di Francesca Rifiuti
“Non avevo tempo per essere la musa di nessuno.
Ero troppo occupata a ribellarmi alla mia famiglia e
a imparare a essere un’artista.”
Leonora Carrington
Quando si parla di Surrealismo nell’arte non ci si sofferma quasi mai sull’apporto femminile a questa corrente. La donna nell’immaginario dell’arte surrealista è proiezione del desiderio maschile, strumento attraverso il quale l’uomo può entrare in connessione con un mistero, con la magia. Sublimata e allo stesso tempo denigrata, considerata dea e al contempo serva, la donna è immaginata come essere dipendente dall’esistenza dell’uomo, priva di un ruolo generativo che prescinda dalla presenza maschile.
Il ruolo della donna è quindi centrale e vitale ma passivo, la donna esiste in funzione del desiderio degli uomini, è ispiratrice e musa, dea visionaria e ammaliatrice ma è allo stesso tempo anche creatura innocente e ingenua, donna-bambina, immune all’impiccio della razionalità e della logica e, per questo, capace di condurre l’uomo verso il mistero, l’irrazionale, le profondità dell’inconscio.
Se c’è un’opera che dimostra in modo esplicito questo aspetto della poetica surrealista, sicuramente è “Je ne vis pas la (femme) cachée sans la forêt”, collage realizzato da René Magritte pubblicato nel 1929 in “La Revolution Surréaliste”. Nell’opera possiamo riconoscere sedici ritratti fotografici di artisti maschi, raffigurati a occhi chiusi, sognanti, che incorniciano l’immagine di una donna nuda, la quale diviene proiezione dei loro desideri e inesistente come soggetto autonomo, al di fuori di questo immaginario. Le identità multiple attribuitele finiscono per renderla inconsistente al di fuori della mente dell’uomo che la pensa e la rappresenta nel modo che più si confà al suo desiderio.
Le donne surrealiste quindi inizialmente compaiono solo come compagne, alleate e ispiratrici dell’artista maschio.
Le muse sono mute. Ma lo sono davvero?
In realtà le donne surrealiste sono esistite e sono state molte, erano vive e vegete, con pensieri autonomi e desiderio di autodeterminazione. Nonostante la presenza di pregiudizi patriarcali e di una misoginia fortemente radicata nella corrente surrealista, molte artiste hanno trovato una strada di affermazione, sono riuscite a scoprire nell’arte uno strumento di liberazione dai potenti stereotipi e il tramite per una rivoluzione che potremmo definire proto-femminista. Attraverso le loro opere prende vita un repertorio iconografico fatto di dee della fertilità, guerriere, divinità potenti e creatrici di universi, che agiscono pieno controllo sulle forze naturali.
Le artiste surrealiste sono tutte donne che hanno trascorso la loro vita a opporsi ai dettami della rigida educazione che veniva impartita alle femmine fin dalla prima infanzia e che si sono rifiutate di sottostare alla volontà e alle richieste delle famiglie d’origine e della società, trovando nella trasgressione e nell’espressione artistica l’unica via verso la libertà.
Leonora Carrington, l’incontro con Max Ernst, la follia
Leonora Carrington (1917-2011) è una di queste donne. Fin da bambina è una ribelle, la pecora nera all’interno di una famiglia della ricca borghesia industriale, che invano cerca di indirizzarla verso una educazione religiosa e verso le norme della cultura patriarcale. Quando incontra Max Ernst, Leonora è a Londra e sta frequentando la scuola d’arte di Amédée Ozenfant. Lui, più anziano, già sposato e desideroso di avere al suo fianco una nuova femme-infante, lei curiosa e piena d’amore e ammirazione per questo artista visionario. I due fuggiranno a Parigi, dove Leonora sarà introdotta nel circolo surrealista di Bréton e sarà adorata per la sua bellezza irriverente, per l’immaginazione fervida e per aver trascinato Ernst in quello che veniva chiamato “l’amor fou”. I due vissero in simbiosi artistica e amorosa collaborando alla realizzazione di pitture e sculture che univano i loro immaginari e li esaltavano.
