EXAGERE RIVISTA - Maggio - Giugno 2024, n. 5-6 anno IX - ISSN 2531-7334

L’adolescenza è come un cactus molto fragile. Intervista a Tiziana Iaquinta

di Federica Biolzi

La pandemia ha messo in discussione modelli educativi che già sembravano mostrare, da tempo, i propri limiti, in primis quelli legati alla genitorialità. L’educazione ci è apparsa in tutta la sua fragilità. E gli adolescenti? Come stanno rispondendo a questa nuova sfida? Tiziana Iaquinta, autrice di Unlocked. Genitori ed educatori durante e dopo la pandemia (Edizioni Il Mulino), ci aiuta a confrontarci con una realtà della quale tanto si dice ma che spesso, nei fatti, resta ai margini.

Professoressa, con quale scenario ci troviamo a fare i conti?

-Più che di fragilità dell’educazione si tratta dell’evidenza di una crisi dell’educativo in atto da tempo e che riguarda diversi aspetti: genitorialità, famiglia, scuola, società e, per alcuni versi, la fiducia stessa nell’educabilità della persona umana. La parola crisi però presenta non solo un elemento interrogante ma anche una dimensione evolutiva, e poiché l’educazione è impegno nel presente, costruzione, fiducia nelle possibilità realizzative dell’umano, orientamento e direzione rivolte al futuro, si connota intrisa di speranza che è quello che serve, più di ogni altra cosa, in questo momento storico.

Diversi i motivi della crisi dell’educazione, tra essi il più temibile e insidioso e di certo l’«idea sciagurata» di poter fare a meno dell’educazione,  diminuita com’è la fiducia nelle sue pratiche, nelle figure di riferimento (genitori, insegnanti, educatori) le quali vivono in molti casi una crisi di ruolo. I genitori sopraffatti dai tanti impegni del quotidiano, si mostrano spesso poco attenti ai bisogni autentici dei figli o non riescono a riconoscerli, spesso poco incisivi mancano di responsabilità educativa.

Dall’altra parte, gli insegnanti, soffrono lo svuotamento di significato del loro ruolo da parte sia delle famiglie che della società, alla scuola si continua ad attribuire importanza più a parole che nei fatti, mentre combattono la «battaglia quotidiana» dell’ educazione di cui troppe volte sembrano necessitare proprio i genitori.

Tutto questo nel tempo cosiddetto della complessità che adesso è anche quello della pandemia, in cui educatori e educandi agiscono e si relazionano sedotti sempre più dal Web, a cui forse molti genitori desidererebbero o immaginano già di poter attribuire funzione educativa e dalle ipersofisticate tecnologie di comunicazione che rendono il rapporto tra genitori e figli sul piano della comunicazione, in apparenza più fluido, ma nella realtà rattrappito e mutilo. Certo educare è da sempre un compito complesso e impegnativo, e oggi lo è diventato ancora di più, inutile negarlo, ma è pur sempre la cosa più naturale del mondo. «L’educazione esisteva ancor prima che gli uomini costruissero i ponti».

La pandemia più che aggravare la crisi, dunque, l’ha resa evidente, poiché ha mostrato alcune criticità presenti nel rapporto adulto-adolescente, rendendo vano, ad esempio, lo sforzo di tanti genitori nel cercare di mantenere con i figli un rapporto sempre pacificato, tale fatto impedisce  però quella naturale contrapposizione generazionale che è atto emancipatorio determinante per la crescita. Le misure restrittive della libertà, il malessere che ha determinato, le tensioni per la paura del contagio alla fine del lockdown con il ritorno alla socialità in presenza, sono state occasioni di conflitto e di scontro tra genitori e figli. Le raccomandazioni dei genitori, l’insofferenza ma anche i timori degli adolescenti, hanno fatto da innesco.

Il rischio che potrebbe profilarsi adesso, in un tempo che non è ancora possibile definire di post pandemia,  in ragione delle  limitazioni a cui gli adolescenti sono stati sottoposti in un’età che è di massima espansione vitalistica, e anche per la convinzione che abbiamo maturato di aver subito un «furto di vita», è quello di vedere genitori, e su diverso piano  gli insegnanti, ancora più arrendevoli e accondiscendenti  nei confronti delle richieste, spesso esagerate, degli adolescenti e pertanto di essere ancora meno incidenti, per così dire «neutri», sul piano educativo. Un atto  compensatorio o di riparazione che potrebbe trasformare il rapporto da intergenerazionale a generazionale, un rapporto tra pari, che è una tendenza già presente.

