di Paola Mascolo
Occorre riconciliarsi con il passato? Quello fatto di tutte quelle storie che ci appartengono, che s’ intersecano durante la nostra esistenza? Anna Danielon, nel suo ultimo romanzo, ci conduce in un percorso, a volte semplice a volte arduo, di sentimenti e di luoghi attraverso i tormenti e gli approdi del rapporto tra genitori e figli.
-Un intreccio di quattro storie, come quattro fili colorati si combinano in un ensemble coerente ed intelligente. Una trama nel vero senso della parola. E’ cosi?
-Nel mio precedente romanzo “Una ferita in fondo al cuore”, anticipavo già alcuni temi del nuovo romanzo: i rapporti familiari, il fenomeno dell’emigrazione, la questione sociale. Ma il contesto territoriale era più ristretto, adatto a una storia ambientata negli anni ‘60 e ‘70. In “Insieme era il mondo” lo scenario abbraccia tutto il vecchio continente, sviluppandosi in un arco temporale di quasi quarant’anni. A differenza del libro precedente, dove il protagonista parla in prima persona, e molti dei personaggi sono marginali, in questo romanzo ho provato a seguire quattro storie familiari dando a ciascuna lo stesso peso. Quattro storie diverse che solo in apparenza procedono parallele, ma che in realtà si contaminano fin dall’inizio, all’insaputa del lettore e dei protagonisti.
-Il viaggio, la valorizzazione dei luoghi in un’Europa nota, da Milano a Parigi, Canarie, Galizia, Romania, e meno nota, come il Delta del Danubio. Da ovest a est, un viaggio non solo esistenziale, una migrazione che invita a pensare a problemi e possibilità quali overturism, sostenibilità, migrazione. Questo muoversi sulle orme del destino fa di “Insieme era il mondo” una casa in cui trovare molti spunti dell’attualità, ci evidenzi questi temi?
-Alcuni di questi elementi fanno parte dell’ordito, del telaio sul quale si muovono i protagonisti. Quello che descrivo è lo scenario di un’Europa che con il passare degli anni ci appare sempre più minuscola e fragile dal punto di vista ambientale, politico e sociale. Spostarsi è nella natura umana. C’è chi fugge da condizioni di vita terribili, chi cerca un’altra opportunità, chi ha bisogno di lasciarsi il passato alle spalle. In ogni famiglia che conosciamo possiamo trovare una storia di migrazione, come ho cercato di raccontare. Anche la fragilità del territorio è un tema al quale sono sensibile. Nel libro descrivo alcuni luoghi meravigliosi che ho visitato e altri che non conosco, come il Delta del Danubio. Oggi viaggiare è più economico rispetto al passato. Sempre più persone possono permetterselo. E questo può essere un bene, perché i viaggi sono formativi. Ma c’è l’altra faccia della medaglia. Luoghi sempre più ambiti sono presi d’assalto da speculatori e da masse sproporzionate di turisti. Equilibri millenari vengono sconvolti per sempre. Si dirà che ormai non c’è rimedio, che non si torna indietro. Ma viaggiare è un’altra cosa. È avvicinarsi a luoghi e culture diverse in punta di piedi e con rispetto. Non è facile entrare in quest’ottica nell’era del turismo di massa, ma prima di partire per una nuova destinazione dovremmo almeno documentarci.
-i tuoi personaggi si spostano per diverse ragioni, il comun denominatore è quello della necessità di far fronte a un momento di profonda tristezza e crisi. Quindi, una spinta a cambiare che viene dalla difficoltà, ma poi nello svilupparsi dell’intreccio del romanzo, che è una trasposizione di quello che la vita può portare, si scoprono incontri che migliorano la vita e che danno nuovo corso all’esistenza. Sei più fatalista o determinista?
-Doversi lasciare il passato alle spalle a volte è una necessità. Non sono né fatalista, né determinista. C’è chi dalle esperienze, così come dagli incontri, non impara niente, chi invece riesce a farne tesoro. Le cose possono capitare, non sempre dipendono da noi. Ma di fronte alle avversità siamo chiamati a fare delle scelte. In questo senso credo nel libero arbitrio. Nel romanzo ci sono personaggi di età diverse, e i bambini non hanno certo le stesse responsabilità degli adulti. Credo però che, da adulti, le decisioni che prendiamo possano dipendere anche dai traumi che abbiamo subito. Questo non giustifica i nostri comportamenti, ma lavorare sui traumi è importante e può aiutarci a crescere. È quello che succede ai miei protagonisti.
-I rapporti interpersonali soprattutto quelli parentali, padre-figlio, madre-figli, fratello-sorella, e poi l’amicizia, soprattutto quella tra donne, tu parli di rapporti veri, veraci, autentici, che stridono un po’ con la dimensione interpersonale odierna, certamente meno profonda, più di facciata e fatta di virtualità. I tuoi personaggi vivono in un mondo meno tecnologico o la tecnologia è stata messa tra parentesi apposta per dare spazio ad altro e a cosa?
-È una domanda interessante perché in effetti nel romanzo la tecnologia c’è, ma è solo in funzione del racconto. È uno strumento, non una dipendenza. La usa un ottantenne, che vediamo impegnato in una videochiamata. Noa, che è nativa digitale, usa computer e cellulare. Credo che passarla in secondo piano mi abbia consentito di rendere certe situazioni con maggiore intensità. Descrivere gli incontri (e gli scontri) dei personaggi con dialoghi vis à vis, anziché attraverso un botta e risposta virtuale, mi ha dato l’opportunità di mostrare per intero la scena, di visualizzarla attraverso la fisicità, gli sguardi, le azioni, le reazioni. La scelta di non contaminare la storia con la tecnologia riguarda anche le relazioni a distanza, come succede con la cartolina che a un certo punto arriva a uno dei protagonisti e alla quale fa seguito una lunga lettera scritta a mano. Strumenti d’altri tempi che – per fortuna – non sono ancora spariti. Ecco, in questo caso è proprio il tratto della penna a smuovere le emozioni e i sentimenti.
Anna Danielon
Insieme era il mondo
Eretica 2024