EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Piccolo dizionario della scuola italiana

di Gianfranco Giudice

Le voci di questo dizionario sono un estratto  da un diario di bordo in fieri fatto di pensieri ed osservazioni in presa diretta, che da anni annoto giorno per giorno  come un entomologo (essendo io il primo insetto)  dalla mia esperienza di docente di filosofia e storia nel Liceo scientifico statale “Paolo Giovio” di Como. Sono fotografie, istantanee catturate da esperienze irripetibili fatte in classe con i miei studenti, ma anche con i colleghi e altra varia umanità che insieme a me popola la scuola. Esperienze individuali che tuttavia assumono un valore più generale,  perché ci parlano  della scuola, dei suoi studenti, degli insegnanti, ma anche della società di cui la scuola è parte viva e insieme  specchio riflettente in questo XXI secolo. Viviamo in un’epoca nuova che osservo con gli occhi di un vecchio professore del’900  che vive il proprio tempo con la giusta dose di spaesamento necessaria per esercitare quella via verso la saggezza costituita dall’ironia e soprattutto dall’autoironia. Queste voci sono dunque  lo spaccato  di un’esperienza personale, che  per un altro aspetto tuttavia  ci mostrano la schola perennis, la scuola che abbiamo frequentato tutti da sempre e tutti frequenteranno per sempre, almeno finché una scuola esisterà e resisterà in questi tempi difficili.

 

A”  come amore

Nel corridoio del liceo lui teneramente e timidamente sfiora con le labbra la bocca di lei appoggiata al muro. Io mi giro immediatamente e continuo a fare il severo professore che sorveglia durante l’intervallo gli studenti. Sì perché questi ragazzi nel tempo del liceo si educano anche agli affetti, ai sentimenti, insomma all’amore per un altro essere umano, oltre che a quello per la filosofia, la storia, la matematica, le scienze, la letteratura, le lingue…perché sempre di amore si tratta, comunque conoscenza e passione per un’anima, un corpo, quello che altre anime e corpi hanno prodotto nel tempo.

“B” come banca

Crediti, debiti, saldi, dove siamo? In banca, no a scuola! L’altro giorno ho proposto ad alcuni studenti un’attività di lettura libera che stiamo organizzando come biblioteca scolastica, un ragazzo peraltro intelligente e bravo, mi fredda subito con la fatidica domanda: “L’attività dà crediti?”. Ho dovuto confessare timidamente che per ora no, è gratis et amore Dei. Oggi entra in una mia classe una ragazza per presentare una interessante conferenza pomeridiana di scienze, la motivazione principale esposta? Vale per il credito scolastico. Al che io ridendo ho ricordato agli studenti il mio incontro pomeridiano sulla felicità, all’Università popolare di Como, che non accredita nulla, a parte una discussione e un confronto con altre persone, si spera interessante e utile per la mente. Nella scuola c’è qualcosa che proprio non va.

“C” come contorsioni

Sono incredibili le contorsioni della bocca di certi studenti per non essere visti, mentre cercano di suggerire al compagno interrogato seduto accanto. Il fatto è che tu vedi sempre, ma come fai ad interrompere lo spettacolo? Sarebbe brutto togliere al suggeritore contorsionista il gusto della malandrinata ben riuscita. Eppoi a volte è uno spettacolo così divertente!  Infine, sai quante cose finalmente imparano coi suggerimenti certi studenti fannulloni.

 

“D” come dentro

C’è che dopo l’esame di alcuni ragazzi che sai non vedrai più, ti prende la nostalgia. Ma non si può, non è professionale, nessuno deve vedere nulla. Il professore è il professore, incontra per caso i suoi ragazzi, li accompagna per mano per un po’, gli vuole anche bene, e poi li lascia andare. È il suo mestiere, il resto lo tiene e lo deve tenere gelosamente dentro  di sé.

 

“E” come esistenza (di Dio)

Dio esiste? Sempre più volte mi capitano studenti che mi rivolgono questa domanda, ed io rispondo sempre che per me la risposta dipende dal significato che diamo alla parola “dio”. In una classe questa mattina i ragazzi, dopo avermi sparato in faccia la domanda, mi hanno riferito di un sondaggio tra di loro, da cui risulta che la maggioranza crede nel Dio- persona cristiano e la minoranza crede in un Dio impersonale, una sorta di Dio aristotelico, epicureo, cartesiano, insomma il Dio-concetto dei filosofi, a cui non ti rivolgi certo con le preghiere. Qualcuno invece pensa ad un Dio come energia che attraversa l’universo. Insomma bisogna che cominci a pensare meglio alla risposta a quella domanda, domanda che peraltro mi pongo da sempre. Ma forse il punto sta tutto qui, come ho accennato ai miei ragazzi, ovvero la risposta se Dio esista è nel senso del domandare stesso, nel fare esperienza personale di questa domanda sull’assoluto. Esperienza che riguarda solo l’uomo, non le piante o gli animali, come ho detto loro. La risposta forse è solo un dettaglio, a cui certo non si deve del tutto rinunciare a pensare.

