EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Occorre dimenticare per non morire. Intervista a Marc Augé

intervista di Gianfranco Brevetto

(ITA/FRA originale in fondo)

Reputo che l’antropologia sia qualcosa di ancor poco conosciuto, spesso relegata agli stereotipi di forme di civiltà scomparse o abitanti luoghi inaccessibili del pianeta. Eppure, come ci ha ben insegnato Marc Augé, la figura dell’antropologo è fondamentale e di stretta attualità. Augé, qualche anno fa, portò proprio l’antropologo nel cuore metrò parigino, a contatto con i non luoghi di una civiltà apparentemente satura di se stessa.

Pur con differenti sfumature la memoria è una di quegli elementi fondanti, antropologicamente fondanti è il caso di dire, di questo approccio alla conoscenza umana. Augé ce lo  ricorda,  ma si spinge oltre: richiamandosi, in parte,  a Ricoeur mette insieme azione, temporalità e narrazione. Anche se per lui l’operatore principale della vita è proprio l’oblio[1]: “occorre dimenticare per restare presenti, dimenticare per non morire, dimenticare per restare fedeli.”[2]

Cosa vuol dire per un antropologo parlare di memoria?

Parlare di memoria per un antropologo è entrare nel cuore di questo argomento. Si può, in quanto etnologo, interessarsi alla concezione del tempo proprio di un popolazione data, analizzare i differenti modi di relazionarsi al passato. Questo punto di vista ha un valore strategico. Ci sono società nelle quali certe sequenze devono essere dimenticate, mentre altre imperativamente devono essere ricordate. Per esempio, si ha sempre interesse a ricordarsi dei propri sogni, perché il contenuto del sogno può costituire un richiamo o una messa in guardia, e occorre dimenticare gli episodi della possessione, perché si presume sia un altro ad occupare il corpo del posseduto.

È più corretto parlarne al singolare o al plurale: memorie?

Trattandosi di individui umani è più corretto parlare di memorie al plurale. Dall’esperienza di tutti i giorni, sappiamo che, di uno stesso evento, diverse persone conservano dei ricordi differenti. Sappiamo anche che la memoria cambia con l’età. L’oblio che modella la memoria è necessario: concorre a smistare la miriade di eventi che una sola memoria non può contenere, contribuisce alla pluralità delle memorie.

Mi sembra che memoria e oblio costituiscano il Giano Bifronte della nostra identità. Un meccanismo, allo stesso tempo, semplice e complesso. Come spiegarlo?

È in effetti una coppia indissociabile. Si può indifferentemente definire un individuo per quello che ricorda  o per quello che dimentica.

A cosa serve il passato o meglio, come  lei indica nel suo libro Les formes de l’oubli, ritrovare il passato perduto?

Occorre ammettere che il passato è passato. Detto ciò, occorre distinguere: come l’’identità individuale s’afferma e si costruisce alla prova dell’alterità, l’individuo si costruisce attraverso la sua relazione con il passato, in rapporto all’educazione che ha ricevuto ad esempio, che reclama o  dalla quale prende le distanze. A livello collettivo, il rapporto al passato è ancora più complesso perché un popolo è composto di individui. La definizione della democrazia comporta la relazione a un passato collettivo e passa per un giudizio su questo passato accettato o rifiutato, totalmente o in parte.

Come è possibile tenere insieme presente, passato e futuro?

Ogni individuo passa il suo tempo a coniugare o credere di coniugare queste tre dimensioni, questo si chiama vivere. Ma si tratta spesso del passato prossimo  o del futuro immediato. In qualche rara occasione un individuo può essere condotto a fare esplicitamente il punto sulla coerenza del suo percorso, ma questo sarà sempre in funzione del suo futuro immediato.

Nel futuro, la memoria sarà solo un campo per le neuroscienze?

La memoria è un oggetto delle neuroscienze, questo non impedisce che essa sia un tema privilegiato della creazione letteraria o dell’osservazione antropologica. Io creso all’unità delle conoscenze.

(trad. G. Brevetto)

***

– Qu’est-ce veut dire pour un anthropologue parler de memoire ?

–  Parler de mémoire pour un anthropologue , c’est entrer dans le cœur de son sujet . On peut, en tant qu’ethnologue, s’intéresser à la conception du temps propre à une population donnée, analyser les différents modes de relation au passé. Ce point a une valeur stratégique. Il y a des sociétés  dans lesquelles certaines séquences doivent âtre oubliées, alors que d’autres il est impératif de se souvenir. Par exemple on a toujours intérêt à se rappeler ses rêves car le contenu du rêve peut constituer un appel et une mise en garde, et il faut oublier les épisodes de la possession puisque c’est un autre qui est censé occuper le corps du possédé.

– Il est plus correct d’en parler au singulier ou au pluriel : memoires ?

– S’agissant des individus humains, on est obligé de parler des mémoires au pluriel. D’expérience courante, nous savons que d’un même événement diverses personnes gardent un souvenir différent. Nous savons aussi que la mémoire change avec l’âge. L’oubli façonne la mémoire Il est nécessaire ; il fait le tri dans la masse des événements qu’une seule mémoire ne peut contenir, mais il contribue à la pluralité des mémoires.

– il me semble que Mémoire et oublie sont le Janus bifrons de notre identité, un mécanisme à la fois simple et complexe, comment il  s’explique ?

– C’est en effet un couple indissociable. On peut indifféremment définir un individu par ce dont il se souvient ou par ce qu’il oublie.

– A’ quoi sert le passé, ou mieux comme vous écrivez dans votre ouvrage Le formes de l’oublie, retrouver le passé perdu ?

– Il faut admettre que le passé est passé. Cela dit, il faut distinguer: de même que l’identité individuelle s’afirme et se construit à l’épreuve de l’altérité, l’individu se construit à travers sa relation au passé,  par rapport à l’éducation qu’i a reçue par exemple, qu’il s’en réclame ou qu’il prenne ses distances avec elle. Au niveau collectif, le rapport au passé est encore plus complexe car un peuple est composé d’individus. La définition de la démocratie implique la relation au passé collectif et passe par un jugement sur ce passé assumé ou rejeté, en partie ou totalement

– Comment on peut tenir ensemble passé, présent et futur ?

– Chaque individu passe son temps à conjuguer ou croire conjuguer ces trois dimensions; cela s’appelle vivre. Mais il s’agit le plus souvent du passé  proche et du futur immédiat . En quelques rares occasions un individu peut être amené à faire explicitement le point sur la cohérence de son parcours mais ce sera toujours en fonction de son futur immédiat

– dans le futur la mémoire sera  un domaine des neurosciences ?

– La mémoire est un objet des neurosciences. Cela n’empêche pas qu’elle soit un thème privilégié de la création littéraire ou de l’observation anthropologique. Je crois à l’unité des savoirs.

 

 

[1] Cfr. Les formes de l’oubli, Payot 1998

[2] Idem, pag. 122

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