di Federica Biolzi
La psicanalisi del breakdown si occupa di una fase molto particolare della vita, l’adolescenza e la giovane età e che trova la sua radice nei traumi della prima infanzia. Un particolare tipo di patologia che merita attenzione e un necessario approfondimento. Anna Maria Nicolò, psichiatra infantile, ha da poco pubblicato con l’editore Cortina, Rotture evolutive , psicoanalisi dei breakdown e delle soluzioni difensive.
– Il suo lavoro, di neuropsichiatra e psicoanalista, le dà la possibilità di incontrare un gran numero di adolescenti e giovani adulti che presentano quelle che lei chiama rotture evolutive. Può spiegarci meglio che cosa intende con questo termine e perché si parla di psicoanalisi del breakdown?
– Breakdown significa crollo, rottura; con questo termine si fa riferimento ai momenti di crisi che possono insorgere in adolescenza o nella giovane età adulta e che sono molto significativi nell’evoluzione della personalità. Questi sono periodi della vita dove con maggior frequenza statistica si manifestano gli esordi psicotici.
Abbiamo cominciato a parlare di Psicoanalisi del Breakdown grazie anche ad un libro molto famoso che uscì trent’anni fa, di due psicanalisti inglesi, Moses ed Egle Laufer che dirigevano a Londra il Brent Adolescence Center.
Con il termine Breakdown facevano riferimento ad un evento antico che, anche se si instaura nella pubertà trova la sua radice nei traumi della prima infanzia. In questo libro davano molta importanza alla pubertà come una specie di big bang evolutivo. In effetti io credo che l’adolescenza, sia un enzima che attiva specifici funzionamenti mentali necessari allo sviluppo della personalità adulta, cambiamenti necessari che però spaventano.
La caratteristica di questo tipo di patologia, quando si manifesti e non sia possibile curarla, è che essa non è solo “patologica” ma anche progressivamente patogena, perché blocca ed inibisce lo sviluppo della personalità con un peso rilevante nella vita adulta e futura. Per fare un esempio di una problematica oggi più frequente, si può considerare il ragazzo che si ritira in isolamento dai 14 ai 18 anni, esperienze significative di socializzazione, acquisizioni cognitive o esperienze sessuali saranno assenti e peseranno nella vita successiva.
Possiamo perciò immaginare cosa succede nelle situazioni più complesse dove oltre il ritardo nelle acquisizioni avremo anche il peso della patologia
– Nel suo interessante volume, lei considera la rottura evolutiva come una possibile soluzione ed una forma di difesa. Ma fino a che punto si può parlare di difesa e non propriamente di frattura del mondo interiore (intrapsichico) e di rottura con il mondo esterno (interpersonale)?
– Io ho distinto le rotture evolutive dagli esordi psicotici perché ho conferito alle rotture evolutive un significato di crisi necessaria ed utile per lo sviluppo. Osserviamo in alcuni giovani un momentaneo scompenso che però, se ben curato, non lascia fratture permanenti dentro il sé. Si può trasformare in un Breakthrough cioè in una riorganizzazione utile della personalità.
Il Breakdown non è una possibile soluzione ma invece è la crisi rispetto alla quale l’adolescente, il giovane adulto, si riorganizzano, trasformando in modo creativo e positivo la propria personalità.
Al contrario se il ragazzo sviluppa soluzioni compensatorie, ma non trasforma il momento di crisi in opportunità, ne residua una personalità mutilata e compromessa, anche se talora all’esterno può apparirci un adulto normale.
Nel libro elenco alcune di queste soluzioni di compenso come ad esempio le modalità perverse che possono restare anche nel corso di tutta la vita o possono invece trasformarsi. Attraverso queste soluzioni l’adolescente si difende dal Breakdown, cioè si difende dalla possibilità di un crollo terribile che gli fa molta paura.
– Tra le varie tematiche che lei affronta nel libro, l’approccio con la famiglia e con i genitori dell’adolescente assumono un ruolo determinante per il cambiamento e una risoluzione in co-evoluzione, per i figli e per i genitori. Ma, nel caso di una famiglia assente o non collaborante, quali possono essere gli strumenti o le tecniche da attivare?
-Io penso che l’Io è sempre in rapporto con l’altro. Edgard Morin riprendendo Rimbaud e Lacan diceva “L’io è l’altro”. Noi siamo un’entità multiplex fin dalla nostra origine e nella costituzione.