– Nel suo saggio lei cita una definizione della scrittrice Anaïs Nin, e che ci porta ad una più profonda riflessione: “L’adolescenza è come un cactus”. Età bellissima e spinosa, piena di vita ma anche di disperazione, incertezza, insidie. È davvero così? Perché?

-La frase di Anaïs Nin richiama suggestivamente alla mente la contraddittoria bellezza delle piante succulente a cui l’adolescenza è paragonata. Chi ha avuto modo di osservare da vicino un cactus ne ha di certo notato l’essenzialità geometrica delle linee e la bellezza singolare. Il tessuto vegetale che invita la mano a sfiorarlo, gesto inibito però dalle foglie ricoperte da spine pungenti. Il fiore, seppure di vita breve (pochi giorni o in alcuni casi solo una notte), stupisce per la delicatezza o la vivacità dei colori oltre che per le dimensioni. A volte perfino più grande dell’intera pianta.

Anaïs Nin descrive così l’adolescenza. Età bella e controversa, turgida di apparenti sicurezze, verdeggiante di possibilità di vita e di fiducia a volte smisurata nelle proprie capacità. Spinosa per le tempeste emotive e la «disperazione» di certi momenti, per la percezione dei limiti, per gli innamoramenti irrazionali, per l’odio cieco, per l’opposizione al mondo degli adulti. L’adolescenza prende forma attraverso vicende molteplici che interessano un periodo di vita breve e lunghissimo allo stesso tempo, in cui si mescolano eccessi, grandi idealismi, tristezze infinite, rabbia distruttrice e creatrice, addii, nuovi inizi, rinnovati addii.

Gli attuali adolescenti, pur presentando caratteri comuni agli adolescenti di ogni tempo, mostrano tratti differenti. Le tecnologie hanno contribuito non poco alle differenze. L’adolescenza attuale può essere declinata in tanti modi e guardata da prospettive diverse: psicologica, socio-antropologica, culturale, pedagogico-educativa. Da qualunque angolo visuale la si guardi, però, si rende comunque evidente una contraddizione tra quanto la ricerca scientificamente supportata ha acquisito negli anni e le pieghe della quotidianità in cui gli adolescenti si muovono e prendono forma. Se un tempo l’interesse degli studiosi di questa età della vita era rivolto a una fase dalle caratteristiche precise, oggi si guarda alla complessa fenomenologia adolescenziale nelle sue molteplici forme e colta nel passaggio dall’infanzia all’età giovanile. Ritengo comunque che esistono tratti e aspetti dell’adolescente che neppure lo sguardo più attento di studiosi e adulti riuscirà mai pienamente a cogliere.

Una indecifrabilità, un che di inconoscibile che può essere colto solo da chi vive questa età e non dagli adulti che si sforzano di leggerla e interpretarla avendo in mente la propria.

– La pandemia ha sollevato e amplificato una serie di problemi che, diciamolo, si erano tenuti nascosti come si fa con la polvere sotto il tappeto. Tra gli altri quello delle norme, del loro rispetto. I DPCM e le ferree regole da seguire ci hanno spiazzati e gli adolescenti si sono trovati di fronte a regole di comportamento che entravano, per la prima volta, nel loro privato. Cosa hanno significato questi “no”?

-Quella delle regole è da sempre una questione delicata. La capacità di fissare delle regole e di farle rispettare, di dire «sì» quando va bene, ma sapendo dire «no» quando necessario, continua a essere un tema molto sentito dai genitori. In altra veste tale questione si è riproposta nella pandemia. Mi riferisco all’osservanza delle misure di contenimento adottate dal governo e contenute nei vari decreti ministeriali (i famigerati Dcpm) che hanno scandito il tempo nei mesi più critici della pandemia e che spesso sono state inosservate sia dagli adulti che dagli adolescenti. Il lockdown ha rappresentato un «gigantesco no», quello che gli adulti di riferimento non riescono a dire anche se di proporzioni di gran lunga ridotte. Se la «sfida alle regole», mi riferisco alle misure di contenimento del virus, può essere letta in tanti modi, dal punto di vista dell’educazione desta sorpresa soprattutto l’atteggiamento ed il comportamento di certi adulti, che di fronte alla perdita di tante vite umane, alla crescita esponenziale del numero dei contagi da Covid 19, non sono riusciti ad essere esempio per gli adolescenti. Educare non consiste in una serie di dettami, precetti, norme imposti dall’educatore, sia esso genitore o insegnante, e nella cui osservanza da parte dell’educando risiede il fine unico dell’educazione, la soluzione o il modo per mettersi al riparo dalle crisi, di compiacere ed essere accettati e benvoluti dalla collettività.

