EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Orfani per femminicidio, il silenzio assordante

di Orietta Ciammetti

Femminicidio, uccisione di una donna in quanto donna.

La cronaca ci consegna quotidianamente notizie riguardanti donne uccise, solo perché donne, per mano di mariti, ex mariti, compagni, ex compagni. Nonostante oggi, più che in un passato relativamente recente, il fenomeno mostri attenzione e ricadute sul piano sociale, la storia si ripete incessantemente, reiterando un modello consueto quanto crudele: i protagonisti sono uomini che avrebbero dovuto rivestire un ruolo di protezione e donne che hanno riposto nei loro uomini fiducia ed amore. La scena è cosparsa di coppie che hanno condiviso un segmento della propria vita, il più delle volte lungo e denso di eventi importanti, modificandosi e modificando le rispettive vite, in un continuo cambiamento ed adattamento. Nella maggioranza dei casi, il loro percorso comune li ha condotti al reciproco desiderio di maternità e paternità. Sul palcoscenico di una artificiosa e scandalosa normalità del contesto familiare, interna ed esterna, la morte rappresenta la punta dell’iceberg di una vita di coppia e di famiglia caratterizzata da maltrattamenti fisici e morali, privazione della libertà personale, assoggettamento e svalutazione dell’umano femminile. Così come per l’iceberg è difficile immaginare le dimensioni reali della parte sommersa, nello stesso modo non è facile rappresentare l’orrore del perpetrarsi nel tempo di un fenomeno che, ancora oggi, a distanza di poco meno di quarant’anni dall’abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore[1], è opinione diffusa che affondi le proprie radici nei condizionamenti culturali che incidono sulle scelte degli uomini.

Alla luce dei fatti e delle argomentazioni che, mediaticamente e non, raggiungono il nostro sentire, è spontaneo chiedersi quanto, nelle diverse fattispecie, il fenomeno appaia realmente sommerso e quanto al contrario esso sia superficialmente, ingenuamente, egoisticamente occultato. Se non sono le donne a parlare, lo sono senza alcun dubbio i loro comportamenti. Se non sono i figli a parlare, lo è senza alcun dubbio il loro manifesto, incelabile disagio, che trova naturale espressione nei luoghi della loro apparentemente normale quotidianità. Ma, più spesso di quanto si possa immaginare, qualcuno parla: le vittime stesse, il vicinato, la scuola, voci ed urla udite ma non ascoltate da chi, al contrario, dovrebbe assicurare la presenza di un meccanismo di tutela e protezione nei casi di violazione dei diritti umani. Le vittime di violenza domestica vivono nell’assenza e nell’indifferenza della società civile, annunciando a chiare note la loro morte, nel disperato tentativo di salvare la propria vita e la qualità della vita futura dei propri figli, nella consapevolezza di un inevitabile epilogo.

Orfani Speciali, chi sono, dove sono, con chi sono[2] (Baldry, 2018).

I riflettori si accendono su un nuovo palcoscenico, dove l’artificiosa e scandalosa normalità familiare è stata squarciata dall’orrore dell’atto finale, l’inevitabile epilogo che, anche se annunciato, è rimasto ignorato. I protagonisti sono sempre gli stessi, ma l’iceberg ha iniziato drammaticamente ad emergere. Una donna assassinata con una violenza inaudita, un uomo, l’assassino e solitamente il padre dei suoi figli e i figli, le vittime collaterali del femminicidio, i cosiddetti orfani speciali.

Gli orfani speciali sono orfani di entrambi i genitori, la madre perché assassinata ed il padre, a volte suicida o, più spesso, detenuto in attesa di giudizio. Solitamente, una volta spenti i riflettori mediatici, sono dimenticati ed affidati a parenti, nella maggior parte dei casi, materni, anch’essi vittime collaterali dell’evento omicidiario. In assenza di parenti disponibili all’accoglienza, sono collocati in casa famiglia, in attesa delle decisioni del Tribunale per i Minorenni riguardanti il loro futuro.

Chi sono gli orfani speciali? Bambine, bambini, ragazze, ragazzi ma anche giovani adulti che hanno fatto esperienza di traumi cumulativi, hanno assistito alla violenza ripetuta nei confronti della propria madre e, spesso, subito violenza diretta. Sono vissuti in un contesto familiare altamente conflittuale e sono stati trascinati nel conflitto, in un clima fortemente pregiudizievole al loro sano processo di sviluppo. Sono persone che hanno esperito la violenza nel quotidiano, unica modalità comunicativa tra coloro che avrebbero dovuto essere i facilitatori e i mediatori con il mondo esterno. Molto spesso gli orfani speciali presentano caratteristiche comuni: inibizione intellettiva, inversione di ruolo per essere stati i difensori della propria madre, difficoltà scolastiche, problemi di socializzazione. Tutto ciò a causa dell’assenza di protezione e tutela da parte delle figure di riferimento genitoriale. Anche la migliore delle madri, in una situazione di vessazione e pericolo costante, stenta ad assicurare un accudimento adeguato ai propri figli. Essi diventano “figli del femminicidio” e ciò comporta la perdita di tutti quei parametri considerati “normali” nella perdita di un genitore, la morte della madre, di cui spesso purtroppo sono testimoni, causata dal proprio padre può essere considerato un trauma nel trauma del lutto. La conseguenza immediata riguarda il cambiamento radicale della propria vita, della quotidianità. Vengono allontanati dalla casa, dalla scuola, dalle amicizie, dall’ambiente sociale in cui sono nati e cresciuti.

