EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Rinunciare ai principi, concentrarsi sulle conseguenze. Intervista a Carlo Sini.

di Federica Biolzi

Carlo Sini, insigne filosofo, fa sentire la sua voce, con uno stimolante volume edito da Jaca Book, nel dibattito dell’Intelligenza Artificiale. Lo fa, come lui stesso sostiene, con fermezza ed umiltà, in modo semplice e diretto. Grazie, ancora una volta, al professor Sini, per questo prezioso colloquio.

-All’inizio del suo quanto mai attuale volume, lei pone una significativa premessa: è sua intenzione trattare l’IA dall’ esterno, non da specialista della materia, per dare un contributo a quelli che con l’intelligenza artificiale ci lavorano o che sono interessati a comprenderla.  Che tipo di contributo può in concreto dare la filosofia, e il filosofo, a questo argomento? 

-L’intelligenza artificiale è uno strumento e come ogni strumento è frutto del lavoro sociale. Ogni strumento persegue fini specifici per i quali è stato progettato, realizzato, utilizzato, tenuto in serbo e così via. Tutto ciò ha a che fare con l’efficienza dei mezzi che gli esseri umani sono in grado di produrre nel corso della loro storia, secondo i due fini principali della sopravvivenza e della generazione. 

Quindi, potremmo sintetizzare, si tratta in ogni caso del “come”, cioè delle procedure idonee a realizzare il fine desiderato. Resta indeciso il “perché”, se fare, non fare e perché fare o desiderare. 

In termini kantiani: è palese l’imperativo “ipotetico” (se vuoi A fai B), ma resta oscura la natura del volere, cioè la sua opportunità o necessità “categorica”. Chi e in che modo se ne farà carico? Chi e in che modo stabilirà che è bene A e non B, e a favore di che o di chi? È in sostanza la questione politica del sapere, cui si affiancano le motivazioni morali, religiose, valoriali ecc. 

In questo ambito la filosofia moderna ha acquisito una specifica competenza di natura “storica”, ovvero la consapevolezza che le ragioni politiche, le credenze religiose, le tavole dei valori hanno natura contingente, provvisoria e transeunte. 

Come diceva Nietzsche: in ogni tempo è diverso. Persino il più diffuso dei divieti, quello di non uccidere, è sempre stato ed è tuttora tragicamente disatteso, magari con l’avvertenza di non uccidere questi, ma “virtuosamente” quelli: meriterai così una bella medaglia.

Per tornare, dopo un lungo giro, all’intelligenza artificiale: il suo uso, come accade per ogni strumento, pone ovviamente problemi; non solo quelli “tecnici” della sua efficienza (certamente straordinaria), ma anche quelli politici, giuridici, economici, psicologici, morali ecc. 

Come si vede, un’altra serie di competenze particolari, con i relativi strumenti, le relative logiche, le inevitabili pretese e i ricorrenti pregiudizi. La riflessione filosofica non ne è a sua volta esente e forse il suo solo vantaggio è di saperlo con una lucidità e con una radicalità straordinarie, cioè non comuni tra gli esseri umani e le loro culture. Su questa base immagino il contributo di cui ho parlato. Provo qui a sintetizzarlo in poche parole. 

La riflessione filosofica, educata dalla coscienza storica, smette di pretendere di stabilire principi e tavole di valori, criteri assoluti, verità eterne ecc.; smette il ricorrente errore e orrore di coloro che pretendono di parlare in nome della verità o di immaginari esseri supremi, che avrebbero avuto il privilegio di ascoltare; la proposta filosofica rinuncia ai principi per concentrarsi sulle conseguenze: sarà solo alla loro luce che potrà stabilirsi, in tempi relativamente contingenti, un nuovo contratto sociale, che stabilisca che cosa è manifestamente bene fare e che cosa si può fare o non fare, sino a prova contraria. Sarebbe una rivoluzione che raccoglie la grande eredità della cultura europea e della sua drammatica storia per offrirla esemplarmente a un mondo sollecitato a liberarsi dai suoi pregiudizi, dai suoi deliri e dalle sue violenze.

-Si usa il termine di Intelligenza artificiale. Un’espressione che certo affascina ma che appare contraddittoria in se, una sorta di ossimoro, non ultimo per l’aspetto di socialità che l’intelligenza possiede. Quali aspetti occorre tenere presente quando si parla di intelligenza di una macchina? 

-Se è intelligenza non è artificiale e se è artificiale non è intelligenza; anzitutto perché, come dice bene la sua domanda, l’intelligenza è un fatto sociale. Essa è “pubblica”, come direbbe Peirce, ma il “pubblico” è un complesso di relazioni in perenne movimento e in reciproca influenza. L’intelligenza di Archiloco non è quella di Orazio, quella di Tommaso non è quella di Cartesio: i mondi, le azioni, gli strumenti, i linguaggi, le credenze, gli scopi e le emozioni sono diversi. 

Naturalmente anche questo modo di parlare dell’intelligenza appartiene a una figura della verità pubblica in cammino: non una verità assoluta, cioè “sciolta” dalle sue appartenenze e relazioni operanti, ma una “nostra” frequentazione della verità, un modo “nostro” o quanto meno mio. Se non hai visto questo non sei entrato nell’esercizio della filosofia e neppure ne hai attinto la potenza, persuasiva e futura.

