di Giacomo Dallari
L’esigenza di voler approfondire e di confrontarsi con il concetto di tempo ha rappresentato uno dei caratteri essenziali e costanti del sapere e delle sue diramazioni. Tale interesse non nasce solo dall’indiscusso fascino che da sempre riveste tale concetto, ma anche dalle sue molteplici e multiformi rappresentazioni che abbracciano e investono sia la sfera soggettiva e più tipicamente umana, sia quella che ha rimandi nella collettività e nello sviluppo umano che, sinteticamente, potremmo delimitare nell’idea di memoria individuale e collettiva. Anche Durkheim ci ricorda infatti che un individuo isolato potrebbe a logica ignorare completamente lo scorrere del tempo o trovarsi nella condizione di incapacità di misurarne la durata (cfr. Izzo, 1978) e questo, senza dubbio, ci fa comprendere che il tempo e le sue diverse concettualizzazioni interessano la nostra natura più profonda, il nostro essere animali sociali.
Con l’idea di tempo si è cimentata la filosofia a partire da Platone, che lo ha definito immagine mobile dell’eternità (Timeo), fino a Martin Heidegger, che preferiva riferirsi al tempo come temporalità nella quale l’esserci (Dasein) trovava le sue dimensioni di passato, presente e di futuro (Essere e tempo), passando attraverso Aristotele che lo ha oggettivato in un numero secondo il prima e il poi (Fisica).
Il tempo ha sollecitato le menti degli scienziati e delle discipline hard , alla costante ricerca di una dimensionalità oggettiva e misurabile, nella quale collocare i fenomeni naturali, arrivando ad ipotizzare quello che fino a qualche decennio fa apparteneva unicamente al mondo della fantascienza.
La grande letteratura ha avuto a che fare con il tempo e le sue forme, quelle più umane e intime. Uno su tutti, Marcel Proust nella sua oeuvre cathédrale condensata nella Ricerca del tempo perduto.
È chiaro quindi che il tempo è, ed è stato, un pungolo intellettuale molto forte in grado di offrirci caratterizzazioni molto diverse, a volte complesse ai limiti del comprensibile, altre volte più introspettive, interiori e spirituali.
Ma come mai tanto interesse? Perché ha sollecitato gli spiriti e gli intelletti in modo così trasversale fra le discipline?
Una prima risposta potrebbe essere relativa ad una sua caratteristica intrinseca, cioè il suo essere, contemporaneamente, una cosa oggettiva e soggettiva; un qualcosa che viviamo, ma che non ci appartiene; un fatto ed una interpretazione; una grandezza ed una sensazione; una quantità ed una qualità; un’entità che avvolge il nostro vissuto individuale, ma nel contempo comprende ed integra la vita dell’umanità.
Viste in questo modo queste caratterizzazioni potrebbero apparire inconciliabili, senza possibilità di sintesi. Si potrebbe infatti affermare che è la stessa realtà che ci fa cogliere l’esperienza del tempo, ma un analisi più attenta ci mostra subito che queste caratterizzazioni, lungi dall’essere distanti ed inconciliabili, rappresentano con ogni probabilità l’eccezionalità e l’unicità della dimensione temporale, delle sue forme e del nostro modo di “convivere” con essa.
Il tempo è sicuramente una costruzione simbolica che ha caratterizzazioni semantiche molto forti. Ci aiuta a organizzare le esperienze con termini come “prima”, “poi”, “tra un anno”, stabilisce dei criteri, definisce e scansione la nostra esistenza che, in ultima analisi, è un tempo, cioè è un cammino nel quale costruiamo significati soggettivi, diamo interpretazioni differenti e, in molte circostanze, riscriviamo e riorganizziamo ciò che è stato con quello che è, con uno sguardo a ciò che, presumibilmente, potrà essere.
Esso coincide dunque con il vissuto psicologico di ognuno di noi che viviamo nel presente ma, diversamente dagli animali, siamo in grado di avere rappresentazioni del passato e di immaginare il futuro e tali rappresentazioni non sono vaghe e indistinte illusioni, ma impalcature sulle quali costruiamo la nostra identità.
Il tempo contiene in sé una parte oggettiva, quella misurabile e quantificabile, ma anche una parte soggettiva che ci riguarda più da vicino, che ci interessa in quanto individui inseriti in una rete relazionale. Esso contiene desideri, aspirazioni, ci richiama alla coerenza e all’organizzazione e determina risposte cognitive e comportamentali.
Il tempo è anche un processo, un cammino nel quale riconosciamo gli altri e ci scopriamo appartenenti ad un medesimo tempo e ad una comune memoria.
E allora riprendiamoci un po’ di tempo, regaliamoci qualche istante per sederci e non pensare solo al tempo che trascorre, ma per riempire il tempo di qualcosa di nostro per comprendere che esso non è solo qualcosa che ci accompagna come un rumore di fondo.
Di cosa parla, dunque, il tempo? Forse qui non troverete tutte le risposte, forse alcune non vi piaceranno; altre, chissà, faranno nascere nuove domande; altre ancora, invece, troveranno il vostro favore, ma una cosa è sicura: il tempo non parla a se stesso e di se stesso, ma parla all’uomo e dell’uomo, del suo modo di rapportarsi alle cose, delle modalità con cui si relaziona agli eventi e dei diversi significati che ognuno di noi, legittimamente, conferisce alla propria storia, al proprio futuro e ai propri perché.
A.Izzo, Antologia degli scritti socilogici – Emile Durkheim, Il Mulino, Bologna, 1978.
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