di Monica Pratelli e Francesca Rifiuti
“L’educazione consiste nell’incoraggiare lo sviluppo più completo possibile delle attitudini di ogni persona, sia come individuo sia come membro di una società ispirata dalla solidarietà. L’educazione è inseparabile dall’evoluzione sociale: essa è una delle forze che la determinano”
(International League For New Education)
Che cos’è la scuola e come la vorrebbero i bambini
Al di là delle definizioni banali e scontate, non è facile definire che cos’è la scuola.
Ricorriamo allora ai bambini, agli alunni, che, di fronte a una domanda apparentemente semplice, offrono uno sguardo ampio e significativo.
“È il luogo dove andiamo a imparare le cose per diventare grandi e ci vuole tanto tempo”, dice Soraya, che ha undici anni.
“La scuola è un posto bello dove si fa la lezione, si scrive la data e si imparano moltissime cose”, sostiene Andrea, che di anni ne ha sette.
“Per me la scuola è un momento per imparare e anche un po’ per divertirsi”, commenta Ester, dieci anni.
“È un luogo di studio, dove puoi fare amicizia” – aggiunge Alessia. Anche lei ha dieci anni e ha da poco iniziato la quinta.
“È un posto dove impari a scrivere e a stare insieme. Però a volte ci si annoia”, sostiene Paolo, che ha sette anni e avrebbe in mente di fare sempre cose nuove.
“La scuola è dove s’impara e se si sbaglia non importa, la seconda volta la fai bene. Poi si devono aiutare gli amici e chi è in difficoltà. Se la maestra è al telefono noi facciamo la lezione da soli”. Luigi ha nove anni e ha già capito un sacco di cose importanti.
“La scuola è un posto dove stare tutti insieme, non solo per studiare, ma anche per divertirsi. Se hai dei compagni che ti stanno simpatici il tempo passa molto velocemente.”, sostiene Elena, che ha undici anni.
“È un edificio per imparare a conoscere molte cose che poi in futuro ci potranno aiutare” afferma con convinzione Lorenzo, che ha dieci anni.
“La scuola non è solo studio, sudore, impegno, ma anche un posto in cui fare nuove amicizie e interagire con gli altri, anche se questo aspetto della scuola sta andando sempre di più scomparendo” commenta Andrea, che ha quasi tredici anni ed un ragazzino molto capace, anche se è polemico.
Martina ha undici anni e sostiene che la scuola “è qualcosa che ci dà degli insegnamenti utili per la vita”.
“Per me la scuola è il luogo dove i bambini imparano a leggere, scrivere, disegnare e comportarsi bene” afferma Giacomo, che ha otto anni.
“La scuola è che ci sono delle regole, che si può scrivere e che si portano i quaderni” sostiene Giulio, che di anni ne ha nove.
Che cos’è in definitiva la scuola per i bambini? Che cosa rappresenta ai loro occhi? La scuola è un luogo per imparare, per stare insieme, alternando possibilmente apprendimento e divertimento, è un ambiente in cui si imparano cose che serviranno in futuro.
Ma quali sono i desideri dei bambini? Come vorrebbero che fosse la scuola ideale?
Alla richiesta di descrivere “La scuola che vorrei” gli alunni, nella maggior parte dei casi, non si lasciano andare a voli di fantasia, non descrivono ambienti futuristici, non disegnano aule altamente tecnologiche; essi si limitano ad aggiungere colore alle pareti: “La vorrei colorata come l’arcobaleno” dice Paola, che ha otto anni; “Mi piacerebbe tutta a strisce gialle, rosa e celesti” commenta Michela che di anni ne ha sette.
Alcuni si soffermano sui dettagli del giardino: “La vorrei con un giardino con le panchine per le mamme” dice Luca che al mattino fa storie per entrare in classe; “Vorrei un giardino con tanti fiori e con l’altalena” sostiene Margherita; “Mi piacerebbe che in giardino ci fosse un campo da gioco con le porte per fare le partite” aggiunge Pietro, che sembra sempre sul punto di segnare un goal anche quando è seduto al banco. Alcuni si soffermano maggiormente sulla descrizione delle aule, dicendo che sarebbe bello che fossero più grandi: “Vorrei che fosse grande come un salone e che le sedie fossero morbide; sarebbe bello che i banchi fossero tutti di colore diverso. Il mio lo vorrei color fucsia” dice Laura che sembra avere la scena proprio davanti ai suoi occhi. Simone e Luigi concordano invece che la loro scuola ideale vorrebbero che fosse pulita, con gli armadi senza polvere, senza ragnatele al soffitto. “Non sopporto le ragnatele!” confessa Simone.