 

“F” come filosofia

Che la filosofia nasca dalla meraviglia, dallo stupore per l’ignoto che si vuole conoscere per puro amore del sapere, è oramai un luogo comune a partire da un celebre passo aristotelico della “Metafisica”. Meno comune è riflettere su cosa esattamente questo significhi. Quando dici questa cosa ai ragazzi, questi pensano subito al bello, alle cose straordinarie, meravigliose appunto. Sì perché “meraviglia” con valore di aggettivo, ovvero “meraviglioso”, comunica immediatamente qualcosa di bello, bellissimo. “Meraviglia” però è anche sostantivo, in tal caso può essere sia bella che brutta la meraviglia, anche traumatica e angosciante. Ecco la filosofia forse ha più a che fare con questo, come il termine greco usato da Aristotele per meraviglia suggerisce (thauma). Benedetto Croce parlando del suo lavoro filosofico diceva nei Taccuini privati che fosse una lenta elaborazione dell’angoscia legata alla morte. La filosofia dunque è molto meno teorica e disinteressata di quel che si pensi comunemente, sarebbe solo una (tra le tante possibili) risposte all’angoscia di fronte al nulla.

 

“G” come giovani

Sto armeggiando alla fine dell’ora di lezione col mio cellulare, cerco di trasformare un PDF in una immagine da salvare. Ad un certo punto non riuscendo a concludere nulla dico ad un ragazzo, pensando ad una soluzione artigianale, di fotografare col suo cellulare il PDF per poi inviarmi l’immagine. Insomma sarebbe come usare oggi un piccione viaggiatore per comunicare a distanza! Il ragazzo infatti mi guarda stupito ma senza aria di compatimento, mi vuole bene, così sapendo di potermi insegnare una cosa (non l’unica) prende dalle mie mani il cellulare e voilà ecco in un istante risolto il mio problema, meraviglioso! Lo studente vede nei miei occhi la gioia di un ragazzino che ha appena appreso una cosa nuova. Per essere sicuro di avere capito (spesso succede il contrario) chiedo di rifare insieme a lui l’operazione che riesce di nuovo perfettamente, salvo un mio piccolo errore nel maneggiare i tasti… ovviamente. Ogni volta che entri in classe ed esci avendo imparato qualcosa è troppo bello, ti senti più giovane e fedele al mestiere dell’insegnate, che mai può e deve smettere di imparare.

 

“H” come hip hip hurrà!

Dio santo abbiamo finito i colloqui! Hip, hip, hurrà! Sia santificato il cielo, non sopporto più i commissari, non sopporto più me stesso, il giovane presidente del consiglio italiano parla di generazione Erasmus e Telemaco, ha impugnato la bandiera del rinnovamento della scuola, ha dettato le nuove linee guida per la scuola italiana, per la “buona scuola”,  la nuova grande riforma, la terza o la quarta degli ultimi vent’anni,  io più umilmente chiederei a chi ci governa una cosa piccola piccola,, di liberaci al più presto da questo tipo di esame. Sto apponendo decine, centinaia di firme inutili, perché la quantità di autografi è inversamente proporzionale alla loro importanza, carte inutili che neppure i topi d’archivio troveranno appetitose e che ad ogni esame di maturità ritornano immancabili, implacabili, il tutto impacchettato e inceralaccato con tanti timbri e altre firme, come nella migliore cancelleria borbonica dell’Ottocento che si rispetti. E’ finita, si dice così, proprio come si diceva alla fine della naja, tutti a casa e poi in vacanza. Il barcone della scuola ripartirà a settembre, proseguiremo a navigare sperando negli dei e nella nostra passione, l’unico vero motore e carburante della scuola e della vita.

