EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2025, n. 1-2 anno X - ISSN 2531-7334

L’adolescenza non è l’eta dell’oro. Non lo è mai stata. Intervista a Loredana Cirillo.

di Federica Biolzi

Amati e fragili. Gli adolescenti sembrano essere allo stesso tempo curati, seguiti, ma anche estremamente fragili. Pronti a fare, del proprio Sé, l’obiettivo di una vita che appare da subito precaria e piena di parole e oggetti che non riescono a colmare vuoti, di emozioni che non riescono ad affiorare ed esprimersi. La sofferenza degli adolescenti è il nuovo interessante lavoro di Loredana Cirillo. Soffrire di adolescenza (2024 Cortina Editore) mette in luce un mondo a noi vicinissimo ma spesso incomprensibile, fatto di giovani alla continua ricerca di autenticità.

-Un titolo, quello del suo libro, che sembra dare una dimensione ed un volto alla condizione adolescenziale. L’adolescenza, da sempre mitizzata come periodo di gioia e spensieratezza, è invece un’età in cui si soffre. Perché?

-Io sono una psicoterapeuta dell’età evolutiva, mi occupo in particolar modo di adolescenti che soffrono e che hanno bisogno di uno spazio di ascolto, di riflessione. Seguo anche adulti e genitori dei ragazzi, spesso, se si arriva da noi, è perché c’è quantomeno una perplessità, su quello che sta avvenendo. 

La narrazione che vede l’adolescente e l’adolescenza come un’età della vita, un’età dell’oro, è una narrazione che a volte fa i conti con le nostre dimenticanze, perché da adulti la nostra mente può produrre falsi ricordi, idealizzare quell’epoca della vita, a fronte delle difficoltà, degli affanni, delle fatiche che incontriamo nelle fasi successive della vita. Ma, se riusciamo ad entrare in contatto più autentico con noi stessi e cerchiamo di scavare nella memoria, spesso riaffiora ciò che l’adolescenza è stata realmente, un’età di grandi incertezze. Un periodo di trasformazioni legate al corpo, all’impatto che il proprio sé ha nella società, nella relazione con i coetanei, con la scuola, con i genitori e che in fondo non sono semplici da affrontare. 

-Quindi cosa è in realtà?

L’ adolescenza è una fase in cui fisiologicamente avviene una crisi, una transizione, una trasformazione, che spesso si accompagna a quote di dolore legate anche alla perdita dell’illusione dell’infanzia e dell’onnipotenza infantile. In questa fase della vita, si perde la magia e il sogno di quel tempo, si entra in contatto con la disillusione, si mettono in discussione gli adulti o, quanto meno, sarebbe importante riuscire a farlo.  

Scrivere di questa sofferenza, è stata per me una restituzione. Faccio questo lavoro da vent’anni ed ho ascoltato tante storie, storie complesse, di dolore, ma anche storie di vita ricchissime. Poterle ascoltare è stato come ricevere un dono. Spesso le persone mi raccontano spudoratamente e dolorosamente di sé ed è come se mi facessero il dono di riservarmi quella che è la parte più autentica e preziosa della loro vita e di quello che stanno attraversando. Per me scrivere questo libro è stato anche un tentativo di restituire quello che, soprattutto negli ultimi anni, ho osservato, forte anche della necessità di mettere nero su bianco i cambiamenti e le trasformazioni. Negli ultimi due capitoli, racconto alcune storie, con l’obiettivo di narrare, di creare una sorta di romanzo della vita di adolescenti, di madri e padri, che si intrecciano con storie mitologiche. Le prime due parti del libro provano a descrivere e analizzare i cambiamenti in corso, perché, nonostante la sofferenza adolescenziale sia un aspetto psicologico invariante, cambia il modo in cui si soffre, anche in relazione alla società ed ai cambiamenti sociali e culturali che caratterizzano il tempo in cui si è al mondo.

-Immagino che l’adolescente di oggi sia mutato rispetto ai suoi predecessori?

-L’adolescente, nato e cresciuto nell’epoca di Freud, viveva in una società sessuofobica, e non è un caso che Freud abbia dato enorme spazio alla sessualità nella costruzione del suo paradigma teorico. Oggi viviamo un’epoca diversa, i ragazzi non hanno in mente la sessualità come divieto, al contrario osserviamo una recessione sessuale. I ragazzi hanno meno interesse per questo ambito, e sviluppano intorno a questo tema conflitti diversi. Siamo circondati dai rimandi sessuali, se ne parla nei videoclip, nei testi musicali, spesso è diventato un argomento del quale non si ha vergogna a parlarne nemmeno con i genitori. Il conflitto sul sesso riguarda la fatica a relazionarsi con l’altro, la fatica di entrare in contatto con corpo reale proprio e dell’altro, nella sua autenticità cioè con i suoi difetti. Per questo il corpo può diventare un vessillo da esibire o al contrario un persecutore, qualcosa da nascondere, da attaccare duramente. Spesso i ragazzi fanno più sexting e meno sesso (vengono postate foto, parti di sé e del proprio corpo, accuratamente selezionate, più per eccitare la mente dell’altro, stare nei suoi pensieri, che per favorire un incontro vero e reale). Il tema del corpo, il tema dello schermo dentro il quale ora viviamo come un aspetto anche fisiologico della nostra contemporaneità hanno cambiato l’asse di importanza dello scambio sessuale. A ciò si è aggiunta la scienza con le sue scoperte, che ci hanno consentito di procreare, senza che vi sia l’accoppiamento. Oggi una donna ha in sé l’idea che nascere e crescere femmina significa anche poter immaginare di avere un figlio da sola. Questo non può non influenzare, non avere una ricaduta anche sulla sessualità … “perché mischiare il mio corpo ed i miei fluidi con l’altro…dove neanche la sopravvivenza della specie te lo richiede? ”..