I bambini quindi si accontenterebbero con facilità; ciò che chiedono è accoglienza, rispetto, colore, comodità, gioco e… pulizia. Richieste modeste, a quanto pare.
Che cosa possiamo dedurre da tutte queste risposte? Pare proprio che i bambini sappiano che cos’è la scuola e che ne abbiano compreso bene il senso, il significato, il valore.
Tra quelle pareti c’è qualcosa di più oltre al fare i compiti, all’imparare nuove cose e al rispettare le regole imposte dagli insegnanti. La scuola agli occhi dei bambini è anche e soprattutto un ambiente in cui crescere, socializzare, imparare a “stare al mondo”.
Anche gli addetti ai lavori hanno altrettanta chiarezza e consapevolezza o, forse, ancora rimane difficile coniugare didattica ed educazione, apprendimento di strumentalità, abilità e sviluppo di competenze fondamentali?
La distinzione tra programmazione didattica e programmazione educativa ormai ha solo l’intento di rendere chiari gli obiettivi, non certo di distinguere percorsi che sono chiaramente intrecciati e sempre compresenti.
La programmazione educativa definisce gli obiettivi che riguardano lo sviluppo della persona e che sono, pertanto, transdisciplinari (relazioni interpersonali, autostima, metacognizione, affettività). La programmazione didattica, rappresenta il collegamento tra tutto questo e gli obiettivi, i contenuti, gli strumenti caratterizzanti ogni disciplina. È una sorta di “traduzione”, da parte dell’insegnante, delle finalità educative da applicare nella vita della classe; in questo modo le discipline divengono strumenti di conoscenza e di apprendimento in ogni senso, promuovono lo sviluppo di abilità e conoscenze, ma anche lo sviluppo di competenze cognitive, socio-affettive e comportamentali. Perché questo avvenga, servono tante cose, ma l’aspetto fondamentale è sicuramente il “benessere”, inteso in tutte le sue declinazioni: il benessere relativo l’ambiente, il benessere per gli alunni, il benessere nelle relazioni scuola-famiglia, ma anche per gli insegnanti e per tutto il personale scolastico.
Nuovi contesti, nuovi bisogni
La famiglia è un sistema che vive in un costante cambiamento per i diversi eventi critici che si trova ad affrontare e talvolta incontra alcune difficoltà a rispettare i necessari compiti di sviluppo. In questi casi, i bisogni dei figli non ricevono le risposte adeguate per l’età e le caratteristiche personali. Il momento storico che stiamo vivendo è inoltre caratterizzato da cambiamenti significativi: aumentano le separazioni e i divorzi e con essi le famiglie ricomposte; i ruoli familiari sono in costante trasformazione e la famiglia ha assunto forme nuove.
La scuola si trova ad affrontare molte difficoltà: le classi sono troppo numerose, il precariato dei docenti e del personale in genere crea incertezza e tensione, il tempo a scuola è ridotto, mancano ore di compresenza, che sarebbero indispensabili per portare avanti attività di potenziamento delle competenze, mancano fondi per cui si assiste a una riduzione sia dei progetti sia dell’acquisto di materiali utili.
Sia a scuola, sia in famiglia, i bambini e i ragazzi possono percepire quindi un clima di tensione e di nervosismo, che ostacola il senso del piacere nel vivere la quotidianità. In modo particolare la mancanza di tempo a disposizione toglie molto all’organizzazione delle esperienze e alla relazione e tende a far prevalere un’attenzione sui prodotti, sui risultati, sulla mera esecuzione delle attività, anziché sui processi, sulle fasi esecutive, sui metodi.
Lo zaino dei bambini in procinto di iniziare l’avventura scolastica contiene i materiali necessari, ma è gonfio anche di stili relazionali, di modelli, di atteggiamenti appresi in famiglia. Contiene inoltre le attese, i desideri, le curiosità, i bisogni, le competenze fino a quel momento apprese, le esperienze vissute nei precedenti contesti educativi.
