EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

La tecnofilosofia e il problema difficile della “realtà”

di Gianfranco Pecchinenda

Riflessioni a partire dal volume di David J. Chalmers, Più realtà. I mondi virtuali e i problemi della filosofia, Raffaello Cortina, Milano 2023

Il nome di David Chalmers è generalmente associato al cosiddetto “problema difficile” (the hard problem) della coscienza. Nel corso di una conferenza internazionale dedicata a questo tema, tenutosi a Tucson nel lontano 1994, esponendo i risultati della sua tesi di dottorato (che sarebbe stata pubblicata di lì a poco con il titolo La mente cosciente), l’allora giovane filosofo coniò un’etichetta che, a partire da allora, avrebbe incorniciato la questione centrale del dibattito scientifico sulla coscienza in modo indelebile.

The hard problem, com’è oramai universalmente noto, è il problema di spiegare l’esperienza soggettiva, tema già in precedenza evidenziato da Thomas Nagel, che definiva la coscienza nei termini di cosa si prova a essere “qualcuno”.

Se penso che il sigaro che sto fumando non provi niente ad essere un sigaro, credo intuitivamente, come tutti voi, che non avendo esperienza soggettiva un sigaro non abbia coscienza. Venendo agli organismi viventi, se si prova qualcosa ad essere un pipistrello, come suggeriva Nagel, un pipistrello è cosciente. Se non si prova niente a essere un verme, un verme non è cosciente.

Invocando di nuovo Nagel, Chalmers ci spinge tuttavia a riflettere sul fatto che ci sono stati (come provare qualcosa a vedere un colore o a sentire un dolore) che non richiedono necessariamente una “voce” interiore o una coscienza riflessiva. E che anche stati del genere, per quanto semplici, sollevano comunque il “problema difficile”.

Perché “si prova qualcosa” a vedere il rosso? Già ne La mente cosciente Chalmers aveva giustamente sostenuto che nessuna spiegazione della coscienza in termini puramente fisici è possibile. In altri termini, i metodi scientifici che funzionano così bene per spiegare i problemi facili non funzionano sull’esperienza soggettiva. Identificare un meccanismo cerebrale che induce a classificare uno stimolo come rosso non ci dice perché abbiamo un’esperienza consapevole del rosso. Spiegare il comportamento non spiega perché il comportamento sia accompagnato dall’esperienza soggettiva della coscienza.

“In qualsiasi descrizione dei processi cerebrali – ribadisce oggi Chalmers – sembra esserci uno iato tra quella storia e la coscienza. Perché i processi cerebrali danno origine all’esperienza cosciente? Perché non esistono semplicemente ‘al buio’, senza alcuna esperienza soggettiva? Nessuno lo sa”.

I metodi delle neuroscienze e delle scienze cognitive non sono di grande aiuto in tal senso: la conoscenza di ciò che accade fisicamente nel cervello (la celebre questione dei correlati neurali della coscienza) quando un soggetto è posto di fronte a un oggetto di colore rosso non può dirci nulla della sua esperienza soggettiva di quel colore. La conoscenza delle esperienze coscienti, insomma, sembra andare ben oltre la conoscenza dei processi cerebrali.

Dal problema (difficile) della coscienza al problema (difficile) della realtà

A partire da questi assunti che, come ripeto, sono oramai ben noti, Chalmers prova in questo suo voluminoso lavoro a spingersi oltre – laddove possibile – estendendo la questione al problema delle “altre” coscienze, con il fine, neanche troppo recondito, di provare a spiegare il ben più difficile e complesso problema della simulazione della coscienza e, a partire da questa, alla eventuale possibilità di una realtà completamente simulata.

Per affrontare una tale impresa, Chalmers ci invita a seguire il suo approccio “tecnofilosofico” con cui prova a combinare (1) il porre domande filosofiche sulla tecnologia e (2) l’usare la tecnologia per aiutare a rispondere alle domande filosofiche tradizionali.

Non essendo concepibile affrontare in poche righe tutte le intricate implicazioni che tali complesse questioni sollevano, mi limiterò di seguito a chiarire quelle che, sinteticamente, Chalmers pone alla base della sua ben articolata analisi teorica (che consta, per la cronaca, di oltre seicento pagine).

La tesi centrale del libro è la seguente: la realtà virtuale è realtà a tutti gli effetti.

Tale tesi, può essere suddivisa in tre punti:

  • I mondi virtuali non sono illusioni o finzioni;
  • all’interno dei mondi virtuali è possibile condurre una vita almeno altrettanto significativa di quella vissuta nella realtà che egli definisce “di prima classe”;
  • il mondo nel quale viviamo potrebbe essere un mondo virtuale (almeno, è una possibilità che non possiamo scientificamente dimostrare essere falsa)

Tale tesi – sottolinea l’autore – in particolare per ciò che concerne i primi due punti – ha importanti conseguenze pratiche per il ruolo della tecnologia VR nelle nostre vite in quanto, almeno in linea di principio, la VR può essere molto più che una forma di evasione. Può essere un ambiente in carne e ossa nel quale vivere una vita autentica.

“Ogni mondo virtuale – egli scrive – è una nuova realtà: Più realtà. La realtà aumentata comporta delle aggiunte alla realtà: Più realtà. Alcuni mondi virtuali sono buoni tanto quanto o sono migliori della realtà comune: Più realtà. Se ci troviamo in una simulazione, c’è di più nella realtà di quanto pensassimo: Più realtà. Ci sarà un’ampia scelta di realtà multiple: Più realtà”.

Inutile ribadire che, in alcuni casi, ci troviamo di fronte a tesi particolarmente ardite, più o meno discutibili. D’altro canto, però, non fa certamente difetto a Chalmers la sempre apprezzabile qualità, soprattutto di fronte a discorsi filosofici così particolarmente complessi, della chiarezza espositiva. Tantopiù apprezzabile – aggiungerei – in un’epoca nella quale concetti quali realtà, conoscenza scientifica e “verità” oggettiva sembrano essere sempre più prese d’assedio.

Per concludere, ecco quindi le sue stesse opinioni in merito alle tesi presentate nel libro:

“Le nostre menti fanno parte della realtà, ma c’è una grande quantità di realtà al di fuori delle nostre menti. La realtà contiene il nostro mondo e può contenerne molti altri. Possiamo costruire nuovi mondi e nuove porzioni della realtà. Sappiamo qualcosa della realtà e possiamo cercare di saperne di più. Potrebbero esserci parti di essa che non potremo mai conoscere.

Cosa più importante: la realtà esiste, indipendentemente da noi. La verità conta. Ci sono verità sulla realtà e possiamo provare a riconoscerle. Anche in un’epoca popolata da molteplici realtà, credo ancora nella realtà oggettiva.”


David J. Chalmers,

Più realtà. I mondi virtuali e i problemi della filosofia,

Raffaello Cortina, Milano 2023

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