di Massimiliano Buriassi – Per stephchild adoption si intende la adozione del figlio del proprio partner o come vorrebbero i sostenitori più puritani della lingua italiana l’adozione del configlio.
La normativa di riferimento cardine delle procedure di adozione è la Legge 184 del 04/05/1983 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”. La legge in questione prevede che sono dichiarati, anche d’ufficio, in stato di adottabilità, dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi . Vi è, poi, nella medesima normativa di riferimento l’art. 44 che prevede il caso di adozione in casi particolari laddove i minori possono essere adottati, oltre a quanto sopraddetto, anche in altri casi: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilita’ di affidamento preadottivo. Il caso che andiamo a trattare è proprio quello a cui si riferisce l’art. 44 lettera D della L. 184/1983 (normativa tutt’oggi di riferimento che detta i principi generali della adozione speciale del figlio del partner).
Va ricordato infatti che, paradossalmente, nella recentissima legge n. 76 del 20/05/2016 dal titolo: “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, proprio gli articoli riguardanti la stepchild adoption sono stati eliminati. La recente normativa, quindi, è stata approvata soltanto a seguito dello stralcio della parte riguardante l’adozione del con figlio. Senza tale stralcio la normativa, ahimè, non avrebbe ottenuto i voti necessari alla sua approvazione. In tale contesto normativo si inserisce, dunque, la recente sentenza n. 12962 della Prima sezione Cassazione civile, datata 22/06/2016, sentenza che a livello giurisprudenziale ha sancito, con fermezza, l’adottabilità dei figli del coniuge o del convivente dello stesso sesso in applicazione dell’art. 44 lettera D della L. 184/1983 (casi speciali di adozione). La Corte di cassazione ha respinto, infatti, la impugnazione, effettuata dal Procuratore Generale, avverso la sentenza n. 7127/2015, della Corte d’appello di Roma, che confermava una già precedente conforme sentenza del Tribunale della Capitale. La sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma (confermata, come detto, in ultima istanza dalla Suprema Corte) prevede la possibilità di adozione del figlio del proprio partner (nel caso di specie partner dello stesso sesso). La Suprema Corte, dunque, nel caso in esame, ha confermato che una donna può adottare, nella forma delle adozioni particolari la figlia della propria compagna, nata in seguito a fecondazione assistita, con il seme di donatore anonimo, all’interno di un progetto genitoriale condiviso. Il fatto trattato dalla Corte di Cassazione è abbastanza semplice di per sé: due donne, legate da una stabile convivenza familiare, decidono di avere un figlio, ricorrendo alla fecondazione assistita all’estero. Dalla fecondazione (ovviamente eterologa con donatore esterno) nasce una bambina che instaura un profondo legame relazionale ed affettivo con le due donne, che convivono, ciò in un contesto familiare e sociale del tutto identico a quello di bambine di quell’età. La compagna della madre (cosiddetta compagna sociale) richiede di formalizzare, tramite adozione, la situazione di fatto in essere ricorrendo, come detto, alla normativa di cui all’art. 44 lettera D L. 184/1983 (adozione in casi particolari). La domanda proposta viene accolta conformemente in tutti e tre i gradi di giudizio. La Corte di Cassazione ha, infatti, confermato che l’adozione speciale, riferita alla normativa in appresso indicata ( L. 184/83) prescinde dallo stato di abbandono del minore ed è volta a legittimare una relazione consolidata e già instaurata tra il minore e l’adottante. L’unica situazione che deve valutare, in questi casi, il Giudice è sempre e soltanto, nel quadro normativo esistente, il Supremo interesse del minore. Ciò è stabilito dall’art. 57 comma 2 della L. 184/1983 ed è stato confermato in plurime sentenze della Convenzione Europea dei Diritti Umani nonché nelle convenzioni internazionali. L’applicabilità di tale normativa, secondo la Suprema Corte, è possibile sia con riferimento a persone singole oppure a coppie di fatto aldilà del proprio orientamento sessuale ed alla conseguente natura della relazione stabilita con il compagno/a, avuto riguardo all’interesse supremo del minore. Viene, dunque, legittimata l’adozione anche del figlio del compagno dello stesso sesso del genitore biologico del minore. L’adozione in esame, dunque, viene disposta dal Tribunale per i minorenni dopo una attenta valutazione riguardo l’idoneità affettiva, la capacità educativa, la situazione personale, economica, la salute e l’ambiente familiare di colui che chiede l’adozione.
Va detto che già dal 2007 la possibilità di adozione in esame era stata estesa dalla giurisprudenza del Tribunale per i minorenni (dapprima di Milano e Firenze) anche per le coppie di fatto eterosessuali e non solo per quelle sposate. Oggi la giurisprudenza ha previsto l’estensione di tale tipologia di adozione anche per le coppie omosessuali sposate o non sposate. La legge sul punto, invece, nulla regolamenta: la recente normativa (L. n. 76 del 20.05.2016) disciplina le unioni civili tra le persone dello stesso sesso e delinea il cosiddetto contratto di convivenza ma non va, in alcun modo, a regolamentare l’adozione del figlio del proprio partner.