Quindi “definire” l’intelligenza, per poi vedere se possa essere anche artificiale, è un non senso: con quale “intelligenza” definiresti l’intelligenza? Attinta da dove? In che senso “intelligente”? Ma allora non si può definire nulla? Si può, non dimenticandosi di quello che si fa. Così si può dire “pane”, senza pretendere che il pane abbia quattro lettere, ma anche senza rinunciare alla utilità sociale delle parole, che sono di grande aiuto per mangiare, cioè per una complessa attività sociale, ma vanno esentate dal pregiudizio “naturalistico” (“onto-logico”) che pensa che dietro ogni parola ci sia una “cosa” corrispondente; il pane  non è una cosa, un “ente” immaginario, come pensano i metafisici, ma è un insieme complesso di operazioni, conoscenze, regole, discorsi ecc. Un’ultima cosa. Dice Giuseppe Longo, un autorevole studioso dell’intelligenza artificiale, che essa è straordinariamente capace di “imitare” comportamenti intelligenti, non di produrli. Questo è privilegio delle scienze naturali che sono consapevoli dei loro procedimenti tecnico-misurativi di fenomeni cosiddetti naturali, che sono sempre irrimediabilmente e inesorabilmente più complessi dei risultati delle operazioni misurative e strumentali. L’intelligenza artificiale imita risultati acquisiti, non produce nulla di veramente nuovo. Il che non significa che non sia utile e importante, se sai che cosa dici e che cosa fai.

-Lei dedica un capitolo al corpo e precisamente al corpo come supporto delle sue stesse azioni. Cosa significa e cosa comporta questa concezione del corpo tenendo conto del rapporto tra uomo e tecnologia? 

-La questione del corpo è assai complessa ed è anche afflitta da pregiudizi “naturalistici”, come diceva Husserl, non della scienza, ma delle opinioni che gli scienziati si fanno spesso del loro lavoro. Poiché Lei mi chiede di tener conto nella risposta del rapporto tra uomo e tecnologia, comincio con l’osservare che non si tratta propriamente di un rapporto: uomo di qua più tecnologia di là. Gli esseri umani sono originariamente ed essenzialmente “tecnologici” o non sono “umani” e dire questo è appunto un tratto della loro tecnologica natura, cioè della loro natura “culturale”). Su tutto ciò gravano da sempre pregiudizi e superstizioni, che fanno parte del gioco.

Quanto al corpo direi molto in sintesi così: c’è un corpo vissuto e c’è un corpo saputo. Il primo è il supporto irriducibile ma sempre anche pre-supposto dalle e delle sue conoscenze. Si comincia con la nascita: imparo tutto ciò che posso fare come quel corpo vivente che sono; poi tutto ciò che ne posso dire, compresa la parola “corpo”. I primi li definiamo, diceva Marx citando Darwin, corpi o strumenti (organa) naturali; i secondi corpi o strumenti sociali. Il presupposto del corpo coincide dinamicamente con il suo cammino, cioè col suo destino futuro, in cui si compendia ciò che chiamiamo “civiltà”. Il corpo che saremo, il corpo che faremo, i suoi componenti strumentali: ecco il nostro cammino e destino planetario, inquietante e grandioso.

-Tra le sue interessanti riflessioni vi e è quella del rapporto tra filosofia e scienza, se la filosofia possa in qualche modo diventare scientifica. Si tratta di qualcosa di non poco conto e variamente trattato in letteratura filosofica. Ci potrebbe precisare il suo pensiero in proposito e, soprattutto questa scientificità è necessaria e utile? 

-L’idea della filosofia come scienza dell’intero, del tutto (olon), è antica, per esempio già in Platone, poi nella filosofia romantica e infine nell’ultimo Husserl, come scienza del mondo della vita (Lebenswelt). Ma la filosofia nasce socraticamente come questione del sapere e domanda sul sapere: come potrebbe diventare un sapere? Come potrebbe, se fosse un sapere, fare a meno di domandare di sé (e appunto come vedi lo fa)? E come poi immaginare di discettare sull’intero essendone evidentemente parte? I saperi che ci caratterizzano nascono dal mondo, sono figli del cielo e della terra, e insieme ne costruiscono il sapere o l’immagine in un cammino di coincidenze e di differenze, sempre riaffermate e sempre riaperte. Il mondo è in cammino nei nostri saperi, che siamo in cammino nel mondo (ne dubitate?); ma questo appunto lo dice il sapere, rispetto al quale il mondo, per così dire, si sottrae, ovvero, che è il medesimo, ci aspetta e ci motiva a essere quel che dovremo essere o altri dovranno essere un po’ più in là.

Quanto alla scienza galileiana, incentrata sulla matematica e sul metodo sperimentale, essa, come direbbe Wittgenstein, va bene com’è; fa quello che deve fare e che, per nostra fortuna, appunto fa. L’esercizio filosofico potrebbe e può influire sullo scienziato in quanto uomo, non sullo scienziato come tecnico della conoscenza oggettiva. Questa è propriamente la scienza, non ne abbiamo un’altra. Che cosa diventerà in futuro è impossibile prevedere, poiché troppe cose dovrebbero cambiare e cambieranno. Così infine a me pare, per quel che vale questo parere e per quel che può essere condiviso nelle sue conseguenze, come diceva Peirce, “concepibili”.


Carlo Sini 

Intelligenza Artificiale e altri scritti

2024, Jaca Book

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