-Un campanello d’allarme riguarda anche la funzione dei genitori. In un punto lei ci dice una cosa che ha particolarmente colpito la nostra attenzione: oggi, il sogno della genitorialità, non è quello di avere un figlio bravo, che eccelle in particolari campi, ma di avere un figlio devoto, dal quale ricevere affetto incondizionato, da collocare nel mondo, in modo da poter procedere, indisturbati, alla propria (riferendosi ai genitori) affermazione personale. Cosa sta accadendo?

-Oggi gli adolescenti soffrono perché sperimentano un senso di vuoto identitario. Quello che lamentano, soprattutto nel momento della crisi, è legato al fatto di non sapere proprio niente di sé, non avere desideri, ambizioni. Talvolta l’autolesionismo ha proprio la funzione di sentire almeno qualcosa, per non crollare nel baratro, nel vuoto. Anche Marracash, tra l’altro, nel testo di un suo recente brano dice: “Chi fa i reati dopo scuola, per essere almeno qualcosa”

Il ricorso all’ agito delinquenziale può rappresentare uno dei tanti modi per reagire al vuoto identitario, alla disconnessione emotiva.  Questo è il tema centrale del mio libro: come si arriva a sperimentare il vuoto identitario e come si può uscirne. 

– In cosa consiste questo svuotamento?

-Fino a pochi anni fa, la prevalenza della sofferenza adolescenziale era legata ad un crollo di aspettative ideali, al dover realizzare un grande piano e sentire di non essere all’altezza, dover essere i primi della classe, bravissimi sportivi. Di fronte al fallimento e alla frustrazione, la vergogna insostenibile era alla base del dolore mentale. Oggi non è che questi aspetti siano scomparsi, ma sono dimensioni meno incisive rispetto al passato. L’ aspettativa dei genitori non è tanto quella di mettere al mondo un figlio capace di realizzare il proprio sogno mancato. Il sogno della genitorialita’ è quello di ricevere affetto e riconoscimento incondizionato dai figli. Però per svolgere questa funzione il figlio non deve aver troppi problemi, non può incontrare il dolore, la tristezza, la rabbia, tutta quella gamma di emozioni negative che possono ostacolare il suo ruolo.. E se il figlio ha delle difficoltà, delle vulnerabilità, spesso come genitori, attribuiamo la causa di questo malessere, all’esterno… deresponsabillizando il nostro ruolo. I grandi colpevoli per eccellenza oggi sono Internet, i social network, il cellulare. 

-Accennava prima al corpo….al quale ha dedicato un intero capitolo del suo libro. Il corpo degli adolescenti da esporre, da mettere in vetrina, possibilmente attraverso i social. Un corpo da curare all’eccesso, da istoriare attraverso tatuaggi, da modificare con piccoli o grandi interventi di chirurgia plastica.  La cosa ci farebbe pensare alla progressiva costruzione di un esoscheletro rispetta ad una evidente fragilità interna. E’proprio così?

-Questa ricerca dell’esoscheletro, questa attenzione all’aspetto parziale, a partire dalle unghie, il ricorso alla chirurgia plastica, non arrivano certamente dai ragazzi, ma derivano da un modello che viene promosso dal mondo adulto e al quale gli adolescenti si ispirano.  Ovviamente gli adolescenti sono per natura da sempre coloro che hanno bisogno di modelli di identificazione, per costruire il proprio sé e la propria identità. Quindi quello che noi stiamo mostrando è che l’importanza dell’artifizio, va a volte, a discapito del contenuto. La perdita della funzione riflessiva e il predominio dell’azione sul pensiero, del dominio della bellezza non autentica, ritoccata, artefatta, è un principio promosso dal mondo adulto. Penso che siamo di fronte a una radicalizzazione del narcisismo. Oramai, siamo andati oltre, nel libro lo chiamo epoca della dissociazione. Oggi il corpo è sicuramente il baluardo della difficoltà di stare in contatto con l’altro. L’aver dimenticato come il dolore, il sentimento di tristezza e di rabbia siano i principi fondanti la nostra identità e la nostra gamma emotiva, implica la ricerca sempre più pervasiva di maschere. Il ricorso al rigonfiamento delle forme, per esempio, dà proprio l’idea di un bisogno di galleggiare nel mondo e di tenere l’altro a distanza, come un salvagente, che da un lato ci tiene a galla e dall’altro mette barriera tra sé e l’altro. Lo osserviamo anche nella relazione che i ragazzi oggi hanno con i pari. Mentre in passato avere il migliore amico o la migliore amica era fondamentale per condividere i segreti, qualcosa da non dire ai genitori, oggi i ragazzi ci dicono spesso di far fatica anche in questo. Se io dico a un amico, a un’amica che non sto bene, che ho difficoltà, ho paura di essere pesante e quindi di sentirmi lasciato in disparte. Oggi è difficile fondare il legame sul farsi carico, anche solo in minima parte, della fragilità dell’altro.