Dove sono gli orfani speciali? Solitamente affidati a parenti materni, abitano ambienti a loro poco conosciuti, a volte allontanati dalla scuola, dagli amici, dalle attività extrascolastiche per motivi logistici, devono ri-costruire sul tempo presente il proprio assetto di vita, ignari delle prospettive future e confusi sul tempo passato. I loro affidatari si trovano a vivere la medesima perdita, quella di una figlia o di una sorella e, gravati dall’orrore dell’evento che li ha colpiti, devono poter trovare le risorse per poter navigare nella tormenta. La loro diventa una presenza irrinunciabile, indispensabile, insostituibile ma che necessita di un supporto di grande impatto umano e professionale.

Con chi sono gli orfani speciali? Nella migliore delle ipotesi con i parenti materni ma, questo non rappresenta sempre la soluzione migliore. Inevitabili conflitti si aprono tra le due famiglie di origine della coppia, ognuna nella sua posizione difensiva nei confronti del proprio figlio, come natura vuole. La sofferenza che avvolge le famiglie, coinvolge inevitabilmente gli orfani, bisognosi di un ambiente familiare che li possa accogliere e accompagnare fuori dal trauma.

Il bisogno imprescindibile è quello della presenza di una rete di servizi esterni alla famiglia deputata alla rilevazione dei bisogni e all’intervento per la gestione degli eventi successivi al femminicidio.

La breve, parziale analisi delle cause e degli effetti della violenza domestica sulle donne e i loro figli sembra convergere su un elemento comune, l’assenza di un dispositivo di prevenzione della violenza di genere e di gestione delle sue conseguenze.

Gli impianti normativi a tutela delle donne e dei minori, anche in virtù dei più recenti provvedimenti in materia di tutela degli orfani per femminicidio, nell’esplicitare e sancire procedure atte a garantire gli obiettivi prefissati, non ne garantiscono l’effettiva messa in pratica. L’intervento del legislatore è circoscritto al dettato legislativo e non può entrare nel merito dell’applicazione e dell’applicabilità ai casi concreti. Le norme vanno applicate e per farlo sono necessarie le risorse amministrative, economiche, umane. Sarebbe auspicabile la formulazione di un protocollo gestionale in ottica preventiva e riparativa su base multidisciplinare. Giudici, avvocati, assistenti sociali, pedagogisti, psicologi, sociologi, insegnanti, medici e pediatri potrebbero mettere a disposizione le proprie competenze, ognuno relativamente al suo campo d’azione, per definire un modello di intervento rispondente ai molteplici bisogni delle vittime collaterali di femminicidio. E’ necessario valutare e considerare tutte le istanze provenienti da questi soggetti che vivono la fragilità della loro condizione, declinandole sui molteplici piani: legale, psicologico, educativo, sociologico ma, soprattutto, umano.

Verso una pedagogia della Presenza

La Pedagogia deve poter esercitare la sua funzione di scienza dell’educazione e dello sviluppo umano in relazione al fenomeno della violenza di genere, fornire il proprio contributo alla gestione delle emergenze da esso derivanti ed alla prevenzione delle situazioni di rischio, coltivando lo sguardo pedagogico, garantendo la propria presenza attraverso l’assunzione di responsabilità. Ogni essere umano, colpito da un evento catastrofico, inevitabilmente subisce un arresto nel proprio processo di sviluppo. Subentra pertanto la necessità di fornire supporto, un’impalcatura che consenta di ristabilire l’equilibrio perso, attraverso il recupero dei punti di riferimento persi e la costruzione di un nuovo orizzonte di senso.

Edda Ducci afferma che “Tutto quel che riguarda l’educativo, il suo essere in sé ma anche quanto a lui si riferisce o con lui si collega, ha una storia parzialmente ripetitiva, che è facile rilevare. L’educativo è una realtà che si coglie immediatamente, quotidianamente. Implica ogni soggetto umano senza nessuna distinzione. Si intranea in tutti gli eventi umani, perché tutto ciò che ha significanza umana a lui si riferisce direttamente o indirettamente”[3].

Tale affermazione ci suggerisce quanto la presenza della pedagogia, o meglio delle pedagogie, nell’ambito della riflessione sull’educazione, possa dimostrarsi compensativa rispetto alle tante “assenze” rilevate nell’analisi delle dinamiche sottese alla violenza di genere. Quella “presenza” che si manifesta nell’essere nella relazione, quella qualità dell’esserci che può fornire spazio allo sviluppo di sé nell’altro.

 

 

[1] Legge 5 agosto 1981, n. 442, Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore, GU Serie Generale n. 218 del 10-08-1981

[2] Anna Costanza Baldry (1970-2019) ha definito gli orfani per femminicidio Orfani Speciali “perché ho sin dall’inizio immaginato che nessun’altra condizione di un essere umano potesse essere così speciale, così unica. I loro bisogni sono speciali, la loro condizione psicologica è speciale, così come i loro destini sono speciali”.

A.C. Baldri, Orfani speciali. Chi sono, dove sono, con chi sono. Conseguenze psicosociali su figlie e figli del femminicidio, Franco Angeli, Milano 2018

[3] E. Ducci, Preoccuparsi dell’educativo, (a cura), Anicia, Roma 2002

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