I bambini con difficoltà di apprendimento
Le aule scolastiche sono popolate da bambini tutti differenti, ognuno con le proprie difficoltà e le proprie risorse. Ma che succede a quel bambino che impara con maggiore fatica rispetto al resto della classe?
Egli si trova a far parte di un contesto nel quale vengono proposte attività per lui troppo complesse, ma non può fare a meno di notare che la maggior parte dei compagni si inserisce con serenità nelle proposte didattiche e ottiene buoni risultati. Gli adulti lo sollecitano continuamente, confondendo le difficoltà oggettive con il disimpegno, lo scarso coinvolgimento sul compito (“stai più attento!”; ”Impegnati di più!”; “hai bisogno di esercitarti molto”…). Per lui è difficile comprendere il motivo di tutti quegli insuccessi ed è frequente che emerga un senso di colpa: le cause del “disastro” sono inspiegabili, quindi la responsabilità è tutta sua!
Intorno a lui ci sono adulti insoddisfatti, preoccupati, delusi, nessuno è contento ed egli si sente sempre più incapace anche di far felici gli altri. Il confronto con i compagni è sempre a suo sfavore, salvo rare occasioni, in cui riesce a mettere in primo piano le proprie risorse.
Il disagio rimbalza dal bambino alla famiglia e viceversa, in un intreccio di emozioni, frustrazioni, delusioni. Per la maggior parte dei genitori la scuola è importante, è al primo posto nella vita dei bambini e dei ragazzi, tutto il resto viene dopo…Che succede se la scuola va a rotoli?
Il team docente
Un altro aspetto fondamentale da prendere in considerazione è la coerenza educativa che riguarda gli accordi all’interno del team. Quest’ultimo, per poter davvero offrire basi solide educative e relazionali dovrebbe offrire una compattezza di intenti, una condivisione di obiettivi non solo sulla carta, ma soprattutto attraverso atteggiamenti e comportamenti idonei. La solidarietà e coesione nel gruppo di lavoro è garanzia di legami sicuri, all’interno dei quali gli alunni possono sentirsi davvero accolti. Già in famiglia essi sperimentano con una certa frequenza il disaccordo e livelli discordanti di comunicazione e di intenzionalità; se ciò si ripete anche all’interno della scuola i bambini e i ragazzi si disorientano e perdono fiducia nelle figure adulte di riferimento.
Per questo e per altro ancora è indispensabile che il team docente sia capace di pianificare riunioni efficaci, superando inutili formalità, ripensando a un modo creativo di stabilire la relazione, esplicitando bisogni e obiettivi condivisi e raggiungibili. All’interno del team si formano normalmente conflitti, per il semplice fatto che in esso sono presenti individualità diverse, persone con caratteristiche e stili relazionali differenti. Non accogliere il conflitto significa tenerlo sotto la cenere, alimentarlo senza però affrontarne i contenuti. Anche di fronte agli alunni in difficoltà i docenti del team hanno frequentemente pareri discordanti. Chi descrive le caratteristiche dei soggetti analizzandole minuziosamente, chi afferma che, all’interno delle proprie ore di lezione, non si manifestano particolari problemi, chi sostiene l’estrema difficoltà nel portare avanti le attività didattiche e via dicendo. L’immagine discordante viene rimandata anche durante i colloqui con i genitori, provocando ulteriore smarrimento e ostacolando la ricerca di una conoscenza più approfondita sulle cause delle difficoltà.
Insegnanti e genitori
Scuola e famiglia sono contesti con finalità educative diverse e non devono essere confusi, ma la collaborazione, lo scambio, il rispetto reciproco dei ruoli differenti, rendono il “tragitto” da casa a scuola più sereno e meno tortuoso. Oltre agli incontri con i gruppi di genitori, sono di fondamentale importanza i colloqui individuali, per scambiarsi conoscenze, per accordarsi sulle finalità da perseguire per giungere insieme a una descrizione non solo delle difficoltà, ma anche delle risorse del bambino.
La relazione scuola famiglia deve accompagnare il percorso dei bambini fin dal loro primo ingresso, attraverso incontri con i genitori, per una reciproca conoscenza, per comunicare le linee essenziali del programma, per condividere gli obiettivi educativi e promuovere comportamenti positivi. Tutto questo nel rispetto delle differenze, evitando confusione di ruoli. La chiarezza sulle differenze serve a evitare pericolose intromissioni e ingerenze reciproche.
