EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Tersicore? Una vera filosofa! Intervista a Julia Beauquel.

 

di Luigi Serrapica

 

 

Se la danza e la filosofia potessero incontrarsi in qualche luogo, dove potrebbero darsi appuntamento? Julia Beauquel, nel suo libro Danser, une philosophie, non ha dubbi: s’incontrerebbero nelle emozioni nei sentimenti che si provano nel muoversi seguendo melodie e flussi musicali.

La sua proposta è un “carpe diem” della danza, quale che sia la forma: classica, contemporanea, ricreativa o per fini terapeutici. Uno dei punti di contatto fra danza e filosofia potrebbe essere il celebre motto “conosci te stesso”, sul quale tanto il ballerino, quanto il pensatore, lavorano per raggiungere obiettivi peculiari e, forse, speculari.

Beauquel è dottore in Filosofia, insegna Estetica ed è una riconosciuta critica di arte contemporanea. Ha a lungo praticato danza, scrivendone in due saggi pubblicati dall’Università di Rennes nel 2010 e nel 2015. Come ballerina, ricerca il movimento aggraziato e perfetto del corpo, la leggerezza della fisicità; da filosofa, si rifà a Nietzsche, Pascal, Cartesio.  La  sua riflessione si snoda intorno ad un interessante quesito: «E se il Creatore dell’universo fosse un coreografo perfetto?».

– Madame Beauquel, danza e filosofia non sembrano avere molto in comune: tradizionalmente, l’una si occupa di corporeità, l’altra guarda allo spirito e all’ambito metafisico. Quali sono i legami fra queste due discipline che l’hanno attirata maggiormente?

Oltre la parentela, più “poetica” che altro, tra un pensiero in movimento (la danza) e un movimento del pensiero (la filosofia), ho scoperto, praticando la danza e studiando la filosofia, che ciascuna delle due discipline mi aiutava a comprendere meglio l’altra. Danzando, ho sperimentato delle situazioni che dei corsi di filosofia a priori, senza alcuna connessione, contribuivano di fatto a mettere in luce. Allo stesso tempo, ho colto meglio delle sfumature concettuali grazie ad alcune esperienze di movimento. Per esempio, la pratica della “Contact improvisation” o “danza-contatto” mi ha permesso di diventare sensibile all’importanza dell’equilibrio da trovarsi tra l’attività e la ricettività di ciascuno dei partner e, di conseguenza, al riflettere sulla nozione di percezione (attiva o passiva), tramite anche i concetti aristotelici di potenza e atto. Allo stesso modo, la riuscita inattesa di un gesto tecnico difficile (un ‘développé’ della gamba in danza classica) mi ha fatto comprendere il ruolo (favorevole o sfavorevole) dello stato mentale durante questa esecuzione: sono giunta a compiere un ‘développé’ perfetto nel momento in cui ho “mollato la presa”, dicendo a me stessa appena prima dell’esercizio “Beh, non ci riesci ma non è grave”. Un’esecuzione riuscita sembra magica, incredibilmente facile, come un regalo arrivato da lontano. Di fatto, tutto si spiega attraverso l’allenamento e la corretta respirazione, il buon allineamento del corpo, ma direi anche attraverso la “giusta intenzione” durante l’azione (niente eccesso di volontà, né indifferenza o disfattismo).

In che modo il corpo in movimento, oggetto della danza, può diventare a sua volta campo di studio della filosofia contemporanea?

Il corpo in movimento non può essere pensato senza interrogare lo spazio, il tempo, l’intenzione, l’azione, l’espressione, l’emozione, la spontaneità, la scelta, il significato, l’interpretazione, la comprensione… tutte nozioni o distinzioni concettuali filosoficamente feconde. A condizione, chiaramente, di rifuggire una tradizione strettamente razionalista che sminuisce il corpo e rigetta le sensazioni e le emozioni come fonti di illusione nemiche della verità.

– I suoi riferimenti teorici sono molteplici e variegati. Per Danser, une philosophie in particolare, su quali pensatori ha basato le sue ricerche e i suoi studi?

