di Simona Gallo
Ci sono gesti quotidiani su cui, a volte, ci si sofferma e se ne cerca il significato e l’importanza, o entrambi.
In questi giorni mi capita di avvicinare la mano destra al polso sinistro per l’abitudine di mettere in ordine l’orologio che normalmente urta la parte esterna tra il radio e l’ulna .
Mi fermo senza pensare al momento in cui le dita toccano la pelle nuda. Manca il freddo dell’acciaio del cinturino e, per un attimo, lo sguardo vuoto si rivolge a ciò che manca quasi si fosse perso del tempo.
Il tempo è il più forte limite alla libertà dell’uomo ed è un limite che egli stesso si è creato.
Io faccio parte di quella parte di popolazione che ha avuto bisogno di definire il tempo, di calcolarlo, di avere l’illusione di fermarlo per poter vantare di successi, criticare impegni, definire la stanchezza. Oggi il mio tempo non esiste perché non porto l’orologio. La mia convenzione non è manifesta al mondo e il mio pensiero cade nell’indefinito. E’ come se tutto fosse enunciato in un forse.
Non esiste la puntualità, il prima e il dopo.
Solo l’ora è un concetto reale, intesa come il qui ed ora, l’hic et nunc latino. Solo questo fermo immagine è il gancio al quale appigliarsi per non cadere nell’infinità, dove la mente adulta non può sopravvivere.
Paradosso è il fatto che ognuno di noi vorrebbe più tempo per se stessi e poi si vive all’interno di un quadrante d’orologio. Non si mangia perché si ha fame, ma perché è mezzogiorno; non si dorme perché si ha sonno, ma perché è terminato il film in seconda serata; non si ama per il piacere di farlo, ma perché probabilmente non si avrà altro tempo a disposizione. Ed allora si corre da uno step all’altro quasi si fosse in corsa tra ostacoli.
La società ci dice ciò noi che abbiamo scritto nelle sue regole silenti ma, poi, siamo tutti pronti a criticare queste norme che caratterizzano la nostra vita che ne diminuiscono la qualità a discapito di una quantità effimera.
La quotidianità inglese pare essere stata in ritardo o in anticipo (questa è la convenzione) di circa sei secondi a causa di alcuni problemi meccanici del Big Ben, o meglio, dell’orologio ospitato all’interno della Elizabeth Tower, in cui Big Ben è il nomignolo della campana più grande dell’orologio, il cui nome ufficiale è Great Bell. Come si sopporteranno tre anni di manutenzione? Quale valore si darà ai lavori di ristrutturazione e quale angoscia seguirà il silenzio (se non per occasioni definite come importanti) dei mancati rintocchi?
Ecco cosa è divenuta la nostra vita: convenzione del tempo che potrebbe non passare se non è scandito o potrebbe fuggire se non arginato tra due lancette.
Mancando ogni punto di riferimento è come stare in piedi all’interno di una piccola barca a remi. In mezzo al mare tutto è talmente vicino da avvolgere, ma parimenti nulla è a portata di mano e l’orizzonte si dissolve in una sorta di ulteriore liquidità.
La società è fluida, o meglio liquida, secondo Bauman che però intendeva definire la ricerca sulla relazioni sociali caratterizzate da strutture che si decompongono e poi ricompongono rapidamente. I confini e i riferimenti sociali si perdono dove il potere si allontana dal controllo delle persone. Tutto è un girotondo in cui non si conosce il momento capofila e, di conseguenza, non esiste la coda.
La nostra generazione non ha più tempo per entrare in un negozio di dischi e scegliere tra le varie copertine l’artista che più ci piace; possiamo sentire ogni traccia online ignorando i colori. Non aggiorniamo la lista della spesa sul block notes perché il carrello è virtuale in un e-commerce. Non sbuffiamo annoiati in coda in banca perché i soldi sono sempre pochi e le operazioni che costano meno sono on banking. Spariranno le librerie, non tanto per l’animo ecologista, ma perché l’e-book è pratico leggero ed economico.
Così avremo più tempo. Le commesse dei negozi non ne sprecheranno del nostro elargendo consigli inutili, gli operatori specializzati non commenteranno più i nostri gusti disapprovando le scelte, per loro, troppo commerciali. I rappresentanti di un determinato prodotto non invaderanno il nostro tempo promettendoci un viaggio in regalo. L’autore di un libro non ci presenterà la sua fatica pretendendo che si perda tempo prezioso in un tardo pomeriggio infrasettimanale.
Non abbiamo tempo di fermarci e palesare i nostri pensieri, i nostri desideri, il nostro giudizio. Non abbiamo tempo di fermarci di fronte ad interlocutori fisici con cui dialogare. Apriamo i blog per leggere i commenti, i siti ufficiali per avere le caratteristiche tecniche di un prodotto e Wikipedia per qualsivoglia argomento dello scibile umano.