Genitori e insegnanti sono, in definitiva, partner di un progetto che ha come meta il benessere psicologico dei figli/alunni, all’interno del quale ciascuno deve fare la propria parte. Certo è che, talvolta, anche i docenti molto preparati sul piano didattico, avrebbero bisogno di una formazione relazionale che faciliti loro il rapporto con gli alunni e con i genitori, ma anche la comunicazione e la collaborazione all’interno del team.
Una scuola “Pulita”
Con questa semplice espressione possiamo sintetizzare quello che dovrebbe essere l’impegno della scuola e l’immagine che essa dovrebbe mostrare al di là delle apparenze. Una scuola pulita da un punto di vista prettamente “fisico”, curata, accogliente, “calda”, al di là della bellezza, al di là della ricchezza dei materiali; una scuola che non odori di polvere, ma che infonda rispetto per l’ambiente, che non sia ferita dall’incuria, ma che lasci trasparire il senso di responsabilità. Pulita perché trasparente nei propri intenti, con obiettivi educativi condivisi, con atteggiamenti adulti rispettosi dei ritmi e degli stili di apprendimento; una scuola che dà spazio all’ascolto, che è disposta a imparare, che sa stare in relazione con la famiglia e con il territorio di appartenenza, una scuola che cresce al passo con il mondo, mantenendo vivo il legame con la storia, con la cultura.
Se le amministrazioni non possono permettersi spese ingenti per realizzare progetti di elevate pretese, meglio che si accontentino di strutture funzionali, alla portata dei bambini e dei ragazzi, perseguendo intenti di integrazione e di coscienza civica. Per poter aiutare gli alunni a rispettare le regole è, prima di tutto, necessario che siano gli adulti di riferimento a farlo. Non possiamo chiedere di rispettare un ambiente in degrado, di tenere pulito ciò che è sporco, di aver cura di spazi esterni pieni di erba ingiallita. La scuola, insieme alla famiglia, ha il compito di trasmettere valori, di guidare verso la conquista delle più importanti regole di convivenza, ma su questi aspetti c’è ancora tanta strada da fare.
L’impegno della scuola nei confronti della famiglia
Offrire un ambiente accogliente occupa il primo posto; i bambini devono sentirsi ospiti graditi, percependo atteggiamenti affettivamente significativi da parte di tutti gli adulti che circolano tra quelle mura. La scuola deve offrire occasioni di apprendimento, ma anche momenti di conoscenza dell’ambiente, di apertura e di coinvolgimento. La programmazione didattica è inserita in un contesto educativo generale, che ha il compito di promuovere il dialogo costruttivo, dialogo che ha connotazioni di apertura, che non trascura l’ascolto, la condivisione, la ricerca di soluzioni. La programmazione educativa deve essere socializzata ai genitori, per far sì che anch’essi abbiano chiari gli obiettivi e le regole da rispettare, facilitando così il raggiungimento di un punto d’incontro favorevole alla crescita degli alunni e creando quel raccordo e quella comunione di intenti che permette loro di sentirsi sostenuti nei processi di sviluppo. A questo proposito sono indispensabili momenti di scambio, iniziative collettive, assemblee di classe, colloqui individuali. Questi ultimi hanno l’obiettivo di comunicare ai genitori il percorso educativo e didattico del proprio figlio, esplicitando gli ambiti di difficoltà, di competenza e di potenzialità individuati. Il genitore deve avere la certezza che i docenti conoscono gli alunni, che sono capaci di osservare e di individuare i loro stili cognitivi, che sono in grado di individuare le loro risorse, al di là del giudizio, al di là del voto.
L’impegno della famiglia nei confronti della scuola
La famiglia, d’altro canto, ha il compito di partecipare alla vita scolastica, condividendo gli obiettivi educativi di sua competenza, offrendo collaborazione, mantenendo il proprio ruolo, senza porsi in competizione, evitando di svalorizzare l’operato degli insegnanti, tenendo in mente che il compito educativo dei genitori è diverso da quello dei docenti e che il buon esito di un percorso di crescita sta proprio in un Patto Educativo di Corresponsabilità, cioè in un accordo, implicito ed esplicito, che si pone in atto con pensieri condivisi, con atteggiamenti e azioni chiare nei quali i bambini e i ragazzi possano trovare riferimenti sicuri. Il pensiero torna, a questo proposito, alle regole educative, cioè a quei punti di riferimento di indiscutibile valore, che, più che sotto forma di imposizioni, dovrebbero essere vissute come conquiste, come traguardi e autogratificazioni.