Nel 1937 Leonora Carrington scrive un racconto, La debuttante, dove attraverso la metafora dell’amicizia con una iena, animale fetido associato alla stregoneria e all’ambiguità sessuale, affronta la critica all’alta società e rappresenta il suo essere selvaggia, curiosa e provocatoria. È il suo manifesto, insieme al suo Autoritratto (circa 1937-38), in cui si rappresenta spettinata, seduta su una poltrona dalle forme antropomorfe, di fronte alla iena, suo doppio, che sembra sfidare l’osservatore. Nella stanza c’è anche il cavallo a dondolo, simbolo ricorrente nelle opere pittoriche e letterarie di Carrington, che rappresenta la sua furia ribelle, l’antidoto alla frustrazione della Carrington bambina, ma anche la metafora di un maschile illuminato, opposto a quello paterno. Fuori dalla finestra galoppa invece una cavalla bianca, simbolo del desiderio di libertà dell’artista.
Nel 1940 Max Ernst viene deportato in un campo di concentramento, dopo essere stato dichiarato nemico del Regime di Vichy e creatore di arte immorale. Carrington vivrà momenti di disperazione e la separazione dal suo amato condizionerà il suo stato mentale in modo significativo. A soli 22 anni resta sola nella loro casa di Saint-Martin-d’Ardèche, perde molti soldi e cerca di fuggire dall’angoscia mentre fuori imperversa la Seconda Guerra Mondiale. Decide di partire per la Spagna con due amici, ma durante il viaggio perde il contatto con la realtà, il suo immaginario si confonde con ciò che sta accadendo davvero e la sua parte selvaggia prende il sopravvento, portandola ad allucinazioni e deliri persecutori e di onnipotenza. Il padre di Carrington, avvisato dagli amici, interviene facendola internare in un manicomio a Santander, dove viene giudicata una folle incurabile e viene sedata in modo massiccio. Il farmaco utilizzato per tenerla a bada, il Cardiazol, la stordisce e la porta a esperire una dimensione “altra”, che per certi versi la avvicina all’apice dell’ideale surrealista; niente era più chiaro, realtà e sogno non erano più opposti, conscio e inconscio si fondevano e si confondevano, passato, presente e futuro si diffondevano in un’idea delirante di tempo. In Down Below (1943) Carrington racconterà in modo dettagliato la sua esperienza di pazzia, quella pazzia che Breton all’interno del Secondo Manifesto dichiara essere proprio la meta ultima della sperimentazione surrealista.
Verso il Messico: la rinascita dell’artista, le influenze culturali
Carrington si riaffaccia alla sanità mentale e, nonostante le sue fragilità, riesce a fuggire di nuovo alla volontà della famiglia che la vorrebbe internata in un manicomio del Sudafrica. Carrington, provata dalla guerra e dai maltrattamenti subiti, fa tappa a Lisbona, poi a New York, dove entra di nuovo in contatto con i surrealisti e ritrova Max Ernst. Scrive molto, Leonora, utilizzando la tecnica surrealista della scrittura automatica, che affascina molto i frequentatori del panorama artistico americano, e realizza opere d’arte molto significative per la sua poetica, che rappresentano la transizione dal passato a un presente più favorevole, da una vita a un’altra.
Nel 1943, Carrington è una delle artiste della mostra “31 Women” organizzata da Peggy Guggenheim, evento chiave che dona visibilità alle artiste, legittima e valorizza le loro voci, le loro tecniche, i loro messaggi.
All’età di 26 anni, Carrington ha già vissuto i dolori e le esperienze di tante vite ed è in Messico che inizia un’altra fase della sua esistenza, insieme al marito Renato Leduc, poeta e giornalista messicano, da cui in seguito si separerà.
A Città del Messico, nel 1940, cioè tre anni prima del suo arrivo, era stata organizzata l’Exposiciòn Internacional del Surrealismo, che affiancava alle opere dei surrealisti anche alcune pitture di artisti messicani, tra cui Frida Kahlo, che aveva già esposto con il gruppo surrealista in un paio di occasioni. Leonora Carrington incontrerà Kahlo varie volte, ma sicuramente l’amicizia messicana per lei più importante è quella con la pittrice spagnola Remedios Varo, con cui ama dipingere e con cui condivide la passione e l’interesse per l’occultismo, la filosofia orientale e l’esoterismo. Insieme Leonora e Remedios sono un modello di femminile nuovo, che non bada al giudizio esterno, eccentrico e irriverente, anticonformista.