-Rispetto al corpo ed alla sua perfezione, quali significati possiamo attribuire ai comportamenti disfunzionali ed autolesionistici a cui i giovani adolescenti spesso ricorrono?

-. L’autolesionismo si collega a diversi significati, i più frequenti riguardano la impossibilità della mente adolescente di contenere quote di dolore e di fatica nello stare al mondo, essi sono troppo consistenti e il farsi male, provare il male di un taglio, di una bruciatura, è come se distraesse da pensieri che sono troppo ingombranti, troppo difficili da contenere nella mente. E’ come se spostasse l’asse del dolore, su qualcosa di concreto, come se aiutasse a lenire il dolore mentale ingestibile e indefinibile. Molti ragazzi, inoltre, ci riferiscono   che il tagliarsi ed il farsi del male, paradossalmente avviene per sentire qualcosa, a fronte di un’anestesia generale, come se il dolore del corpo servisse a farti sentire ancora in vita

-Lo stesso vale anche per gli altri tipi di abusi?

-Altri comportamenti disfunzionali, quali l’uso di droghe o alcool, richiamano quello che abbiamo detto a proposito dei tagli e dell’autolesionismo. L’uso delle sostanze da una parte è eccitatorio e dall’altra, sicuramente legato al bisogno di non pensare, al neutralizzarsi.  La mente dell’adolescente, è talmente attanagliata, che l’individuo non sa dove collocarsi e diventa veramente difficile trovare un senso a sé.  Queste sostanze molto spesso vengono impiegate per sciogliere i pensierii problemi, per allentare le proprie barriere difensive, una specie di autocura di aspetti depressivi che non trovano spazio di riflessione, non riescono a essere portati e accolti nelle relazioni e che vengono dissolti nelle sostanze. Oggi quello che spaventa e che disorienta non è tanto il tema della perfezione, ma è prevalentemente il tema del vuoto, il vivere in una grande confusione, il caos mentale, il non avere un obiettivo, il non sapere che scuola o che università fare, non sapere che lavoro fare…e’ la mancanza di prospettive che hanno oggi i ragazzi sul senso di sé nel futuro, ma che necessitano di un cambio di passo: non c’è dimensione peggiore, per i giovani, nel lungo termine, che non sentire di avere un futuro.

-Se le cose stanno così, viene spontaneo chiedersi quali strumenti ha, soprattutto in campo di metodologia e di pratiche, lo psicoterapeuta di fronte a queste nuove esigenze?

-E’ fondamentale offrire uno spazio in cui l’adolescente senta accolte le proprie istanze, dove trovino forma i suoi pensieri, e le sue emozioni più autentiche, in cui trovare un sostegno alla realizzazione dei compiti di sviluppo fase specifici.

In questo senso, penso che rispetto al ruolo dello psicoterapeuta, vi sia una condizione imprescindibile: per fare un buon lavoro di presa in carico degli adolescenti, è necessario seguire in parallelo anche i loro genitori. E’ molto importante riuscire a sostenere i genitori nel creare uno spazio nella propria mente per vedere il figlio per chi è realmente, per capire che cosa sta sperimentando, come si rappresenta il mondo, è solo così che possiamo arrivare ad un cambiamento ed a creare nei nostri ragazzi la speranza.

Incontrando diversi ragazzi, adolescenti, genitori, adulti, mi sento di dire che la speranza nel cambiamento e le linee guida per intraprenderlo, ci vengono offerte direttamente dai ragazzi. E, se noi adulti riusciamo ad essere figure di riferimento, che non trascorrono la loro vita sui social network o nei gruppi di genitori su WhatsApp, essere docenti capaci di ascolto e psicoterapeuti che riescono a sintonizzarsi autenticamente con chi hanno davanti, riuscendone a leggere meglio i comportamenti, avremmo molta speranza di migliorare le nostre relazioni ed il nostro futuro.


Loredana Cirillo

Soffrire di adolescenza

Il dolore muto di una generazione

2024, Raffaello Cortina Editore

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