizzatore di tutte le nostre paure.

– Oggi sembra che convivano due “mode”: la passione sfrenata per la buona cucina (si pensi alle innumerevoli trasmissioni televisive sul tema) e la corrente iper-salutista e del sacrificio per forza, in un’epoca dove regnerebbe l’abbondanza. Che cosa c’è in mezzo a questi due estremi?

In mezzo a questi estremi stanno le persone secondo le quali il cibo non è un farmaco, non è una medicina. Altrimenti andremmo a fare la spesa direttamente in farmacia!

Il cibo è piacere e convivialità, è stare insieme. Oltretutto, le tante manie salutiste rischiano di compromettere filiere produttive importantissime per l’Italia, attraverso l’inutile demonizzazione di ingredienti locali e l’introduzione di mode alimentari che non hanno niente a che fare con la nostra tradizione. Insomma, non è certo grazie al tofu se siamo una delle popolazioni più longeve del mondo!

Il rischio è quello di accantonare i benefici del piacere sul corpo: anche Ippocrate,  considerato il padre della medicina, diceva che a volte è meglio mangiare un cibo non proprio sanissimo ma buono, piuttosto che un cibo sano che non ci piace, per evitare la malinconia e la depressione (di cui spesso soffrono i penitenti dell’alimentazione).

– Quindi la dieta così come la intende lei quando parla di dieta mediterranea è qualcosa di diverso e di molto più completo.

Dieta non significa perdere peso. Dieta deriva dal greco δίαιτα (diaita) e significa modo di vivere. È una parola che include tutto, non un termine che esclude. Include certamente il modo di mangiare, ma anche il nostro modo di rapportarci con l’ambiente e con gli altri. Insomma, se mangio un pomodoro biologico, è molto sano e fa bene. Ma se lo mangio davanti al frigo, da solo, in fretta…che cosa sto facendo di buono per il mio corpo e per la mia anima?

 – Che rapporto c’è quindi tra la dieta mediterranea e il benessere psicofisico?

L’aspetto più importante è che la dieta mediterranea non esclude nessuno cibo. È stato  Ancel Keys, uno scienziato americano, a inventare questo nome nel 1975, dopo un viaggio tra Napoli e il Cilento. La cosa buffa è che noi mediterranei mangiavamo mediterraneo senza esserne coscienti; sono stati gli americani che hanno capito che era la chiave per la salute e per la salvaguardia delle coronarie dell’occidente consumista. Eppure è una dieta che non esclude niente: non è solo pasta e pizza come dice qualcuno. Si mangia di tutto un po’, proprio come dicevano i nostri nonni. È uno stile alimentare che privilegia carboidrati, verdure e frutta, ma si mangiano anche uova, carni bianche e carni rosse ogni tanto, ma senza togliere niente, perché anche la carne rossa è fondamentale, se mangiata in quantità moderata.

Secondo la FAO, la dieta mediterranea è il regime alimentare più sostenibile del pianeta, grazie al suo basso impatto ambientale e al rispetto delle biodiversità e della salute.

Nel 2010, l’UNESCO l’ha inclusa nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità, inserendo tra le varie motivazioni anche la capacità che questo stile di vita ha nel tenere insieme le persone, costruire comunità e incentivare la condivisione.

– Uno degli aspetti fondamentali della dieta mediterranea infatti è la convivialità. Già Epicuro diceva: “Dobbiamo trovare qualcuno con cui mangiare e bere prima di cercare qualcosa da mangiare e da bere…”

Anche Plutarco ne parlava: “Non ci sediamo a tavola per mangiare e bere, ma per mangiare e bere insieme”.

– Pensa che il piacere del mangiare insieme si stia un po’ perdendo? 

La convivialità rischia di perdersi a causa dei nuovi ritmi di vita, ma anche a causa delle diete e della convinzione che la dieta si riduca a un mero calcolo nutrizionale. Ma l’umano non si nutre, l’umano mangia e prova piacere mangiando (così come anche alcuni animali superiori, tra cui lo scimpanzé).

La dieta mediterranea, insieme alla convivialità, rischiano di perdersi anche qui dove sono nate, dal momento che negli ultimi anni ognuno pensa che il suo cibo sia il più giusto e il più sano. Basti pensare che pure le coppie si dividono su questo e il momento dei pasti diventa una fotografia della asocialità, genera una solitudine che a sua volta produce paura e insicurezza e fa male alla mente e al corpo, perché questi due aspetti vanno di pari passo.

A mio parere, tutta la causa della nostra preoccupazione è proprio la solitudine. Attribuiamo poi la paura ogni giorno a cose diverse: quando all’aviaria, quando all’OGM, quando all’immigrazione. Ma l’Italia dei nostri nonni e genitori era diversa, era unita, dava peso alla relazione. Pensiamo al vicinato: prima se perdevo d’occhio mio figlio sapevo che c’era qualcuno che sicuramente se ne sarebbe preso cura. Oggi tutto questo purtroppo non c’è più e, sentendoci soli con noi stessi, investiamo sulla salute, sul corpo, sull’immunità (che etimologicamente è proprio il contrario di comunità).

– In che modo può avvenire un cambiamento di rotta?

Ci vuole una ricetta, e qualcuno sicuramente la sta già cucinando, forse spinto anche dalla crisi. Gli ingredienti indispensabili per questa ricetta sono la fiducia (specialmente nelle istituzioni e nella scienza), un po’ di buon senso e una buona educazione alimentare, intesa però non in senso nutrizionale: non posso insegnare a un bambino cosa fa bene e cosa fa male, si distrarrà e non posso biasimarlo. Bisognerebbe insegnare fin dai primi anni di scuola la cultura del cibo, qual è la sua storia e quindi la nostra storia, quali sono le tradizioni di un paese che sull’alimentazione ha poggiato le sue fondamenta. Insomma, bisognerebbe insegnare di che pasta siamo fatti!

– Abbiamo parlato di ingredienti nostrani e di convivialità…Qual è il suo piatto del cuore, la sua “Madeleine de Proust”?

La mia madeleine è un piatto a base di peperoni arrostiti ripieni di spaghettoni, con olive e formaggi. È un Piatto meraviglioso e me lo prepara mia moglie, nel giorno di Ferragosto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Share this Post!
error: Content is protected !!