di Federica Biolzi
L’utilizzo delle droghe e i loro effetti sono fonte di numerosi dibattiti, spesso condotti sulla base di informazioni parziali o luoghi comuni . Gaetano Di Chiara, professore emerito di Farmacologia all’Università di Cagliari, ci aiuta a orientarci in questo campo con un’approfondita analisi sugli usi e sugli abusi dei cannabinoidi .
– Soprattutto tra i giovani si tende a sottovalutare l’utilizzo di alcune sostanze, spesso considerate semplici rilassanti. Quali sono le principali differenze tra la marijuana e la cannabis, sostanze che la normativa attuale considera di tipo leggero?
– In realtà, la marijuana non è altro che una preparazione (tecnicamente, una ‘’formulazione’’) di cannabis. La marijuana è costituita dalle infiorescenze di varietà di cannabis che contengono un’elevata quantità di resina, nella quale è concentrato il suo principio attivo, il tetraidrocannabinolo (THC).
In pratica, una preparazione di infiorescenze di cannabis che abbia un titolo di THC molto basso o nullo, non si può considerare marijuana. Normalmente siamo su percentuali di THC intorno al 5-10%, fino ad arrivare al 20%. Negli anni 70, per dare un riferimento temporale, il titolo di THC della marijuana era decisamente più basso, si aggirava intorno al 2%; adesso è, in molti casi, anche 10 volte più elevato. Ad esempio, una varietà di marijuana ad alto titolo è la Skunk (puzzola), così chiamata per il forte odore che le conferisce l’elevata concentrazione di THC in essa contenuta.
(infiorescenza di skunk con incrostazioni di resina)
Studi di neurobiologia hanno dimostrato che il principio attivo della cannabis, il THC, agisce su recettori localizzati in aree specifiche del nostro cervello e in particolare nella sua parte più anteriore e più recente dal punto di vista filogenetico, il proencefalo, di cui fa parte la corteccia cerebrale e i gangli della base. Curiosamente i recettori al THC sono poco rappresentati nel tronco cerebrale e nel midollo spinale, centri che governano funzioni semplici ma essenziali come la respirazione o la pressione sanguigna, mentre sono molto rappresentati in aree cerebrali più recenti, che svolgono funzioni cognitive e funzioni motorie complesse.
– Ci sono, però, anche degli aspetti terapeutici della cannabis e della marijuana. Quali sono e come sono utilizzati in Italia?
– Sono due gli aspetti che vanno distinti chiaramente. La marijuana, nonostante venga commercializzata per uso terapeutico in alcuni stati USA, non è utilizzabile come medicinale perché il suo indice terapeutico (il rapporto tra gli effetti terapeutici e quelli avversi) è troppo basso: alle dosi soglia necessarie per produrre un effetto terapeutico la marijuana produce tali effetti centrali di natura dissociativa e dispercettiva (effetti psicotomimetici) da escludere la possibilità di una sua utilità terapeutica. Perciò, dal punto di vista terapeutico, la marijuana non è equivalente alla cannabis. Esistono infatti preparazioni di cannabis a basso titolo di THC che hanno interesse terapeutico. Queste preparazioni hanno un alto titolo di cannabidiolo (CBD) ed essendo praticamente prive di THC, non hanno effetti psicotomimetici. Si può sostenere che, a certe concentrazioni, Il cannabidiolo ha una serie di effetti che sono opposti a quelli del THC e per questo motivo, se somministrato nel giusto rapporto assieme al THC, si comporta come antagonista fisiologico, riducendo gli effetti psicotomimetici del THC.
Molti pensano che la marijuana che si fumava un tempo fosse meno attiva nel produrre effetti psicotomimetici perché aveva un’alta percentuale di CBD. Questo però non è vero. Infatti, le concentrazioni di CBD necessarie per antagonizzare gli effetti del THC sono molto più alte di quelle che si ritrovano nella marijuana. Le quantità di CBD necessarie per antagonizzare gli effetti del THC sono circa 60 volte superiori a quelle di THC. Nella marijuana, invece, anche in quella che si fumava negli anni ’70, il THC è almeno 10 volte il CBD. Questo significa che il contributo del CBD nel limitare gli effetti psicotomimetici della marijuana è praticamente nullo.
– Quindi come possiamo orientarci?
– Semplificando, la Marijuana è priva di un reale significato terapeutico. Il fatto che in alcuni Stati USA la marijuana sia stata commercializzata come terapia è pura mistificazione, dato che il suo reale uso è di natura ricreazionale. Solo in una percentuale che non supera il 3% , la cosiddetta Medical Marijuana svolge una funzione che può considerarsi terapeutica in quanto di natura compassionevole, e cioè quando viene somministrata a soggetti in condizioni terminali per tumori o anoressia o affetti da dolori cronici insopportabili.
Ci sono evidenze scientifiche che dimostrano come il cannabidiolo rispetto al THC, abbia degli effetti antipsicotici ed antiepilettici, soprattutto in determinati tipi di epilessia; vi è un tipo di epilessia resistente ai comuni antiepilettici e che colpisce i bambini, nella quale il CBD è efficace.