 

“I” come insegnare

Che cosa si insegna alla fine? Parole, parole da usare, da capire, da cogliere nel loro significato etimologico, nelle loro tante sfumature. Parole che diventano concetti con cui catturare e prendere assieme (dall’etimologia latina) la realtà, per capirla, comprenderla e cercare di prevederla. Parole con cui darsi ragione di quel che ci accade, con cui raccontarci e raccontare la vita per dargli un senso e dare un senso a questo pazzo mondo in cui ci è capitato di vivere. Parole per parlare agli altri e mettere in relazione esistenze uniche che senza parole sarebbero come atomi incomunicanti, che quando comunicano scoprono sintonie talora meravigliose che ti lasciano senza terra sotto i piedi. Ti chiedi allora se la mancanza di comunicazione spesso non sia solo una difesa dall’angoscia di scoprirsi nudi di fronte all’altro. La storia, la filosofia, la letteratura, le scienze, l’arte, la matematica, l’educazione tecnica…sono tante parole, linguaggi e discorsi, tante reti gettate nel caos per renderlo almeno un poco e per poco ordinato. Finché come le reti nel mare, anche le nostre parole non si saranno consumate e sarà necessario tesserne di nuove, dentro un lavoro senza fine di educazione alla e della parola.

 

“L” come lezione

La lezione se vuole trovare la sua efficacia maggiore ad un certo punto si deve trasformare in uno spettacolo comico, anche se parli della filosofia dello spirito hegeliana che propriamente comica non è, essendo piuttosto tragica. Come ogni comico che si rispetti, anche il professore ha bisogno di una valida spalla presente tra il pubblico. Per esempio uno studente in prima fila col cappellino in testa che continua ad interrompere la lezione tra starnuti, tosse e soffiaggi di naso. Il mio duetto con lui è meglio di un buon manuale per chiarire alcuni concetti del grande filosofo tedesco. Soprattutto quando spieghi che le istituzioni restano (almeno per un bel po’) e fanno la storia mentre gli individui passano…e lo studente col cappellino se non cura la sua tosse rischia di passare rapidamente all’ospedale.

 

“M” come matematica

Se un  insegnante di matematica della scuola dice: “Il ragazzo non capisce al volo alcuni concetti”, a cosa ti fa pensare? Primo, che il docente ha scambiato l’apprendimento con l’attività venatoria, ovvero prendere al volo uccelli che passano per caso in cielo. Secondo, che il disastro della didattica della matematica continua con poche speranze nella scuola italiana. Poveri ragazzi e povera matematica!

 

“N” come Natale

E così arriva anche quest’anno Natale, come passa il tempo… Ai lati della cattedra di una delle mie tre simpaticissime quinte si ergono due alberi natalizi, uno più grande ed uno più piccino. Dico ai ragazzi che a questo punto ci vorrebbe il presepe. Proposta accolta subito all’unanimità, ma, specifico subito, dobbiamo farlo vivente con noi stessi come personaggi! Mi offro immediatamente come San Giuseppe, del resto ho sempre amato la falegnameria, il problema sarà trovare la Madonna, Gesù bambino…ma soprattutto l’asino e il bue.

 

“O” come osteria

Suona l’intervallo e immancabili le simpatiche canaglie di questa classe dispongono i tavoli per la partita a carte. Dopo c’è compito in classe di matematica, dunque meglio cominciare a contare i punti di scopa! L’aula sembra un’osteria, manca il fumo e il bere; quasi quasi farei il cameriere invece dell’insegnante per servire il vino ai tavoli, qualcuno chiede un grappino, a quest’ora! Niente cameriere, mi vogliono ai tavoli, e vai con una mano di carte che con una ragazza come compagna vinco alla grande! Adesso arrivano i numeri veri, buon compito in classe e la ragazza che ha giocato con me, essendo brava in matematica, porterà fortuna a tutti, speriamo.

 

“P” come profezia

Se c’è una cosa che non riesco proprio a digerire nella scuola sono le profezie che si autoavverano. Mi riferisco a quegli indirizzi scolastici considerati gerarchicamente inferiori ad altri, liceali e non, ma pure tra i diversi tipi di liceo. Ancora oggi spesso la scelta di un indirizzo di studi è legata all’appartenenza sociale. Succede che molti docenti, considerando i loro ragazzi meno bravi di altri, invece di moltiplicare gli sforzi motivazionali, facciano invece passare la loro scarsa motivazione rispetto ad un certo indirizzo di studi ai loro studenti, insomma per il loro sguardo il bicchiere è sempre mezzo vuoto, non mezzo pieno. La motivazione è tutto per gli adolescenti, e con un buon lavoro su quel terreno si possono ottenere risultati sorprendenti, perché la mente di un ragazzino è come un terreno fertile che attende solo i semi giusti e l’energia perché germoglino e crescano. Se si guarda il piano di studi di qualunque indirizzo scolastico, si tratta sempre di un percorso dalle potenzialità e opportunità straordinarie, se sappiamo tradurlo con la spinta e l’energia giuste. Non possiamo rassegnarci ancora oggi alla gerarchia di fatto nei percorsi formativi, nel senso delle scuole per i bravi e meno bravi. Si è “bravi” rispetto a quel che si fa, non in senso assoluto, metafisico. Esistono certamente differenze tra i piani di studio, ma ogni percorso scolastico dovrebbe essere ricco, motivante, tale che ogni ragazzo riuscisse ad esprimere il meglio di sé, facendo quel che ha deciso di fare. Indubbiamente il fattore decisivo siamo noi docenti, per attuare una reale uguaglianza nelle opportunità pur nella differenza dei percorsi formativi.