Il Patto Educativo di Corresponsabilità
Scuola e famiglia insieme, nel pieno rispetto dei diversi ruoli, dovrebbero condividere compiti educativi non solo sulla carta, per permettere la conquista graduale, da parte dei bambini e dei ragazzi, di competenze socio-affettive e relazionali, che riguardano l’espressione dei propri bisogni e delle proprie opinioni, la consapevolezza dei propri punti di forza e dei punti di debolezza, il riconoscimento e la gestione delle proprie emozioni, il saper sostenere momenti di sconfitta e di frustrazione, il saper gestire il tempo e lo spazio nel rispetto del singolo, della collettività, dell’ambiente. L’accoglienza della differenza come possibilità e come ricchezza va nella direzione di un processo di integrazione più sereno, in cui c’è spazio per chi procede a ritmo superveloce e per chi va a passo di lumaca, per chi fa più fatica e per chi è instancabile, per chi è dislessico e per chi ha necessità di ausili personalizzati. Dare importanza all’affettività e alle relazioni facilita i processi di apprendimento; tutti noi impariamo con più agio se il clima intorno a noi è sereno, se ci sentiamo accolti, se ci divertiamo, se ci scambiamo piccoli aiuti, se ci viene consentito l’uso delle nostre aree di risorsa. È su questo che scuola e famiglia, oggi più che mai, devono darsi la mano, riconoscendosi a vicenda le responsabilità e le soddisfazioni, approntando una forma di comunicazione “utile” ed efficace.
La scuola, sappiamo bene, ha compiti pedagogici, svolge cioè un’azione che dovrebbe tendere allo sviluppo delle potenzialità dei bambini; gli insegnanti possono offrire agli operatori dei servizi un quadro ampio e dettagliato delle problematiche, ma anche delle aree di risorsa dei propri alunni. Gli operatori dei servizi, d’altro canto, offrono ai docenti una visione clinica della situazione individuale; con l’apporto degli uni e degli altri si giunge così a una conoscenza completa, approfondita, funzionale.
Il progetto educativo si svolge così con una pluralità di competenze, che dovrebbero lavorare in rete, con l’obiettivo di individuare le peculiarità del soggetto, ma anche di sostenere quest’ultimo nella conquista del proprio benessere psicologico, che si traduce nel benessere del gruppo.
Il rispetto dei tempi e lo sviluppo dell’autonomia
Lo sviluppo dell’autonomia è un processo graduale e richiede il sostegno degli adulti, che non devono sostituirsi ai bambini, bensì aiutarli a scoprire il piacere di apprendere, di imparare a gestire da soli la quotidianità. Autonomia come capacità di riconoscere le proprie competenze, le proprie difficoltà, i propri bisogni, di chiedere aiuto quando serve, di sentirsi orgogliosi delle piccole conquiste. I ritmi della vita quotidiana impediscono spesso ai genitori di rispettare i tempi dei figli; si fa tutto troppo in fretta, si fa troppo al posto loro. Questo impedisce di far sì che i piccoli si possano godere l’inizio del nuovo giorno. Michela ha sette anni e al mattino prende ancora il biberon, perché è troppo lenta a fare colazione; Marco ha otto anni e si lascia vestire dalla sua mamma in tutto e per tutto, Luca ne ha nove e trova lo zaino pronto vicino alla porta d’ingresso, ma non l’ha preparato lui. Ogni azione quotidiana è incastrata con le altre, senza spazi vuoti, come le tessere di un puzzle che deve, in ogni modo, essere portato a termine; sono pochi gli spazi per imparare, pochi i momenti per esprimere soddisfazione per ciò che abbiamo imparato. “Insegnami a fare da solo” recitava una famosa frase di Maria Montessori; ecco, crediamo che questo sia il desiderio dei bambini: sperimentare, osare, sbagliare e riprovare, gioire dei piccoli passi, con accanto adulti che offrono il loro sostegno ogni volta che è necessario e che li guardano con uno sguardo che significa: “Mi fido di te, puoi farcela!”
