di Lorenzo Giordani
«Se fossi un vero pittore avrei conseguito risultati ben maggiori,
ma sarei stato tradito dalla perizia tecnica, dagli inganni del “mestiere”.
Per me questo pericolo non esisteva.
Mi restava un margine piccolo, ma sicuro»[1]
È ormai nota da tempo, grazie anche a molteplici contributi e saggi accademici, l’attività pittorica che Eugenio Montale svolse soprattutto in tarda età, ma poche sono le opportunità di vedere dal vivo i risultati di questa produzione relegata perlopiù in collezioni private di amici che ricevettero in dono i suoi lavori. Per questo motivo la mostra promossa dall’imprenditore fiorentino Mario Luca Giusti Peterich, Montale a Casa Fasola, svoltasi dal 10 agosto all’8 settembre 2024 presso la Villa Bertelli di Forte dei Marmi, è un’occasione unica per poter ammirare 16 opere inedite di Montale tra cui un osso di seppia con disegnata un’upupa al sole e recante sul retro versi poetici.
Villa Fasola fu uno dei luoghi in cui soggiornò il poeta nelle sue villeggiature versiliesi. Qui fu ospite tra il 1975 e il 1977 della famiglia Giusti e qui si consolidò la sua passione per la pittura. Il Montale pittore trovò la sua massima espressione proprio a Forte dei Marmi[2] già a partire dal 1945 secondo quanto afferma lui stesso: «Ero con De Grada[3]. Così per fargli compagnia, ho cominciato ad abbozzare qualcosa anche io»[4]. Ma è negli anni di frequentazione della villa, coincidenti anche con l’assegnazione del Nobel e la contestuale idea della morte della poesia, che la pittura era divenuta per lo scrittore l’espressione più efficace per tradurre il sentimento in oggetto laddove la poesia, i versi e le parole sembravano ormai aver fallito irrimediabilmente. È infatti attraverso la pittura che Montale ritrova un’ingenuità, uno sguardo più puro, più immediato e dunque più autentico, forse in grado di cogliere l’essenza delle cose e della realtà che le parole non riuscivano più ad afferrare. La pittura diventa in sostanza un modo alternativo di interpretare il mondo e di rivelarne i segreti e i recessi nascosti.
Le 16 opere esposte in mostra, facenti parte della collezione privata della famiglia Giusti, riassumono quindi la sensibilità pittorica montaliana e sono un condensato dei suoi soggetti preferiti tra cui marine appena accennate che sembrano dissiparsi e sparire come in dissolvenza in toni pacati e delicati, e nature morte con soggetti marini o con fiori, che ricordano De Pisis e Morandi i suoi pittori prediletti di cui avrebbe voluto essere una “sintesi”. In queste opere sono evidenti le tecniche pittoriche di Montale che dipingeva utilizzando pastelli, gessetti colorati, ma soprattutto materiali inusuali, domestici per così dire, quali cosmetici, rossetti (lipstick come amava chiamarli), tubetti di dentifrici, tabacco, creme colorate, fondi di caffè o un semplice bicchiere di menta.
Questi lavori hanno dunque una loro specificità tecnica e una loro coerenza espressiva lontana da altre opere montaliane come i disegni intimi e familiari vergati con la penna stilografica e raccolti nel cosiddetto Diario di Versilia realizzato negli anni Sessanta, poi trasformati in incisioni, o altre opere in cui utilizzò più convenzionalmente colori a tempera o ad olio.
La mostra riflette quindi la stagione di vita versiliese del poeta, fatta di silenzio e abitudinarietà (come la consuetudine di leggere ogni notte un Maigret di Simenon o la passeggiata pomeridiana dall’amico pittore Nino Tirinnanzi) come se fosse un rito ripetitivo e rassicurante lontano dal frastuono e dal clamore del mondo a cui lo scrittore sentiva progressivamente di non appartenere più. Le estati al Forte erano in sostanza una monotona routine rotta soltanto dall’alternarsi di celebri artisti e personaggi, anche loro ospiti della famiglia Giusti, tra cui Carmelo Bene, Carla Fracci, Giò Pomodoro ed Henry Moore con cui Montale dialogava amabilmente ma quasi mai di poesia e letteratura. Questi incontri sono testimoniati all’interno della mostra attraverso numerose foto d’archivio che arricchiscono l’esposizione. Interessanti sono inoltre alcuni ritratti fotografici dello scrittore immortalato con la sigaretta Giubek o con le cuffie mentre è intento ad ascoltare musica lirica o ancora mentre scende le scale seguito come un’ombra dalla onnipresente e fedele governante Gina.
Sono presenti infine alcune lettere montaliane firmate a penna “Eusebio”, libri con dediche autografe e oggetti donati dall’autore alla famiglia Giusti in segno di amicizia e riconoscenza. Tra questi documenti suscita particolare tenerezza la lettera in cui Montale dichiara, pochi giorni dopo il celebre discorso tenuto a Stoccolma in occasione del Nobel, di scrivere male con la penna e di non cavarsela meglio con la macchina da scrivere segno della progressiva degenerazione del presunto morbo di Parkinson che lo colpì negli ultimi anni di vita.
I documenti, i materiali e in particolare le opere esposte, che rappresentano certo l’aspetto più rilevante dell’esposizione di Villa Bertelli, sono dunque l’occasione per addentrarsi nel mondo domestico e intimo montaliano ma soprattutto per conoscere l’altro Montale che trova nelle sue opere pittoriche la complementare arte della sua poesia nella speranza, da lui stesso maturata, che questa produzione resistesse al tempo, lasciasse un segno, come la “traccia madreperlacea di lumaca”, come il “tenue bagliore di un fiammifero”, come “la parte di me che riesce a sopravvivere del nulla ch’era in me”[5].
[1]E. Montale, Prefazione a Diario di Versilia, in Montale pittore, a cura di F. D’Episcopo, M. Gargotta, G. Piovene, M.S. Romano, M.L. Spaziani, Ripostes, Salerno-Roma, 1996, p. 20.
[2]Per approfondire il legame di Montale con la località versiliese si veda il volume Montale a Forte dei Marmi, a cura di Domique Papi, Firenze, maschietto&musolino, 1997 contenente peraltro un ampio apparato icono-fotografico.
[3]Fu proprio il pittore Raffaele De Grada (1885-1957) insieme a Carlo Carrà, Achille Funi e il più giovane Ernesto Treccani, a consigliare e incoraggiare Montale nel dipingere tra il litorale, la spiaggia e la pineta.
[4]E. Montale, Queste le ragioni del mio lungo silenzio, intervista di Bruno Rossi del 1962, in Il secondo mestiere. Arte, Musica e Società, vol. 2, a cura di G. Zampa, “I Meridiani”, Milano, Mondadori, 1996, pp. 1627-1628
[5]E. Montale, L’Arte povera, in Diario del ’71 e del ’72, Milano, Mondadori, 1973.