Tutto questo non segue l’orario convenzionale di tranquilla normale giornata. Ciò che ci serve è online h24, si hanno a disposizione diversi strumenti che ci portano a poter fruire di questi diversi servizi.
Lo smartphone in mano, il tablet in borsa ed il notebook sulla scrivania. Si usano chat istantanee per avere informazioni dagli amici, mandiamo sms ai genitori perché appartengono a generazioni precedenti, tagghiamo persone per richiamare la loro attenzione, postiamo pensieri per rendere pubblico solo ciò che vogliamo.
Fare tante cose insieme ci dà l’illusione di fare prima e bene, mentre sarebbe meglio concentrarsi sull’uno alla volta, rendendoci più efficaci. Così un passo dopo l’altro potremmo vivere una guadagnata leggerezza consapevole.
Di domani non c’è certezza, scriveva con ragione Lorenzo De’ Medici, ed allora, il tempo è un nemico da incalzare oppure una realtà da vivere?
Il tempo si vive solo in stazione.
Ferma sul binario io rimango estasiata di quale varia umanità popola il mio spazio, senza che ognuna di queste persone riempia il mio tempo.
Viaggio da sola.
Nelle mie borse ho una parte della mia vita, ma come chiudere il freddo fuori dal cappotto, queste persone non sono parte di me. Faranno il mio viaggio, ma non con me. Guarderanno i loro orologi, ma non per me. Non verbalizzeranno i loro pensieri ed io non li conoscerò. Ed allora?
Al freddo ci si pongono interrogativi, gli stessi che hanno affrontato filosofi e scienziati e comunemente altri individui, su questo archetipo universale che è la percezione del tempo. Cosa c’è dietro alla sensazione che il tempo voli o che non passi mai? E’ diverso lo scorrere del tempo dei ragazzi rispetto a quello degli anziani?
Si sa cosa sia il tempo a patto che non ci chieda una definizione, diceva sant’Agostino. Di certo per gli adulti il tempo è più veloce di quanto non lo sia per i giovani per l’effetto definito telescopio, ovvero la tendenza a posizionare gli eventi in memoria in modo che quelli più recenti risultino più lontani nel tempo e quelli più remoti sono posizionati più vicini rispetto a ciò che sono veramente.
Gli anziani scrutano in modo ravvicinato anche le cose più lontane, perdendosi negli infiniti dettagli. Altri definiscono la memoria a lungo termine quella che permane sempre più nel loro pensiero di questi ultimi, ingombrando lo spazio per il tempo nuovo.
In questo mondo fast and furious, in cui difficilmente ci è permesso di voltare lo sguardo indietro, la percezione temporale appare influenzata dalle condizioni biochimiche del nostro corpo e del nostro cervello. La dopamina è uno dei principali neurotrasmettitori coinvolti e tende a produrre la sensazione che il tempo trascorra più velocemente. Al contrario i neurolettici ne inibiscono l’effetto e la percezione temporale è opposta. Così il tempo si allunga.
Avevano ragione gli antichi a descrivere Chronos come il tiranno che divora gli esseri umani sempre più velocemente?
Questo è pericolosamente vero solo se viviamo in un tempo vuoto in cui, per scacciare la paura, si afferma la volontà di riempire l’ignoto, di rifugiarsi in una ordinaria routine per non affrontare il mistero del tempo non prevedibile.
Forse avere troppo tempo per pensare a se stessi porta anche sgomento e paura e ci mette di fronte al senso del tempus fugit .
Avere tempo è la capacità di vivere il tempo liberato con la straordinaria possibilità di lasciarsi andare al presente, solo a condizione di trasmutarsi un passato e di non essere ancora futuro. Per sant’Agostino il presente è un intervallo; si divide in qualcosa di passato (oggetto di ricordo, immagini che si possiedono al presente) e in qualcosa di futuro (ovvero ciò che non è ancora, ma ha la base sul presente). Il tempo è distensio animi, non ciò che viene misurato dall’uomo, ma ciò che permane nella nostra anima anche quando le cose sono ormai trascorse.
Così, mi piace pensare al mio tempo: il ricordo, il prestare attenzione e l’attesa. Solo così gli intervalli di tempo sono divisibili all’infinito ed io vivo il presente senza eccessivi rimpianti per il passato o esagerate ansie nei confronti del futuro.
Così pare un gioco, un insieme disordinato di scatole cinesi, di specchi o di granelli di sabbia. Una fragile palla di vetro in cui cercare di inserire un fiore da far sbocciare.
Così avviene del mio tempo in una calda ed assolata giornata d’inverno solo perché oggi non porto il mio amato orologio. – Al rintoccar della sesta ora, una certezza sul tema, ozioso e vano, che non più di un sogno è stato –.
Riferimenti
Sant’Agostino, Le Confessioni, XI Libro, San Paolo Edizioni, 2015
Felice Nava, Manuale di neurobiologia e clinica delle dipendenze,, Franco Angeli, 2004
Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, 2014
William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate , Feltrinelli, 2007
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