Ma prescindendo dalle dimensioni più teoriche e rientrando nella clinica che sempre ci insegna molto di più, io ho osservato che, soprattutto nelle patologie di un certo rilievo come quelle che affronto nel testo, il particolare funzionamento della mente del paziente lo rende particolarmente suscettibile al mondo che lo circonda, prima di tutto la famiglia, dove l’individuo è nato e cresciuto.
Potremmo addirittura definire certe patologie come quelle psicotiche “organizzazione di legami traumatici che trovano il loro porta parola, il portavoce in quel paziente”.
Il paziente quindi esprime da una parte un disagio individuale, mentre dall’altra mostra la problematica familiare, il mondo fantasmatico della famiglia fatto da specifici legami traumatici e traumatizzanti.
Vista da questo punto di vista, la risoluzione può passare solamente attraverso una trasformazione che al contempo sia individuale ma anche familiare.
Nel caso di famiglie assenti o non collaboranti ci troviamo sicuramente di fronte ad un problema molto serio, perché in realtà, mentre la famiglia potrebbe trasformarsi in un agente co-terapeutico, in queste situazioni complesse dobbiamo fare riferimento ad altri presidi esterni al soggetto che lo possono aiutare proprio per questo motivo.
Ho parlato di psicoterapia integrata perché parlo di un lavoro che integra in un setting terzo, non solo la presenza dello psicoanalista che tratta il paziente individualmente, ma anche dello psicanalista che tratta la famiglia intera o la coppia di genitori, e anche del farmacologo se c’è e del Compagno Adulto o di un rappresentante della comunità terapeutica.
Si tratta di creare uno spazio terzo affinché si possa integrare sia sul piano della diagnosi che sul piano del trattamento l’operatività dei singoli.
La riflessione da cui parte questa proposta che tra l’altro nasce nel 1992 in un libro dal titolo: “l’adolescente e il suo mondo relazionale”, è l’osservazione dello specifico funzionamento in queste problematiche di rotture evolutive sia della mente individuale che dell’ organizzazione fantasmatica della famiglia.
Sia nella mente familiare in cui sono presenti queste patologie, che nella mente del singolo, ritroviamo un funzionamento basato sul concreto piuttosto che sulla capacità simbolica, c’è un divieto di pensare, una difficoltà ad elaborare i conflitti.
Dentro la famiglia ci stanno processi di fusione confusione fra l’io e l’altro e nelle situazioni psicotiche ci stanno come dice Paul-Caude Racamier, organizzazioni antiche antiedipiche e antidepressive.
Questo ci impone di lavorare su tutti questi piani differenti che coesistono anche in un’ottica di multidisciplinarietà.
-Come incorerebbe e come descriverebbe oggi, in questa epoca segnata dalla pandemia, l’universo dell’adolescenza? Come sta cambiando?
– Debbo ricordare la frase di Anna Freud che affermava che l’adolescenza è la cartina di tornasole della società e cioè esprime il tipo di funzionamento e di cultura di quella società a cui l’adolescente e il giovane appartengono.
Oggi assistiamo ad una serie di patologie adolescenziali quasi epidemiche che sono veramente nuove e fanno tutte perlopiù riferimento all’uso del corpo, l’anoressia, la bulimia, i self cutting.
In ogni scuola ed in ogni liceo non solo italiano ma presente in tutto il mondo occidentale, ritroviamo questo tipo di funzionamento. Oppure ancora c’è la tendenza in alcuni casi all’isolamento, definito attualmente da alcuni come il fenomeno degli hikikomori, cioè ragazzi in volontario isolamento per lunghi anni.
Un altro tipo di patologia adolescenziale fa riferimento alla difficoltà ad integrare dell’aggressività e da questo ne deriva il bullismo per non parlare dell’uso della sessualità che è molto cambiato oggi.
Negli adolescenti vediamo una sessualità abbastanza dissociata dalla dimensione emotiva e dalla dimensione amorosa, la sessualità è diventata piuttosto un agito continuo quasi un trofeo che i maschi o anche le femmine si procurano e che viene agita in continuazione anche con sconosciuti, come spesso mi capita di vedere in molte pazienti o in supervisione.
Una sorte di neo sessualità dissociata che risponde a bisogni di accettazione, potere, sottomissione, esplorazione, ma che è dissociata dalle dimensioni di innamoramento-amore, simpatia per l’altro. Spesso il gruppo di appartenenza a cui si raccontano gli avvenimenti, che partecipa o sovraintende, diventa il riferimento di queste esperienze
Anna Maria Nicolò
Rotture evolutive
psicoanalisi dei breakdown e delle soluzioni difensive
Raffaello Cortina Editore, 2021