L’educazione è un processo molto più complesso, globale e dinamico, in cui hanno parte anche le regole, mai fini a sé stesse, importanti per la crescita complessiva del soggetto, per la convivenza sociale, per sentirsi e fare parte, consapevolmente, della comunità di appartenenza.

Non regole come punizione ma come atto di negoziazione che apre alla vita adulta. La domanda che mi sono posta nel libro è la seguente:

“Che cosa avranno pensato gli adolescenti dinanzi ai comportamenti di certi adulti? “

– Si citava prima la fragilità. Il Covid-19 ci ha posto di fronte ad un tema che coglie una delle caratteristiche della nostra esistenza. Le chiedo: cosa si deve intendere per fragilità? Come questa precarietà morde il v vissuto adolescenziale?

-La fragilità è la connotazione ontologica dell’essere umano senza la quale non è possibile ammettere alcun processo di autenticazione e di umanizzazione. Veniamo al mondo fragili e manteniamo questa caratteristica per tutto il corso della vita. Essa è dunque tratto connotativo della natura umana. E che siamo fragili, ma anche vulnerabili, ce lo ha dimostrato in modo inequivocabile il Covid-19. Nella pandemia abbiamo fatto esperienza non solo delle limitazioni delle libertà personali ma dei limiti che appartengono alla condizione umana. Ed è proprio della condizione umana che oggi non si tiene conto. La fragilità è nascosta e la precarietà occultata. Un virus microscopico ha fatto crollare, in un attimo, il mito dell’uomo «padrone e possessore della Natura» e ha mostrato al mondo la fragilità che caratterizza ciò che è umano. La fragilità è in noi e se ci rende soggetti a «spezzamento fisico ed emotivo», ad «andare in frantumi» di fronte agli aventi e agli accadimenti della vita, è però anche una caratteristica preziosa, in grado di elevare l’uomo al di sopra del contingente e della materialità; a renderlo capace di raggiungere l’Altro, fragile come noi, e di essere raggiunto, e permette di scorgere la delicatezza, la luminosità, la bellezza della vita. 

Gli adolescenti oggi sono per certi aspetti più fragili che in passato, ma non sanno cos’è la fragilità, immersi in un tempo e in una società che guarda solo al successo, che è centrata sulla performance e sui virtuosismi tecnici e che non apprezza le caratteristiche di un’umanità che può anche sbagliare o fallire. Non esiste ancora un’adeguata educazione alle emozioni e ai sentimenti per le giovani generazioni e così della fragilità come aspetto caratterizzante l’uman si tace.

Oggi ci troviamo di fronte a nuove problematiche che non avremmo mai immaginato di affrontare, che ci hanno colti all’improvviso e impreparati, una situazione che potrebbe durare e trasformarsi in una convivenza con il virus. Ma noi, quale risposta possiamo dare e quali gli strumenti, soprattutto dal punto di vista motivazionale, possono avere gli adolescenti?

-Non esistono risposte e soluzioni pronto uso, non è questo il fine e il senso dell’educazione. Nel capitolo conclusivo di Unlocked mi soffermo però su alcune direzioni verso cui l’educazione a mio parere dovrebbe incamminarsi dopo l’esperienza della pandemia. Mi riferisco ad aspetti quali il dolore, la sofferenza, ma anche l’imprevedibile e il provvisorio, come processo di coscientizzazione della condizione umana, dell’essenza fragile e del valore dell’esistenza umana. Insieme a questi aspetti bisogna recuperare la speranza, come «processo di futurizzazione», educare alla gioia, che è dimensione scomparsa dall’orizzonte di vita del soggetto, e ripensare al nostro modo di vivere la relazione con gli altri, ritornando a dare valore soprattutto alla relazione educativa.


Tiziana Iaquinta

Unlocked. Genitori ed educatori durante e dopo la pandemia

Il Mulino, 2022

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