intervista di Federica Biolzi
“E qualunque cosa sia l’identità presuppone comunque una dimora, un luogo dell’Io”,
(L. Dalla Ragione)
Sin dalla nascita, l’individuo risponde a bisogni primari, tra i quali rientra l’alimentazione ed il cibo. Ognuno di noi sceglie ciò che mangia, anche in base a propri gusti personali, abitudini, cultura, tradizione. Il cibo, la sua assunzione, hanno un ruolo essenziale nella nostra vita e nelle nostre relazioni sociali.
Negli ultimi 40 anni si sta assistendo ad una cura del corpo quasi eccessiva ed in alcuni casi ossessiva, i mass-media, i social, ecc. ci trasmettono continuamente immagini di perfezione e di bellezza che ci fanno aspirare ad una felicità che ci appare sempre a portata di mano, ma che nei fatti non esiste. Il corpo, la realtà per eccellenza, sembra allora divenire finzione. Aspirare a questi modelli può significare divenire prigionieri di bugie profonde, con esiti anche drammatici.
In un recente Convegno sui “Disturbi del Comportamento Alimentare: il ruolo della famiglia da imputata a risorsa “, abbiamo avuto modo di incontrare la dott.ssa Laura Dalla Ragione, Psichiatra e psicoterapeuta che ormai da anni si occupa di problematiche inerenti i disturbi alimentari. Le abbiamo rivolto alcune domande per cercare di capire meglio alcune dinamiche che possono influire sul modo di pensare di alcune persone, spesso “molto vulnerabili”.
– Nei suoi interventi e nelle sue pubblicazioni è ricorrente il concetto di malattie dell’anima, riferito anche ai distrurbi alimentari, ci può spiegare cosa intende?
– I disturbi alimentari, che in Italia costituiscono una vera e propria epidemia, sono patologie del profondo, appunto dell’anima. La fenomenologia dell’alimentazione è la punta dell’iceberg, il modo con cui un disagio interno si fa strada, si esprime e diventa visibile. Sono in un certo senso delle nuove forme di depressione, che in un epoca ossessionata dall’identità corporea e dall’offerta di cibo si esprimono appunto attraverso il troppo o il troppo poco nell’alimentazione.
– E’ possibile che il paziente anoressico o bulimico menta, “in primis” a se stesso? Se è così, qual è il ruolo dello specialista in questi casi?
– Queste sono patologie “egosintoniche”, cioè il paziente non è consapevole della sua patologia, pensa di essere nel giusto e di avere tutto il diritto di affamarsi e ridursi in fin di vita. Sicuramente costruisce un mondo parallelo, pieno di non-verità, dove si racconta una favola in cui la malattia porta solo vantaggi e non svantaggi e rischi.
Piano piano poi, per difendere e nascondere la patologia, la paziente comincia a raccontare moltissime bugie alle persone che sono intorno a lei, esattemente come un alcolista o un tossicodipendente . Nella relazione terapeutica si cerca di aiutare la paziente a riconoscere gli aspetti svantaggiosi di questo sistema di bugie, a riconoscere di avere costruito una gabbia, seppure dorata.
– La perfezione del corpo, l’apparire come identità perfetta è di per sé un messaggio falso ma ampliamente diffuso attraverso la rete, i social, i mass-media, ecc. Cosa accade in soggetti psicologicamente più deboli?
– Accade che persone fragili e vulnerabili possono “cadere appunto in questa rete”, dove viene proposta un’ immagine del corpo irrealistica ma estremamente attraente e premiata socialmente. Teniamo conto che la magrezza nella nostra società è un valore assoluto, sinonimo di successo e felicità.
Per un adolescente questa promessa può diventare ossessiva e perseguita fino alla morte. Ma l’obbiettivo non è la magrezza in sé, ma questa illusione che perdendo peso si raggiungerà la felicità.
– Perché è necessario mentire, anche a costo di morire, per apparire perfetti?
