di Gianni Dessì
È vero, hanno ragione gli autori: ogni viaggio in Grecia è un viaggio nell’anima, un tuffo nel mare blu del Mediterraneo. Un ritrovarsi. E come potrebbe non essere così, sono lì le nostre radici, le radici del nostro pensiero e del nostro modo di vivere, che ci piaccia o no. E se non ne fossimo ancora convinti ci viene in aiuto la recente pubblicazione In viaggio con gli dei, Guida alla Mitologia Greca di Giulio Guidorizzi e Silvia Romani. La professoressa Romani ha accettato, cortesemente, di rispondere ad alcune nostre domande.
– Il sottotitolo del libro è guida alla mitologia greca, si tratta di un argomento di forte interesse e variamente declinato. Perché avete sentito il bisogno di rivisitarlo e a chi è diretta la pubblicazione?
– Entrambi pensiamo che il mito sia la ragione ultima e prima per cui si va in Grecia. Naturalmente ci sono il mare, la luce, le architetture splendide, ma dicono e direbbero ben poco se non sapessimo che proprio nei luoghi che andiamo a visitare i Greci hanno raccontato le loro storie. Sin dall’Antichità, del resto, c’era la convinzione che, al di là del credo religioso, fossero proprio il racconto, la memoria l’unica forma di immortalità concessa agli esseri umani. Così, abbiamo immaginato che l’incontro con Delfi, Olimpia, Micene, Atene, ma anche con luoghi meno noti come Pilo e il Monte dei Lupi potessero trasformarsi in esperienze straordinarie, grazie alla lettura dei miti che lì vi erano ambientati. Questo non è un libro per addetti ai lavori, ma per chiunque ami la Grecia e quell’esperienza magica di respirare l’eternità del mito e della storia. Ugualmente, è la storia di una passione per gli antichi di due studiosi che alla civiltà greca hanno dedicato una parte importante della propria vita.
– Tra i vari richiami del testo ho colto, con interesse questa frase, scritta a proposito di capo Sounion: E chi nella notte si arrampica sulla collina, in mezzo alla bassa vegetazione, può sentire ancora meglio il rumore del vento tra le colonne, come se queste pietre potessero respirare, e inebriarsi della solitudine piena di vita che solo la Grecia sa offrire. La stessa sensazione forse che Leopardi percepiva davanti alla sua siepe, la voce dell’eternità che parla e un mare in cui può essere dolce annegare. In cosa differiva l’infinito mitologico da quello leopardiano a noi più prossimo?
– Potremmo dire in niente: l’infinito è l’infinito, che lo si percepisca in un racconto mitico o in una poesia dell’ottocento. Altrimenti non sarebbe infinito. Caso mai, diverso è il meccanismo che lo produce: Leopardi non vedeva niente, solo una siepe, e immaginava. Sentiva suoni, fruscii, era assalito dal senso del tempo. Chi percepisce il vento davanti alle colonne del Sounion, invece, è anche abbagliato dal sole, dal mare, è trascinato in sensazioni forti, fisiche, che si presentano da sole all’immaginazione. Possiamo spingerci a immaginare: che cosa avrebbe sentito Leopardi se, come fece lord Byron, anziché nella soffocante Recanati avesse avuto davanti la possanza del paesaggio del Sounion? Di certo avrebbe trovato parole diverse, ma la sensazione dell’infinito gli si sarebbe palesata subito, e forse ancora più forte.
– Perché ci affascinano ancora gli dei greci, forse per il loro essere, in fondo in fondo, degli umani?
– Gli dèi ci affascinano per tante ragioni: sono umani sì, ma sono anche eccessivi, fuori misura. Non intercettano nessuna categoria etica per come noi la conosciamo: non sono giusti, non sono buoni, non hanno neppure alcuna preoccupazione paideutica nei confronti dell’essere umano. Sono assoluti, chiaroscurali e molto fragili. Amano gli uomini, a volte più di quanto amino i loro simili. Non lasciano mai veramente la terra, neppure dopo l’età dell’oro, e, anzi, visitano spesso le case degli uomini. Sono, in fondo, rassicuranti, perché non esisterebbero, di fatto, senza gli uomini: sono loro i demiurghi del divino e non il contrario.