– Negli ultimi anni, vi sono stati cambiamenti nei consumi di queste sostanze, con conseguenti effetti sulla salute di chi le consuma. Quali sono i danni sul sistema nervoso e sulla psiche del soggetto che le utilizza?
– Negli Stati Uniti, con la legalizzazione della marijuana, sono stati confezionati una serie di prodotti a base di marijuana, come i dolcetti (biscotti, torte, caramelle), che, essendo ricchi di THC, possono dare gravi intossicazioni non solo negli adulti ma soprattutto nei bambini. Infatti, il THC, ingerito per via orale, ha una durata nell’organismo di molte ore. Con il fumo si introducono quantità minori di THC, ma più efficaci, perché immediatamente introdotte nel sangue attraverso l’enorme superficie polmonare, con effetti di durata limitata. Se invece il THC viene ingerito, gli effetti insorgono molto lentamente (1-2 ore) ma durano molto a lungo, anche per qualche giorno. Spesso capita che non ottenendo l’effetto desiderato, queste persone continuino ad ingerire questi dolci, con un aumento delle quantità, fino a stati allucinatori che possono durare anche giorni. In questi casi è necessario somministrare i farmaci (antipsicotici) usati per il trattamento della schizofrenia.
(estratto di marijuana con butano)
Il secondo aspetto riguarda il vaping, ossia la vaporizzazione che si fa con estratti di marijuana che si ottengono estraendo il THC con il butano liquido, che è estremamente volatile, per cui, una volta che il THC viene estratto, è possibile eliminare il butano velocemente anche a temperatura ambiente. In questa maniera si ottengono delle preparazioni in cui il THC può addirittura arrivare a concertazioni del 90%. I consumatori mettono nelle sigarette elettroniche questo estratto di cannabis che assomiglia allo zucchero caramellato e che produce sia effetti psicotomimetici molto pronunciati che lesioni polmonari. Negli Stati Uniti, infatti, si è osservato che il vaping sia alla base di una serie di casi di fibrosi polmonare, eventualmente fatale.
– Quali sono gli effetti nel tempo di queste modalità di utilizzo?
– Gli effetti che si possono creare nel tempo, utilizzando queste sostanze, variano anche in base alle quantità di principio attivo. Ad esempio, l’uso di BHE (estratti di Hashish con il butano), ha effetti psicotomimetici. Un gruppo del King’s College di Londra ha dimostrato che l’ingestione di 10 mg di THC, produce effetti acuti di natura psicotica. Per quanto riguarda gli effetti cronici, vi sono due elementi da considerare: il titolo delle preparazioni e l’età alla quale si consumano, oltre alla durata del consumo. È stato fatto uno studio longitudinale in Nuova Zelanda, in cui sono stati osservati i comportamenti di un gruppo di ragazzi dall’età di 14-15 anni fino all’età adulta. Da questo studio è emerso che i ragazzi che consumavano cannabis, dall’età di 13-16 anni per cinque giorni la settimana e per quattro anni, mostravano una notevole riduzione delle capacità cognitive (attenzione, memoria a breve termine, capacità di pensiero riflessivo).
I soggetti avevano inizialmente valori normali di quoziente intellettivo (IQ) che si andava poi riducendo nell’età adolescenziale e risultava ridotto nell’età adulta; al contrario, quelli che assumevano saltuariamente la sostanza o che avevano iniziato da adulti, mantenevano le capacità intellettive nei limiti della norma.
Dall’analisi di questi studi, mi preme evidenziare come via sia una fascia di età, soprattutto l’adolescenza, estremamente a rischio. Un’età in cui l’uso di cannabis giornaliero e continuativo, per alcuni anni, produce una riduzione delle capacità cognitive che è irreversibile.
– Ci sono anche relazioni con le psicosi?
– Ci sono una serie di studi epidemiologici che indicano che il consumo di cannabis è associato ad una insorgenza di un primo episodio psicotico. Recentemente, la Prof.ssa Marta di Forti, sempre del King’s College, ha analizzato il comportamento dell’uso di sostanze in varie città europee. Da esso emerge che i soggetti che consumavano giornalmente cannabis ad alto titolo di THC, quindi superiore al 10%, manifestavano un primo episodio psicotico. L’altra evidenza che emerge, è che, nelle città dove la cannabis ha una diffusione maggiore (Amsterdam, Parigi, Londra, Madrid, Milano, Palermo, Barcellona) l’uso giornaliero di marijuana ad alto titolo è associato a psicosi.
In questo lavoro si è prodotta per la prima volta la dimostrazione che la cannabis è un fattore di rischio di psicosi e quindi che un aumento del consumo di cannabis può determinare un aumento della prevalenza della schizofrenia.
Se si vanno a studiare le città dove è maggiore il consumo di cannabis si vede chiaramente che l’uso di cannabis è associato ad un aumento di casi di schizofrenia (ad esempio, il consumo di marijuana rende conto del 50% dell’incidenza di psicosi-schizofrenia ad Amsterdam).