Anche a scuola lo sviluppo dell’autonomia è fondamentale. Gli alunni vengono posti di fronte e proposte graduali riferibili alla fascia di età, ma non dobbiamo dimenticare che ogni individuo ha propri stili cognitivi, si porta dietro un apprendimento pregresso, appartiene a un mondo affettivo e relazionale che è solo suo. Ogni percorso ha proprie caratteristiche e di queste dobbiamo tenere di conto. Le differenze devono essere viste come elementi personalizzanti, come risorse più che come ostacoli; ogni bambino ha un proprio “metodo” di lettura delle esperienze e, se gli adulti riescono a imparare quel metodo, tutto diventa più facile. Ci sono alunni che apprendono a velocità incredibile, che padroneggiano con facilità i contenuti, che perseguono senza alcun problema gli obiettivi prefissati per l’età; altri invece sembrano aver paura di tutto ciò che è nuovo, hanno bisogno di più tempo, di maggiore vicinanza, mentre altri ancora appaiono demotivati, predisposti ad altro, oppure si mostrano insicuri, ansiosi, timorosi di non essere all’altezza delle richieste. Ci sono poi alunni che sembrano avere tutte le carte in regole per apprendere con facilità, ma che, invece, fanno una fatica incredibile ad automatizzare le tecniche di calcolo, di lettura, di scrittura. Lo sviluppo dell’autonomia cambia notevolmente e, altrettanto, devono cambiare le richieste degli adulti; esse devono essere calibrate e riferirsi sempre alla zona di sviluppo prossimale, che indica ciò che il bambino può iniziare ad apprendere e a eseguire se riceve l’aiuto giusto.
La scuola degli errori
La sfida è grande, gli attori che ruotano intorno alla scuola sono molti e i protagonisti rimangono sempre i bambini, con i loro bisogni e desideri. La classe non può essere soltanto un luogo in cui si producono strumenti, si esercitano tecniche, si allenano strategie; essa è e deve rimanere luogo di incontro, di piacere per la conoscenza, di cultura, di condivisione di esperienze. La scuola, in definitiva, è un laboratorio per sperimentare, conoscere, crescere. Crediamo in una scuola che sappia coniugare innovazione e tradizione, grazie al contributo di tutti coloro che vi abitano o che contribuiscono alla sua costante e indispensabile opera di “manutenzione”. Gli insegnanti in primis, ma anche i dirigenti, i collaboratori che si occupano di mantenere l’ambiente accogliente e pulito, gli psicologi, i pedagogisti, gli educatori e, non ultimi, i genitori. La scuola ha bisogno di conquistare il proprio valore e la fiducia che merita da parte dei cittadini. La scuola è come una barca a vela, in cui ognuno ha il proprio ruolo e in cui tutti concorrono all’esplorazione di rotte percorribili nuove o già conosciute.
Uno degli aspetti fondamentali del contesto scolastico riguarda l’importanza delle risorse personali dei bambini e dei ragazzi, della gratificazione da parte dell’adulto, della valorizzazione delle competenze. Ma un’ultima riflessione vorremmo farla rispetto alla considerazione dell’errore e al suo valore positivo nell’apprendimento.
Viviamo un momento storico-sociale in cui l’errore produce smarrimento, senso di impotenza o forse anche una sorta di “disperazione” (“Paolo oggi ha fatto più di venti errori nel testo! Che disastro!”).
I genitori accolgono con difficoltà i possibili errori dei figli, magari per un proprio vissuto di inadeguatezza, e fanno il possibile per anticipare le risposte e per semplificare le richieste; anche gli insegnanti usano, in un diverso contesto, strategie simili e riducono il compito a uno scheletro che distanzia la partecipazione attiva dell’alunno.
Le conseguenze di tutto questo nei bambini e nei ragazzi sono un’eccessiva vulnerabilità alla minima frustrazione, la difficoltà a riconoscere che si è sbagliato qualcosa, la perdita del desiderio di riprovarci, di rimediare, di avere un’altra opportunità.
Ci piace concludere con due citazioni: una è rubata a a un bambino di nome Lorenzo, l’altra a Gianni Rodari. Spetta al lettore l’assegnazione di ogni frase all’autore giusto.
“La scuola è dove s’impara e se si sbaglia non importa, la seconda volta la fai bene.”
“Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio la torre di Pisa.”