di Lorenzo Giordani
Pilota di battello, minatore, soldato confederato, viaggiatore indefesso, tipografo, editore ma soprattutto scrittore umorista, Mark Twain (1835-1910), pseudonimo letterario di Samuel Langhorne Clemens, rivive, attraverso tredici interviste, nell’interessante raccolta Parla Mark Twain. Interviste scelte al creatore di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, Firenze, Lorenzo de’ Medici Press, 2023. Il volume propone, tradotte per la prima volta in italiano da Aldo Setaioli, tredici interviste concernenti l’atteggiamento dell’autore verso i suoi romanzi più noti: Le avventure di Tom Sawyer (1876) e Le avventure di Huckleberry Finn (1884) ma anche aspetti della sua personalità. I testi sono tratti dal corposo volume del 2006 Mark Twain: The Complete Interviews curato da Gary Scharnhost che include tutte le 258 interviste rilasciate in vita dallo scrittore. La maggior parte di esse furono rilasciate in concomitanza e in occasione di readings e conferenze pubbliche che Twain rilasciò negli ultimi quindici anni di vita sia negli Stati Uniti che in altre parti del mondo. Le interviste sono qui presentate in ordine cronologico, fatta eccezione per la tredicesima, che rappresenta l’Appendice del volume rilasciata a St. Louis il giorno precedente al viaggio per Hannibal, la città della sua adolescenza, in quanto riunisce un numero di argomenti più ampio e perché rappresenta l’ultima visita dello scrittore ai luoghi che lo videro crescere.
Un aspetto che accomuna tutte i testi qui proposti è la descrizione psico-fisica che gli intervistatori fanno dello scrittore con la sua voce strascicata, l’espressione grave del volto, l’irrequietezza che lo faceva andare avanti e indietro mentre parlava alternando dei momenti di sosta sulla poltrona con in una mano l’immancabile pipa o sigaro acceso mentre con l’altra accarezzava nervosamente il mento. Ma più di ogni altra cosa gli intervistatori sono colpiti dal suo sguardo «parlava sempre attraverso i suoi occhi – una luce sotto folte sopracciglia» (p. 35), «gli occhi grigi, che non sono insolenti, ma gentili, dolci e toccanti» (p. 69) e dalla sua capigliatura «una massa affastellata di capelli grigi e ricciuti» (p. 21), la «massa cespugliosa che gli scompigliava la testa» (p. 57), la «lunga e disordinata capigliatura» (p. 69).
Il volto e le espressioni facciali di Twain rispecchiano dunque il suo carattere brusco ma gioviale e lo stile della sua scrittura ironico ma pessimista proprio come «le ondulazioni e le sinuosità dell’acqua indicano la sua maggiore o minore profondità […] un uomo è rivelato dalle curve del suo sorriso o dagli angoli del suo cipiglio» (p. 102).
Tra le interviste spicca quella di un altro celebre scrittore, Rudyard Kipling, che prova nei confronti di Twain un misto di timore e ammirazione, desideroso di catturare il mistero della sua anima e della sua opera tanto da affermare che: «Avrei dato molto per avere il coraggio di chiedergli in dono quella pipa, del valore di cinque centesimi da nuova. Comprendevo perché certe tribù selvagge desiderano ardentemente di avere il fegato di guerrieri coraggiosi uccisi in battaglia. Quella pipa mi avrebbe procurato, forse, un’intuizione del suo acuto modo di penetrare nell’anima delle persone. Ma non la posò mai a una distanza che permettesse alle mie braccia di rubarla» (p. 35).
Twain racconta inoltre aneddoti della sua rocambolesca e travagliata vita soffermandosi ad esempio sulla scelta dello pseudonimo: «Una volta faceva il pilota sul Mississipi, dove uno scandagliatore dice sempre ‘mark twain’ [in italiano “segna due” con l’uso inglese dell’arcaico twain in luogo di two] invece di ‘mark two’, quando vuol far capire che la profondità dell’acqua è due fathoms [due tese ovvero circa 360 centimetri]. “Mark two”, disse Mr. Clemens, “non si sente in mezzo a una tempesta, ma ‘mark twain’ ha un suono diverso, che giunge subito all’orecchio”» (pp. 23-24).
Estremamente interessanti sono le affermazioni di carattere letterario che Twain fa relativamente alla scrittura dei suoi libri per cui «Su dieci doti necessarie per scrivere un buon romanzo nove si riassumono in unico punto – la conoscenza degli uomini e della vita, non i libri o l’istruzione universitaria […] mi irrita assistere all’incessante richiesta da parte dei critici che un romanziere debba possedere cultura libresca» (pp. 48-49). Allo stesso modo i suoi personaggi non sono frutto di fantasia ma della vita vera, vissuta, per cui afferma: «La gente ha espresso opinioni favorevoli su questi miei libri, ma mi hanno fatto l’onore di credere che i miei giovani eroi siano finzioni. In realtà sono esseri umani viventi. Li ho ripresi dalla vita e non ho dovuto neppure ricamarci sopra un buon numero di episodi. Non sono che copie di ragazzi reali, con l’aggiunta qua e là di qualche tratto ad effetto» (p. 56) o ancora «I personaggi non sono mie creazioni personali. Li ho semplicemente schizzati a partire dalla vita. Ho conosciuto tutti e due questi ragazzi [Tom Sawyer e Huckleberry Finn] tanto a fondo che è stato facile scrivere ciò che facevano e dicevano» (p. 61).
Esplicita infine è la preferenza che Twain attribuisce ai suoi due romanzi più noti e in particolare alle Avventure di Huckleberry Finn che definisce quello «che mi ha dato più gioia» (p. 63) concordando in questo con il pubblico dei suoi numerosi lettori.
Il volume è arricchito da sei riproduzioni fotografiche che ritraggono lo scrittore mettendone in evidenza le peculiarità fisiche e il volto espressivo, oggetto, come detto, di osservazione e curiosità da parte degli intervistatori. La prima in apertura del volume è un vero e proprio ritratto a mezzo busto e di tre quarti, mentre le successive cinque, in chiusura del testo prima dell’Appendice, sono ritratti ambientati che raffigurano Twain nel 1903 all’interno e all’esterno del suo studio a Quarry Farm East Hill, Elmira, New York.
Dal presente volume emerge dunque, in tutta la sua forza, la figura singolare e pittoresca di Mark Twain la cui opera è frutto della sua sofferta esistenza e delle sue variopinte esperienze a conferma come lui stesso disse che «i miei libri sono tutti fondati sui fatti; ogni personaggio era un essere vivente; ogni fatto, o la premessa di quel fatto, è realmente accaduto; ogni intreccio si è sviluppato, del tutto o quasi completamente, nella sfera della mia esperienza» (p. 65).
Parla Mark Twain.
Interviste scelte al creatore di Tom Sawyer e Huckleberry Finn,
Firenze, Lorenzo de’ Medici Press, 2023