– Oggi si parla molto di cannabis light, di estratti, olii, essenze e di generi alimentari a base di marijuana. Possono rivelarsi fattori di rischio e di dipendenza?
– Sì, come detto sopra, vi sono ad oggi diversi preparati che troviamo in commercio. La marijuana, la cosiddetta droga leggera che si usava un tempo, non esiste più. I derivati e gli analoghi del THC, i cosiddetti cannabinoidi sintetici sono inizialmente legali, perché sono stati prodotti da aziende farmaceutiche e da chimici per studiare la relazione struttura-attività, la conformazione dei recettori e per capire quali sono i determinanti molecolari che li rendono più potenti, oppure che ne caratterizzano la specificità. Molti di questi composti sono stati prodotti dalle aziende farmaceutiche proprio per farne dei farmaci. Ma, a dimostrazione che la stimolazione dei recettori al THC non è utile a fini terapeutici, nessuno di questi composti ha avuto un utilizzo pratico. Il brevetto per questi analoghi è scaduto e quindi sono stati sintetizzati da ditte cinesi ed indiane. Si tratta di composti potenti e dannosi soprattutto per i giovani che si avvicinano per la prima volta alle sostanze, poiché facilmente reperibili a costi bassi su internet.
– Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ritenuto sostanzialmente non punibile la coltivazione domestica, in piccole quantità, di cannabis se destinata in via esclusiva all’uso personale. Potrebbe, questa sentenza rivelarsi un primo passo verso la legalizzazione della produzione, del commercio e della distribuzione?
– Occorre dire che vi sono due recenti sentenze della Cassazione.
Una prima sentenza, inerente la coltivazione, in cui la Cassazione ha stabilito una serie di disposizioni purtroppo, a mio avviso, difficilmente controllabili. La cannabis dovrebbe essere cannabis originaria, non derivata da varietà ingegnerizzate da un punto di vista genetico . Purtroppo, stabilire di che ceppo genetico è una pianta comporta un’analisi genetica piuttosto costosa.
La seconda sentenza della Corte di Cassazione dice, sostanzialmente, che la cannabis light può essere venduta a patto che non abbia effetti droganti. Per stabilire se la cannabis non abbia effetti droganti questa deve essere testata in soggetti umani. Questa sentenza, non fornendo indicazioni precise, non sia attuabile in concreto. L’unica preparazione di cannabis che non ha effetti droganti, è quella che ha zero THC.
– Si parla spesso di prevenire l’uso e di educare, soprattutto i giovani, sui rischi derivanti dall’utilizzo di sostanze, spesso considerate innocue. Quali proposte concrete si possono avanzare in questo campo che vede calare vertiginosamente l’età dei consumatori?
– Si può sostenere che esista chiaramente una sensibilità individuale. Il fatto che la cannabis sia molto diffusa, ha prodotto un aumento del numero di persone che ne hanno subito i danni o ne sono diventati dipendenti. I danni da cannabis sono legati alla dipendenza perché, se un soggetto la consuma giornalmente e per un tempo lungo, tende a diventare dipendente. Infatti, nelle dipendenze da sostanze, che siano da alcool, cannabis, eroina, cocaina, eccetera (ad esclusione degli oppioidi che sviluppano autonomamente una grossa dipendenza), vi è un fattore di rischio di natura genetica.
Se da un punto di vista sociale e sanitario vogliamo fare qualcosa, dovremmo monitorare i ragazzi e stabilire quelli che ne fanno un uso continuativo ad alte dosi. Sono questi soggetti che, essendo sensibili agli effetti di dipendenza, diventeranno i candidati agli effetti a lungo termine. Se vogliamo fare prevenzione, dobbiamo monitorare soprattutto i giovani in età scolare, più propensi a consumare marijuana, più vulnerabili per la delicatezza del sistema nervoso non ancora formato e più esposti per l’età. Ed è in quella fase che possiamo individuare quelli più a rischio.
– Se stiamo alle recenti, tragiche, cronache, l’interazione tra droga e alcool è tra i fattori che spesso determina gravi incidenti stradali. Cosa accade, al nostro corpo, quando si sommano e si combinano gli effetti di questi prodotti?
– Il concetto è questo: alcool e marijuana hanno entrambi degli effetti negativi soprattutto sulla guida. La cosa importante da evidenziare è che, agendo su meccanismi differenti, quando vengono assunti insieme (che per i ragazzi è la norma), hanno effetti più disabilitanti.
Nella guida si utilizzano due diverse modalità a seconda che si tratti di un principiante o di una persona esperta. La marijuana agisce negativamente sulla modalità automatica del comportamento, quindi anche la persona più esperta si comporta come principiante. Ad esempio: deve pensare prima di cambiare marcia; ciò che era prima un atto automatico ora non lo è. Con l’alcool invece perdiamo la capacità residua. L’associazione cannabis-alcool ha quindi un effetto doppiamente distruttivo sulla guida, proprio perché agisce su due differenti modalità d’azione.