di Francesco Tramonti
Nell’era dei manuali asettici, degli elenchi di sintomi e delle comorbilità, la rivista Starmale getta uno sguardo tanto ironico quanto acuto sulle follie del presente, candidandosi a divenire un prezioso compendio di psicopatologia contemporanea. Ne parliamo con l’antropologo, giornalista e (in)direttore Emanuele Martorelli.
Egregio indirettore, entro quale perimetro possiamo circoscrivere la definizione, e quindi la diagnosi, di narcisismo?
Il margine dell’atteggiamento narcisistico è ampio e, credo, difficile da circoscrivere: può essere un tratto della personalità, un disturbo mentale, una fuga o una risposta a certi fattori sociali data da un Io troppo propositivo. Su Starmale mi piace pensarlo come un’attitudine. Nei casi più estremi come un hobby. Un modo per distrarsi dalla poca sostanza che si tende a percepire attorno o, peggio, al proprio interno. Una ricostruzione abusiva del sé. Componibile a seconda delle esigenze, e in grado di eliminare le sbavature. Il bricolage emotivo.
Ridere del narcisismo ci salverà dal narcisismo? Può esserci un risvolto terapeutico?
Il riso è uno di quegli optional offerti in dotazione anche a personalità di base. L’uso che se ne fa è sempre relativo. E’ necessario, in certi frangenti. Catartico e liberatorio. Il risvolto terapeutico c’è, ma non penso sia sempre scontato. Il saper ridere delle cose implica la capacità di assimilarle. Per quanto mi riguarda, la satira mi permette di esplorare certi territori interiori in maniera laterale. Starmale è una autocritica consapevole verso un Ego che troppo spesso si sopravvaluta. Mi sono abituato ad essere il primo bersaglio utile di quello che scrivo, altrimenti il progetto non funziona. Oggi c’è un atteggiamento malsano nei confronti dell’ironia e della satira, specialmente in rete. Si pensa di poter toccare senza essere toccati. Si tira di scherma perché c’è uno schermo a schermare, ostentando arguzia o un cinismo senza sbocchi spacciati per umorismo. Nei casi più penosi ci si erge a rappresentati di verità: la Tupperware della certezza. E il pulpito è un errore grossolano in questi casi. L’ironia come avamposto non funziona, prima o poi ti richiede in prima persona. Specialmente quando si cerca riparo nell’ambiguità, che è l’elemento che mi pare accomuni satira, ironia e umorismo. Puoi dire tante cose assieme, giocare con gli opposti. Ma come rifugio alla fine è misero. La risata, come il narcisismo, si porta dietro elementi diversi e non per forza positivi: stizza, odio, rabbia o imbarazzo. A volte è anche isterica. E in quel caso, come in Chiesa, la salvezza non è assicurata.
Quali sono le potenzialità del narcisismo in 3D e Full HD?
Più è definito, meglio si notano le falle. Il narcisismo dovrebbe essere il compimento di una personalità trabordante. Se manca proprio la personalità, si finisce per celebrare un vuoto. In alta risoluzione. A quel punto è meglio muoversi, dissociarsi. Soprattutto da se stessi. Ridefinirsi. Credo sia un lavorare sulle macerie, una condizione che a me piace molto. L’alt®a definizione. A lungo andare il narcisismo è uno specchio impietoso, prima o poi ti presenta l’immagine al netto di quello che pensi di essere. Lo dico da antropologo: nel guardare l’altro c’è uno sguardo di ritorno che arriva quasi sempre. In termini ristorativi si chiama conto. L’importante è mettersi sul piatto. Offrire almeno la migliore imitazione di se stessi. Più è consapevole e attinente, più è facile gestirsi. E’ l’Ego a scriverci molte battute durante la giornata. Bisogna farsene un’idea più precisa possibile.
Dopo L’altro come optional, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro dei rapporti umani? Il narcisismo ha irrimediabilmente trionfato o esiste ancora una tensione dialettica con la cura del legame?
La ricerca del legame resta in molti casi l’obiettivo di base. Al momento è la dialettica a perdere colpi. Si creano delle distorsioni, a tratti si cerca l’altro negandone il bisogno. Come l’asocialità manifestata via Social: capolavori di misantropia sociale. Il dibattito assume i tratti di un soliloquio collettivo. Spesso si cita l’altro solo per affermare con più forza il proprio pensiero. L’ho già scritto altrove, oggi c’è un nuovo genere letterario e si chiama impostorytelling, che è un mettersi in mostra senza esporsi realmente. L’aspetto positivo è che di questo parlarsi sopra ci si sta stancando, i segnali di insofferenza sono evidenti. C’è il rischio di gesti estremi, come l’ascolto dell’interlocutore.
Parafrasando il titolo di un altro libro di Starmale, vien da chiederLe: secondo Lei, in certe selfie, l’Io viene un po’ sfocato?
L’autoscatto è l’istantanea di un bisogno. Immagino che in alcune di quelle foto ci sia un bisogno estremo d’attenzione. E in certi frangenti quello che resta dell’Io non è solo sfocato, ma anche sullo sfondo. La personalità è un bene di lusso.
Vuole lasciare alcuni commenti conclusivi?
Continuo a chiedermi se questa intervista mi è stata proposta in quanto spontaneamente addentro a certe tematiche o in quanto narcisista. Mi lascio un margine di dubbio, che è uno degli elementi su cui mi piace lavorare.
Non ci resta che ringraziarLa e formularLe i nostri più sinceri complimenti per il progetto editoriale.
Grazie anche a nome del mio Ego.