– A proposito di Efira, lei scrive: A Efira c’era un lago o una palude, chiamata Acherusia: il posto dove approdavano le anime morte e sostavano per il tempo che la sorte aveva deciso per loro, prima di essere sospinte via verso una nuova nascita, come neonate stelle. Ce lo racconta il filosofo Platone, per il quale la morte non è altro che una sosta fra una vita e l’altra, in attesa di reincarnarsi. Che ci fosse o no la speranza di un nuovo viaggio. Efira era per gli antichi un punto di accesso al mondo degli Inferi e un nekromanteíon, un posto cioè dove si andava per consultare i fantasmi dei defunti, spesso senza pace.. andare nel regno dei morti e ritornare è un viaggio spesso risolutivo del senso complessivo dell’esistenza. Questo mito si è conservato anche nella cristianità, tra l’altro con Dante, perché?
– Il viaggio nell’Aldilà è il “viaggio dei viaggi”, come sapeva bene l’Ulisse dantesco, per il quale, di fatto, il viaggio di conoscenza con un legno e la compagnia picciola coincide con un salto nella dimensione oltremondana. Non tutti i viaggiatori antichi, va detto, realmente sceglievano di entrare nel regno delle ombre. Per esempio, Ulisse si ferma ai confini dell’Oltretomba e chiama a sé le ombre dei trapassati, senza metter piede nell’universo di nebbia dove abitano i defunti. In altri casi, Eracle, Orfeo, Teseo e, naturalmente, Enea scelgono invece di percorrere i regni tristi dei trapassati. Lo fanno molto spesso per un sentimento di amore o di affetto, ma, quando si trovano nello spazio caliginoso dei morti, finiscono talvolta per dimenticare chi sono stati e la vera ragione che li ha guidati nell’impresa. Pensiamo che la ragione ultima per cui ci si mette in cammino abbia molto a che fare con la curiosità di vedere quel che c’è oltre l’universo degli umani, oltre la corrente di Oceano che, come un fiume, per gli antichi chiudeva in cerchio il mondo conosciuto e lo separava da qualsiasi forma di Aldilà. Il rischio di queste sfide estreme con se stessi e con il destino è di perdere la memoria e, di conseguenza, un po’ della propria umanità. Questa curiositas, che ha poco di religioso, è uno dei trait d’union con l’esperienza dantesca.
– Un’ultima domanda, che è anche una mia curiosità: perché, secondo lei e come scritto nelle prime pagine di questo significativo ed apprezzabile manuale, in Grecia è impossibile perdersi?
– Credo che il senso di quest’affermazione riposi nel fatto che in Grecia ci si va non per raggiungere, nel minor tempo possibile, una meta, ma per l’esperienza del viaggiare. È impossibile perdersi perché la scelta dell’itinerario è un piacere lento e spesse volte le scoperte più incredibili non si trovano all’arrivo, ma lungo la strada. Ci si perde sempre, soprattutto nella Grecia continentale, anche perché le indicazioni stradali, com’è noto, non sono di esemplare efficacia, ma, proprio quando, per esempio con Delfi nella testa, ci inerpica sulla montagna e si sbaglia strada, quello potrebbe essere il momento in cui ci si imbatte in un piccolo paesino, con una capra legata all’albero della piazza principale e un caffè con il pergolato. Ci si è smarriti sì, ma subito ci rendiamo conto che lì potremmo quasi passarci tutta la vacanza.
Giulio Guidorizzi, Silvia Romani
In viaggio con gli dei
Guida alla Mitologia Greca
Illustrazioni di Michele Tranquillini
Cortina Editore, 2019