– Perchè il controllo del peso e delle forme corporee diventano passaporto per la ipotetica felicità. Ricordiamoci che chi si ammala di Disturbi alimentari (DAI) è sempre una persona fragile, con una scarsa autostima , che si sente sempre inadeguata . Controllare il peso corporeo da l’illusione del controllare anche le proprie emozioni e la propria vita.
– Nell’anoressia e nella bulimia, si tende a negare l’esistenza della malattia da parte dell’ambiente familiare o da parte di amici o conoscenti?
Certamente i pazienti con anoressia e bulimia cercano di nascondere i sintomi, per potere evitare le cure, alle quali vengono condotti inizialmente con molta difficoltà. Spesso, soprattuto nel caso della Bulimia, i genitori si accorgono del disturbo molto tardi, proprio per l’abilità delle pazienti nel nascondere la patologia.
– Di fronte alla menzogna del paziente anoressico o bulimico qual è il ruolo dello specialista?
In realtà in questi casi ci troviamo di fronte a due livelli, il primo è legato alla non consapevolezza della malattia e quindi al fatto che il paziente pensa di raggiungere un obiettivo (la magrezza) ad ogni costo, perché ritiene che questo lo renda migliore e più felice. Il secondo è che per difendere questo obiettivo comincia a costruire un sitema di menzogne, al quale finisce per credere, o comunque le ritiene indispensabile per difendere la sua malattia. Infatti, il ruolo del terapeuta è sempre quello di riconoscere in primis le ragioni del sintomo, che hanno sempre una motivazione, senza esprimere un giudizio o un rimprovero. Inoltre hanno l’obiettivo di arrivare a suggerire un altro modo di affrontare la difficoltà di vivere, che in fondo, questi disturbi nascondono.
– Riconoscere la malattia e il disturbo può essere punto di partenza per un’accettazione del rapporto con l’altro (psicologo, dietologo, psichiatra), ma è anche per riprendere contatto con la propria famiglia?
– In tutta la prima fase della malattia si lavora sul costruire una motivazione al trattamento, che o manca completamente o è molto ambivalente. Contemporaneamente si cerca di costruire una motivazione alla cura anche all’interno della famiglia, che molto spesso non capisce le ragioni e la gravità della patologia.
– Quali sono il ruolo e le responsabilità di una famiglia in cui è presente la persona affetta da un disturbi da alimentazione incontrollata?
– Le teorie degli anni 70 sull’ipotesi della famiglia ( in particolare la mamma ) come principale colpevole del disturbo alimentare sono state completamente abbandonate . Oggi si tende a considerare la famiglia come uno dei fattori, in un’eziologia appunto multifattoriale. Ma la famiglia può diventare importante e decisiva nel modo in cui reagisce alla malattia del figlio. Se collabora con i terapeuti e si mette in discussione fino in fondo possiamo dire che diventa uno degli attori principali del cambiamento e della guarigione. Nel caso contrario può diventare un ostacolo insormontabile.
– La contrapposizione del vero-falso vissuta dalle persone che soffrono di disturbi da alimentazione incontrollata (DAI) trova risconto nella realtà dello specchio?
Nello specchio si mette in luce la difficoltà a vedere realmente la propria immagine. Le pazienti si vedono sempre grasse anche quando sono magrissime, purtroppo c’è proprio un’alterazione neurofisiologica che rende ragione di questa dispercezione e motivo di grande angoscia per le pazienti stesse.
– Nella sua ultima pubblicazione “Le mani in Pasta” cosa consiglia a chi incrocia questi disturbi già in tenera età?
L’età dell’esordio della patologia si è molto abbassata e oggi noi abbiamo bambini di 8-10 anni che si ammalano di queste patologie, che proprio perché colpiscono bambini cosi piccoli diventano molto severe. Ai primi segnali di restrizione e selezione alimentare bisogna subito rivolgersi ai centri specializzati, perché in questi casi la diagnosi precoce è decisiva. Esiste oggi un numero verde della Presidenza del Consiglio che da indicazioni sui centri presenti in tutta Italia: SOS Disturbi alimentari 800180969.