Va detto perciò che è stata la giurisprudenza e non la legislazione a regolamentare la adozione in casi particolari. Già negli ultimi due anni i Tribunale per i minorenni avevano affermato che l’orientamento sessuale dell’adottante non può costituire elemento ostativo alla adozione del figlio del partner. Le capacità genitoriali non possono, di certo, essere invalidate dall’orientamento sessuale. Lo stesso Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma aveva autorizzato, alcuni mesi fa, l’adozione di un bimbo di 6 anni che era stato oggetto di maternità surrogata in Canada. Sempre recentemente due donne sposate tra di loro in Francia avevano ottenuto dalla Corte d’appello di Napoli la trascrizione della sentenza di adozione reciproca dei propri figli statuita da un Tribunale francese. In data 11.12.2015 il Tribunale per i minorenni di Milano aveva, invece, permesso la stepchild adoption per una donna che dapprima aveva partorito una figlia con la fecondazione eterologa in Spagna e, successivamente, si era sposata con una persona del proprio sesso in Spagna. In tutti i casi sopra riportati i vari Tribunali hanno ritenuto che il provvedimento di adozione corrispondeva al supremo interesse del minore. I Tribunali per i minorenni hanno accertato, in concreto, l’esistenza di un profondo legame tra il genitore adottando ed il figlio del partner ed hanno soltanto dato rilievo giuridico ad una situazione di fatto per la miglior tutela del minore. Le decisioni dei Giudici, dunque, non hanno dato vita e non vogliono creare una forma nuova di genitorialità non consentita o non prevista dalla legge ma solo prendere atto di una relazione preesistente e di dare ad essa una forma giuridica, secondo i parametri consentiti dalla legge sull’adozione (casi particolari). Va ricordato, infatti, che la Convenzione di New York dei diritti del fanciullo del 20/11/1989, resa esecutiva con Legge n. 176 del 27/05/1991 e la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo fatta a Strasburgo il 20.01.1996 esecutiva in Italia con Legge N. 77 del 20/03/2003 stabiliscono fondamentali principi in ordine ai minori. L’art. 3 della Convenzione di New York, ad esempio stabilisce il principio che: “ in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativo, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.
Nei casi analizzati, come detto, l’adozione non richiede, ovviamente, lo stato di abbandono ma è volta a legittimare una situazione di fatto preesistente (legame col figlio del proprio partner) nell’esclusivo interesse del minore. Il Tribunale per i minorenni, pertanto, valuterà se l’adozione, in primo luogo, realizza il preminente interesse del minore. Il Tribunale disporrà, dunque, l’esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi tramite il servizio sociale e di pubblica sicurezza sull’adottante, sul minore e sulla sua famiglia. Saranno, poi, valutati i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore e verrà valutata la personalità del minore e la possibilità di idonea convivenza tenuto conto della personalità del minore e dell’adottante. Per l’adozione, in casi particolari, di cui abbiamo trattato, la normativa non prevede alcun requisito per definire il profilo dell’adottante e dell’adottando, essendo soltanto prevista la impossibilità di un affidamento preadottivo (impossibilità giuridica). Si è voluto considerare il rapporto tra adottante ed adottando come elemento caratterizzante l’interesse del minore seguendo le linee ispiratrici della Corte Europea dei diritti umani che parla di best interest del minore. La salvaguardia della continuità affettiva costituisce, d’altronde, la ratio della recente norma Legge 173 del 2015 “modifiche alla L. 4 maggio 1983 n. 184 sul diritto della continuità affettiva dei bambine e bambine in affido familiare”.
In sostanza il principio che si sta consolidando a cui si stanno attendendo i giudici nazionali e sovranazionali è quello di salvaguardare il minore riguardo il rapporto affettivo che si sia consolidato all’interno di un nucleo familiare, in senso stretto o tradizionale o, comunque, ad esso assimilabile per il suo contenuto relazionale, tale legame affettivo deve essere conservato e salvaguardato a prescindere dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti. Non vi può, dunque, in questo senso essere una ingiustificata disparità di regime giuridico tra le coppie eterosessuali e le coppie formate da persone dello stesso sesso. Non vi sono motivi solidi e convincenti ad escludere le coppie omossessuali dall’ adozione coparentali. Allo stato non essendovi evidenze scientifiche dotate di un adeguato margine di certezza in ordine alla configurabilità di eventuali pregiudizi per il minore derivanti dall’omogenitorialità non vi può essere disparità di trattamento tra coppie di fatto eterosessuali o dello stesso sesso creando, in caso di disparità di trattamento, una discriminazione basata sul sesso o sull’orientamento sessuale a discapito dell’interesse principale del minore.
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