Preparando e redigendo la mia tesi di filosofia, ho cominciato studiando i filosofi analitici, inglesi o americani. Alcuni sono conoscitori di danza (come Graham McFee) o ci hanno riflettuto almeno un po’ (Nelson Goodman). Altri sono specialisti di Estetica (Noël Carroll), di emozioni (Ronald de Sousa) o di riflessioni sulla performance (David Davies). In questo periodo di approfondimento ho pubblicato due libri; Philosophie de la danse[1] e Esthétique de la danse[2]. Per questo mio ultimo libro, rivolto a un pubblico più ampio, mi sono rifatta a filosofi antichi (Platone e Luciano di Samosata) o alle grandi figure della filosofia continentale, come Nietzsche. Tuttavia, la mia priorità consiste nel pensare ai “problemi” piuttosto che commentare degli autori in una prospettiva storica.

La danza può davvero fornire una chiave di lettura per interpretare il mondo in cui viviamo? E questa “chiave” può essere a disposizione di tutti oppure è prerogativa degli esperti della danza?

Mi pare che siamo tutti, danzatori o meno, filosofi o no, artisti o non artisti,  interpreti; ogni giorno tentiamo di comprendere cose più o meno complesse, più o meno grandiose o quotidiane. Quello che mi piace particolarmente della danza è che, in questo caso, l’interpretazione si manifesta attraverso il movimento corporeo, spesso senza passare dalle parole; attraverso la mera presenza fisica, tramite le caratteristiche dei gesti (lento, rapido, fluido, a scatti, eccetera), il ballerino trasmette al pubblico il proprio modo di rispondere al “mondo” o – per essere più precisi – il proprio modo di percepire una melodia, un sentimento, un personaggio e così via. Questa fisicità può parlare a chiunque, essere percepita con emozione da parte di pubblici meno “preparati”. La danza può essere oggetto di diversi livelli di lettura; può essere appresa in modo abbastanza immediato, tramite sensazioni, e in maniera maggiormente intellettuale: gli habitué della danza che sono capaci di stabilire dei legami di parentela con un contesto, di fare degli accostamenti fra uno spettacolo e l’altro, di riconoscere degli stili artistici, di rinvenire delle citazioni cinematografiche. Questo bagaglio culturale porta senza dubbio una lettura più sofisticata, ma resta il fatto che una persona che assiste per la prima volta a un’esibizione di danza contemporanea può rimanere profondamente toccato dallo spettacolo.

Se l’interpretazione pre-esiste all’interprete, il ballerino può essere considerato come un intermediario del senso? E in che modo può riuscirvi?

Cercherò di rispondere dicendo fino a che punto mi ha fatto riflettere l’espressione di un coreografo che ho incontrato: la sua frase è “essere attraversato”. Secondo lui, durante le sessioni di improvvisazione, non potevamo fare una cosa qualsiasi: bisognava, anche nell’improvvisazione, rispettare delle regole minime (riempire lo spazio, svuotare lo spazio, procedere per contaminazioni di energie e imitazione) e percepire la necessità e la pertinenza dei nostri movimenti e dei nostri gesti. Non c’era bisogno di alzare un braccio per alzare un braccio, né di fare un movimento “per bellezza”; era necessario che il movimento di ciascuno fosse legato in modo coerente al complesso del gruppo affinché apparisse una struttura, una razionalità, un senso, una lettura possibile. In questo senso, il ballerino non è l’origine in modo assoluto dei propri gesti: ciò che compie è prima di tutto una risposta allo stato antecedente (stato esteriore o interiore se si tratta di emozioni proprie). Così facendo è un intermediario, certo, tra il mondo e lo spettatore. Testimonia a modo proprio l’essere e il fare in un certo contesto. Lo rende visibile incarnandolo nei propri gesti.

– Nei suoi lavori parla di metamorfosi e di cambiamento. La danza ha la capacità di migliorarci come individui?

Non so se riesco a rispondere alla domanda, ma direi che, da parte mia, la danza mi ha permesso di conoscermi meglio e di avvicinare – se non la saggezza – almeno un maggiore equilibrio. Non si tratta solamente di un benessere rapido raggiunto grazie alle endorfine e al piacere di danzare seguendo la musica, ma di un’associazione costante e profonda tra delle azioni e delle idee, tra dei movimenti e dei concetti filosofici, tra delle esperienze sensibili e motrici inedite e delle sottili distinzioni concettuali.

 

Julia Beauquel

Danser, une philosophie

Carnets Nord, Paris 2018

 

 

 

 

[1] J. Beauquel, R. Pouivet, Philosophie de la danse, Presses Universitaires de Rennes, collection Aesthetica, 2010.

[2] J. Beauquel, Esthétique de la danse, Presses Universitaires de Rennes, collection Aesthetica, 2015

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