 

“Q” come quaresima

È un mese circa che, causa tosse e mal di gola, non fumo il mio amato toscano, una penitenza. Oggi vedo passare veloce nel corridoio un collega con un pacchetto di extravecchio in mano. Naturalmente lo adocchio subito, ci mettiamo a parlare io e lui  di sigari, pipe e tabacco. Dico al collega che purtroppo sono alcune settimane che non assaporo il sigaro italiano e lui mi dice ridendo che è la mia Quaresima. Una penitenza appunto, in effetti siamo vicini alla Pasqua…ah dimenticavo, il collega insegna religione!

 

“R” come ragazzi

Andrea e Vincenzo sono due miei ex carissimi allievi, hanno finito il liceo circa sette anni fa. Oggi a sorpresa sono venuti a salutarmi a scuola. Andrea è venuto a Como da Firenze dove studia, appositamente per votare no ad un referendum, per fare il suo dovere mi dice, ma questo è solo un dettaglio. Vincenzo vive tra Como e la Sicilia, ma forse il cuore lo porterà presto a Roma. Ci siamo abbracciati e salutati con vero affetto, perché ci vogliamo bene; a me sono particolarmente cari, forse proprio perché non sono mai stati due studenti modello. Ho colto l’occasione e ho chiesto loro di parlare della loro esperienza ai ragazzi della mia attuale quinta, in procinto di fare la scelta della vita fra qualche mese, dopo la maturità, così come accadrà anche a mio figlio. Andrea era un tipo tosto a scuola, un geniaccio, litigavamo sempre. Il ragazzaccio prima ha iniziato a studiare lettere a Roma, poi è passato a filosofia a Firenze, anche grazie a qualche lezione del vecchio professore, come con mio grande piacere ci tiene a ricordare oggi. Si sta laureando in logica e filosofia analitica, poi andrà in Grecia per l’Erasmus. Vincenzo al liceo era un ragazzo straordinario, girava per i corridoi con i libri di Aristotele sotto il braccio… li leggeva anche! Dopo la maturità non ha fatto l’Università ma il contadino nella sua terra di origine, la Sicilia. Ha appena terminato la raccolta delle olive e delle mandorle, prima di Natale tornerà al Sud per la semina dell’orzo e poi la raccolta delle arance. Vincenzo dice ai ragazzi di quinta di avere rinunciato all’Università, ma non alla passione per lo studio e la lettura. Perché quella, ci tiene a dirlo, se ti viene non la abbandoni più. Caro Vincenzo, con quel suo cagnolino portato in giro per le vie della città con una corda lunga alcuni metri, che quando lo vedevo non sapevo mai se fosse lui a portare il cane o, vista la magrezza, fosse viceversa! Grazie ragazzi miei della vostra lezione di vita, vedo e assaporo per un attimo il vostro tempo con gli occhi del mio tempo. In fondo io vecchietto e voi giovanotti, riusciamo per un istante a sentire le stesse cose, questa è la cosa straordinaria della scuola. Andrea e Vincenzo mi salutano: ”Buongiorno Professore!”; ed io, dopo averli riabbracciati con una pacca sulle spalle e una carezza sulla testa emozionato: ”Ciao ragazzi!”.

 

“S” come spedagogia

“Quel ragazzo non ci arriva”, ecco l’affermazione peggiore che possa pronunciare un insegnante, una affermazione che rappresenta la bandiera bianca della pedagogia, meglio della spedagogia,  la disfatta della scuola, la catastrofe dell’educazione come idea. Perché la scuola fino a diciotto anni esiste per fare arrivare tutti, ciascuno certo con le proprie capacità e possibilità, con impegno e lavoro serio, senza sconti. Ma altrettanto fastidiosa è quest’altra affermazione in bocca ad un docente: “Quello è uno bravo!”. Ecco un destino segnato, un modello perfetto che si riproduce anno dopo anno in questa o quella classe, come le piante nelle serre, a prescindere da tutto e tutti. Certo, esiste la bravura, ne ho vista tanta anche io, a volte straordinaria, ma per piacere evitiamo certe etichette! Perché la bravura non è un assoluto, è sempre relativa a qualcosa. Essere un genio in matematica, in latino o in filosofia non significa essere un padreterno! Ho imparato questo sulla mia pelle, prima da studente (poco geniale), poi da insegnante e infine da genitore.