Nel 1944 Leonora conosce Chiki Weisz, un fotografo ebreo ungherese, anch’egli fuggito dalla guerra e arrivato in Messico per ricominciare. Le loro vite si intrecceranno e rimarranno connesse per sempre, fino alla morte di Weisz nel 2007. Dal loro matrimonio nascono Gabriel e Pablo e l’esperienza della maternità influenza il lavoro artistico di Carrington, che si sofferma su un femminile che è generativo e rigenerativo, che crea, protegge e ripara. Possiamo trovarne un esempio nell’olio The Giantess (The Guardian of the Egg, 1947 circa), dove la donna rappresentata è immensa e sovrasta un gruppo di piccoli uomini, tenendo in mano un uovo, simbolo di fertilità.
In Messico Carrington costruisce il suo mondo visivo e artistico, contaminata dalla magia e dal culto della morte, dalla coesistenza e fusione di epoche e culture diverse, dallo studio dell’esoterismo, del buddismo tibetano e della mitologia celtica, che torna a bussare alle porte della sua mente come un fantasma antico, portandola a percorrere le origini della famiglia materna.
Carrington è affascinata anche dall’approccio archetipico proposto da Carl Gustav Jung, lo sente molto più affine rispetto alle teorie freudiane, considerando molto interessante “la definizione dell’ombra, riflesso negato dall’ego ma elemento imprescindibile per una conoscenza completa dell’essere. L’ombra può considerarsi il primo archetipo, la porta reale per la comprensione.”
In Messico l’artista ha l’occasione di studiare anche la cultura Maya, da cui rimane affascinata e che ha molte affinità con il suo universo pittorico popolato da alter ego animali e anche con il pensiero surrealista, poiché per i Maya “…l’elemento onirico, che segna il legame tra il sonno e la veglia, è la chiave per la conoscenza del punto in cui le nostre esperienze oggettive e soggettive si incontrano in una più vasta totalità.”
Attivismo, femminismo e libertà di espressione
In seguito al 1968, anno delle rivolte studentesche in Messico, Leonora Carrington inizia un periodo di forte attivismo politico e partecipa alla nascita del movimento femminista messicano, realizzando “Mujeres Conciencia” (1972), manifesto in favore della liberazione delle donne e partecipando, insieme a Kahlo, Varo e altre artiste, alla collettiva “La mujer como creadora y tema del arte” (1975). Joanna Moorhead afferma che Carrington «Era femminista di una forma istintiva e inflessibile e sentiva una preoccupazione naturale verso l’ambiente e per il fatto che il pianeta fosse maltrattato dalla chiamata “specie intelligente”, gli esseri umani».
Carrington viaggerà sia negli Stati Uniti che in Europa, invitata a esporre la propria arte, ma tornerà sempre in Messico, la sua vera casa, dove morirà nel 2011 all’età di 94 anni.
Nelle opere che Carrington realizza nel corso della sua carriera vi è una ricerca tecnica notevole, che spazia dalla litografia, al disegno, alla scultura, all’utilizzo di cartapesta, alla pittura a olio. Oltre a questo l’artista, che ambisce alla completa libertà espressiva, scrive, recita, realizza arazzi e scenografie teatrali. In tutte le varie forme artistiche che la sua produzione abbraccia, si fa strada un immaginario via via più complesso, i personaggi e le ambientazioni sono innumerevoli e provengono da luoghi, culture e mitologie profondamente diverse, che nella sua arte trovano spazio per una convivenza quasi armonica; c’è il mondo animale e vegetale, che Carrington venera e rispetta, interessandosi anche alle tematiche ecologiche e di salvaguardia delle specie a rischio; ci sono tutte le sue vite e gli spazi e i tempi in cui esse si sono intessute, i libri che ha letto e studiato, i volti che ha incontrato, le storie che ha sentito raccontare, i sogni che ha fatto, gli obiettivi che si è data, le ingiustizie che ha subito. C’è il gioco, che non è frivolezza ma invito al rinnovamento continuo ed esaltazione del piacere. L’onirico e il reale riescono a coesistere in modo affascinante, la storia dell’artista emerge potente, ogni elemento trova il suo spazio e l’insieme dà vita a una geografia nuova, a nuove mappe dell’animo umano.
Bibliografia:
J. Moorhead, Leonora Carrington. Una vida surrealista, Turner Noema, Madrid, 2017.
G. Ingarao, Leonora Carrington: un viaggio nel Novecento. Dal sogno surrealista alla magia del Messico. Mimesis Edizioni, 2014
W. Chadwick, Women Artists and the Surrealist Movement, Thames & Hudson, New York 1985
Carrington, L. La debuttante, Adelphi, Milano, 2018