 

“T” come tempo

Ultime ore con la pioggia, oggi a Berlino per la prima volta c’è il cielo… di Berlino. Vedo questi ragazzi di quinta che tra qualche settimana saluterò per l’ultima volta, dopo la maturità. Il loro viaggio della vita prenderà il largo, salperà in mare aperto dopo avere lasciato il porto sicuro del liceo. Li hai presi per mano per qualche anno, li hai accompagnati, professore, ma anche fratello maggiore, padre…magari vecchio zio o nonno. Così gli vuoi bene, perché non puoi fare questo mestiere senza volere bene ai ragazzi, come disse anni fa un mio caro amico e collega andando in pensione. Mi piace essere stato con questi studenti in Germania, al diavolo i piedi e la stanchezza da quasi sessantenne. Mi piace perché tanti anni fa ho attraversato in treno la terra tedesca con un amico, sognando e immaginando il futuro. È bello vedere i miei studenti incrociare insieme a me per un attimo questo stesso paese, loro ventenni ed io con quarant’anni di più, bere tutti assieme una birra. Tutti i tempi si incrociano nel tempo.

 

“U” come un 

Un calabrone si aggira per l’aula, classe in subbuglio! Pare che sopra la testa dei ragazzi ci sia chissà quale mostro pericolosissimo che minacci le loro vite. Dopo varie operazioni e movimenti, si riesce a cacciare l’insetto fuori dalla finestra…ma dopo un po’ questo ricompare davanti al vetro di una finestra chiusa cercando di entrare. L’avevo detto ai ragazzi di lasciarlo in pace, in fondo voleva solo ascoltare la mia lezione di storia e sicuramente sarebbe stato più interessato di loro, visto che è l’ultima ora del sabato. Poveri calabroni e poveri insegnanti.

 

“V” come valutazione

Siamo alla vigilia non solo di Natale, ma anche degli scrutini del trimestre, nelle scuole dove c’è il trimestre. Che cos’è la valutazione? Numeri, medie matematiche, griglie di valutazione; anche il voto in condotta che rientra nella media complessiva, per alcuni miei colleghi matematici (con cui dissento quasi sempre), dovrebbe essere frutto di un puro calcolo aritmetico; una media a partire dal voto dato da ciascun docente, come se l’intero vivente fosse la pura sommatoria delle parti, come accade per un sacco di patate, con la motivazione che così si va più veloci…follia pura! Esiste persino una scienza della valutazione: la docimologia. Io credo invece, senza nulla togliere al resto, che la valutazione faccia rima innanzitutto con relazione; la valutazione è un atto con cui io docente stimolo, do fiducia, faccio crescere il ragazzo. La valutazione non è un metro con cui misurare l’altezza o la larghezza di un corpo, oppure una bilancia con cui pesarne la gravità. La valutazione è parte essenziale del processo formativo, dare fiducia e credere nello studente è l’energia prima dell’atto educativo. Motivare con un voto in più, invece che misurare o pesare mettendo un voto in meno, fa una differenza abissale nel modo di intendere il processo formativo. Qualcuno pensa che questo significhi essere buoni; io ho la fama di essere buono, anzi “troppo buono”; come mi diceva qualche giorno fa la mamma di una mia allieva, ed essere definiti troppo buoni non sei mai sicuro che sia un complimento. Perché come dice il proverbio, credo veneto: bon bon, tre volte bon ghe mona. Non si tratta di bontà, ma di una certa idea della scuola e della formazione. Anche perché vi assicuro che qualche tre ogni tanto lo metto pure io, che sono troppo buono.

 

“Z” come zebra

Parlo in modo appassionato alla classe della teoria darwiniana. Faccio l’esempio classico per spiegare il gioco di caso e necessità nel meccanismo evolutivo, della zebra con il collo lungo, nomino questo strano animale più volte…finché una ragazza col sorrisino mi guarda amorevolmente dicendomi, con il resto della classe muta: ”La giraffa?”. E siamo solo a pochi giorni dalla ripresa delle lezioni…e a quanto dalla pensione? Chissà quante zebre con il collo lungo si raccontano in classe, e senza neppure un sorrisetto che ti avverta.

 

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